1° maggio, Festa dei Lavoratori. “In che senso?”, direbbe Carlo Verdone. Già, in che senso. Probabilmente nel ricordare chi muore ogni giorno, per ricercare la soluzione a complessi problemi legati al mondo del lavoro. Teniamo presente, infatti, che in Italia solo nel 2017 è salito a 1029 il triste bilancio delle vittime che hanno perso la vita lavorando.

 
Questo giorno deve rappresentare, ora più che mai, una rinnovata presa di posizione nel promuovere la dignità della persona e realizzando il bene comune.

Nonostante le grandi conquiste di questa era dell’ industrializzazione e della globalizzazione, la povertà è sempre il costante tormento di tanti esseri umani. Troppi.
Si ingrandisce, quindi,  la “globalizzazione dell’indifferenza”, come osservato daPapa Francesco Bergoglio nell’ Evangelii gaudium.
 
Il Santo Padre, definito dal giornalista vaticanista presidente dell’UCSI LazioRaffaele Luise, come colui che “Cerca di riportare la fede cristiana così stanca e desolata in Occidente alla radicalità evangelica“ribadisce proprio
l’ importanza di “una nuova cultura del lavoro con dignità, che fa rima con speranza”.

Il lavoro, il lavoro dignitoso, perché la dignità, permette di attribuire umanità al lavoro stesso. L’uomo quindi, non è soltanto ‘mera forza lavoro’, ma un  essere, umano che attraverso il suo personale operato, rende valore al lavoro.

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