Fratelli tutti, Enciclica Papa Francesco

NOTA DELLA DIREZIONE

Pubblichiamo la seconda e conclusiva parte della lettura in una prospettiva biblica della lettera enciclica “Fratelli tutti” di Papa Francesco fatta per il nostro giornale da padre Ubaldo Terrinoni, Ofm conv. La prima parte è stata pubblicata ieri.

L’uomo possiede una dignità inalienabile” (FT, 213) 

  L’uomo incappato nei briganti e ridotto in fin di vita e, con lui, ogni persona che è vissuta, vive e vivrà su questo pianeta ha ricevuto da Dio una nobiltà e dignità assoluta e inalienabile. La Costituzione conciliare “Gaudium et spes” afferma solennemente che l’uomo “è il principio, il soggetto e il fine di tutte le istituzioni sociali”. “La mia esistenza è un evento originale – dichiara Abraham J. Heschel -. Non vi sono due esseri umani uguali. L’elemento fondamentale dell’essere uomini è l’unicità. Ogni essere umano ha da dire, da pensare e da fare qualcosa che non ha precedenti. Essere uomini è una cosa sempre nuova… É una sorpresa, non una conclusione scontata. Ogni individuo è una scoperta, un esemplare esclusivo”.

L’uomo in quanto tale, senza aggettivi, ruoli, titoli e benemerenze; l’uomo nella sua realtà essenziale è depositario di una inviolabile dignità. Per questo il Papa rivolge a tutti un pressante invito: “impegniamoci a vivere e insegnare il valore del rispetto, l’amore capace di accogliere ogni differenza, la priorità della dignità di ogni essere umano rispetto a qualunque sua idea, sentimento, prassi e persino ai suoi peccati” (FT, 191).

E prosegue dichiarando che è doveroso “rendersi conto di quanto vale un essere umano, quanto vale una persona, sempre e in qualunque circostanza. Se ciascuno vale tanto, bisogna dire con chiarezza e fermezza che il solo fatto di essere nati in un luogo con minori risorse o minor sviluppo non giustifica che alcune persone vivano con minore dignità” (FT, 106). Purtroppo, per il predominio della “cultura dello scarto” l’uomo è legato e condizionato a fattori economico-produttivi, quasi come un ingranaggio della macchina finanziaria. Si impone esclusivamente la logica di mercato che amaramente informa: “Se non produci, non sei!”.

Fortunatamente e per grazia dall’Alto, nella santa Chiesa di Dio ci si riconosce per un titolo fondamentale, uguale per tutti: siamo fratelli! Tutti importanti! Tutti preziosi! Tutti degni di attenzione e di ascolto. In seno al popolo di Dio c’è un’uguaglianza fondamentale, una pari dignità. Ci si distingue unicamente per i ruoli, intesi come modesti servizi alla comunità. Perdere un solo fratello è come rendere monco il Corpo mistico di Cristo (Rom 12, 4-6; 1Cor 10, 17; Ef 4,4…). Ogni fratello conta moltissimo al Cuore di Dio; e lui non si rassegna alla perdita o anche allo smarrimento di uno solo (Mt 18,4). Egli è il premuroso pastore che non si consola per le 99 pecorelle che sono rimaste al protetto nell’ovile, ma si preoccupa ed è seriamente triste per quell’unica che non è tornata.

Il messaggio biblico conferma la grandezza dell’uomo a prescindere da qualsiasi status e da qualsiasi cultura. Dio ha elevato l’uomo ad altissima dignità: è luogotenente di Dio, è suo viceré è un vice…dio!! L’hai fatto poco meno di un dio! canta gioiosamente l’autore ispirato del Salmo 8 al versetto 6; e prosegue precisando due qualifiche che nel messaggio biblico vengono attribuite sempre e soltanto a Dio: “di gloria e di onore lo hai coronato” (kabod wehadar).  Qui, con sorpresa, le due qualifiche vengono riferite anche all’uomo, appunto perché è il luogotenente di Dio. Segue poi una coppia di verbi che esplicita gli interventi di Dio finalizzati a confermare l’esaltazione dell’uomo:   “Gli hai dato potere sulle opere delle tue mani. Tutto hai posto sotto i suoi piedi” (v.7).

Il viceré riceve da Dio il potere di dominare e anche di sottomettere a sé ogni realtà esistente. Non c’è limite al suo potere sul creato. Dunque il duplice compito di dominare e di sottomettere eleva l’uomo al vertice del creato.

In grazia di queste certezze bibliche, il Papa dichiara con forza che “ogni essere umano ha diritto a vivere con dignità e a svilupparsi integralmente, e nessun Paese può negare tale diritto fondamentale. Ognuno lo possiede, anche se è poco efficiente, anche se è nato o cresciuto con delle limitazioni; infatti ciò non sminuisce la sua immensa dignità come persona umana (…). Quando questo principio elementare non è salvaguardato, non c’è futuro né per la fraternità né per la sopravvivenza dell’umanità” (FT, 107).

E con ammirevole dedizione egli volentieri si fa voce di tutti coloro che non hanno la possibilità di farsi ascoltare: i poveri e i pellegrini (FT, 73.91), i malati (FT, 97), le persone anziane (FT, 98), “i deboli, i meno dotati, i fragili (FT, 108), le persone scartate (110), i disabili (FT 109-110), gli stranieri (FT 124), i migranti (FT, 129), le minoranze (FT, 131). L’ambizioso e lodevole traguardo al quale mira il Papa è di fare in modo che ognuno “possa realizzarsi come persona” (FT, 129). E per un concreto esercizio riassume il tutto in quattro verbi: “accogliere, proteggere, promuovere e integrare” (FT, 129).

padre Felix Koerner
padre Felix Koerner

“Secondo l’Enciclica – scrive il gesuita padre Felix Koerner -, l’essere umano in quanto tale ha una dignità inviolabile. Ciò significa che nessuno deve e può violarla. Anche chi pensa di poter privare una persona della sua dignità, non le può togliere ciò che la rende portatrice di tutti i diritti umani e che quindi obbliga tutti a garantirle tali diritti. L’antropologia di “Fratelli tutti” si fonda anche sul riconoscimento della dignità umana”.

“Vivere indifferenti davanti al dolore..!?” (FT, 68)

Il sacerdote e il levita (membro della tribù di Levi) non si sono fermati a soccorrere il ferito. Purtroppo non era un caso raro che in quella strada si compissero violenze, anzi proprio per questo, veniva chiamata sinistramente “la strada del sangue”. “E quella strada continua ad essere maledetta. Non per la presenza dei banditi, ma per l’assenza dell’amore. Per il “passare oltre” del sacerdote e del levita e di chi gli assomiglia. Colpevoli di aver fatto tacere il cuore con “valide ragioni”. Non sono i briganti a rendere terribile la strada, è l’indifferenza, l’estraneità dei buoni”. Anche il celebre Martin Luther King conferma: “Ciò che mi spaventa non è la violenza dei cattivi, ma l’indifferenza dei buoni”.

I due addetti al servizio liturgico al tempio di Gerusalemme si recavano a Gerico, dove di norma abitavano molti sacerdoti e leviti con le loro famiglie. Dunque colpevoli per non essersi fermati? Potevano addurre molte e speciose motivazioni, ma si sa che infinite ragioni, davanti a Dio e alla propria coscienza equivalgono ad avere torto. É appunto per questo che l’autore ispirato illustrando il passaggio dei tre (cioè sacerdote, levita e samaritano) nel testo originale usa il verbo al participio presente idòn (“vedendo”), intende sottolineare che non si è trattato di uno sguardo fugace, bensì di una prolungata attenzione al malcapitato; si sono resi ben conto della reale situazione.

Malcom de Chazal
Malcom de Chazal

Malcom de Chazal (1902-1981) scrittore e pittore nelle isole Mauritius afferma che “lo sguardo è la più bella sala di appuntamenti”. Il comportamento in un incontro con l’altro è subito determinato dal modo di vedere; è coordinato dallo sguardo. “Non si vede bene che col cuore. L’essenziale è invisibile agli occhi”; così insegna la volpe al piccolo principe.

Anche il Santo Padre –  in una omelia tenuta nella residenza a Santa Marta in Vaticano –  parte dallo sguardo per stimmatizzare il comportamento distaccato e indifferente di molti di fronte alla sofferenza soprattutto dei bambini che stendono la mano al margine della strada: “Cosa sentiamo nel cuore quando andiamo per strada e vediamo i senzatetto, vediamo i bambini da soli che chiedono l’elemosina… “No, ma questi sono di quella etnia che rubano…”, vado avanti, faccio così?”.

E nell’Enciclica precisa ulteriormente il suo pensiero: “Siamo molto concentrati sulle nostre necessità, che vedere qualcuno che soffre ci dà fastidio, ci disturba perché non vogliamo perdere tempo per colpa dei problemi altrui” (FT, 65). “Vivere indifferenti davanti al dolore – prosegue il Papa – non è una scelta possibile; non possiamo lasciare che qualcuno rimanga ai “margini della vita” (FT, 68). Egli non tace neppure sull’atteggiamento di chi passa a distanza con comportamento freddo e indifferente: “Gesù…non ci chiama a domandarci chi sono quelli vicini a noi, bensì a farci noi vicini, prossimi” (FT, 80).

Papa Francesco sa bene che non funziona il dialogo quando si avverte disinteresse nell’interlocutore. Di fronte a un ascolto indifferente la comunicazione si spegne. Talvolta accade che la situazione risulta realmente drammatica e la sofferenza e il dolore sono subìti in forma molto acuta, insopportabile; anche allora il vento gelido dell’indifferenza può spirare violentemente e appiattire tutto. Accade anche che l’interlocutore in un incontro ode, ma non sente; gli giungono parole, ma non ascolta. É l’atteggiamento del burocrate che parla a te, ma non con te; non ti guarda e vuol dire che per lui tu non conti nulla. E questo è il terribile e temibile mostro dell’indifferenza!

“Su una parete della nostra scuola – riferisce don Lorenzo Milani -, c’è scritto: “I Care!”. É il motto intraducibile dei giovani americani; vuol dire: “me ne importa, mi sta a cuore, me ne prendo cura”. É proprio il contrario esatto del motto fascista: “me ne frego!”. “L’indifferenza è più colpevole della violenza stessa – precisa Liliana Segre, tornata dai campi di concentramento di Auschwitz nella seconda guerra mondiale -. É l’apatia morale di chi si volta dall’altra parte”.

Prendersi “cura dell’altro!” (FT, 114)

Il samaritano, che era in viaggio, passando di lì, “ha visto” (idòn nel testo greco), si è fermato, ha derogato al suo programma di quel giorno e si è lasciato coinvolgere dal dramma di uno sconosciuto ridotto in fin di vita. Il protagonista di questa narratio è introdotto nel testo originale enfaticamente in testa alla frase: “Un samaritano, in viaggio…”. A differenza dei due, per i quali il povero ferito costituiva un disturbo al loro programma religioso, egli si è fermato. “La descrizione della condotta del samaritano è fatta con cura, per differenziarla nettamente dal comportamento del sacerdote e del levita. Il samaritano si rende vicino al ferito, è mosso a compassione”.

E dire che agli occhi dei giudei, i samaritani risultavano “impuri, detestabili, pericolosi” (FT, 82). Le relazioni tra di loro si erano deteriorate dopo il ritorno dall’esilio babilonese (538 a. C.) e, col passar del tempo, si erano tramutate in odio (Gv 4, 9; 2Re 17,24-41; Esd 4, 1-5). Ora, alle prese con una urgenza, non c’è posto per l’odio. Gesù, che imbastisce l’incontro “si sofferma con amore a dipingere i movimenti e i gesti del soccorritore. Mosso a pietà, discende dalla cavalcatura, benda le ferite, lenisce il dolore con una miscela di olio e di vino, carica il poveretto sull’animale, lo porta all’albergo e passa la notte accanto a lui; il giorno dopo, dovendo partire, lo affida all’albergatore, paga le prime spese, promettendo il resto al suo ritorno”.

Si prende cura concretamente di lui. Il testo originale ripete due volte questa attenta sensibilità del samaritano: nel v. 34 epimélethe autoù (“si prese cura di lui”) e nel v. 35 si premura di ricordarlo all’albergatore: epimelétheti autoù (“prenditi cura di lui”).

Anche Papa Francesco, con comprensibile compiacimento, sottolinea i particolari dell’intervento del samaritano: “Si è fermato, gli ha donato vicinanza, lo ha curato con le sue stesse mani, ha pagato di tasca propria e si è occupato di lui. Soprattutto gli ha dato una cosa su cui in questo mondo frettoloso lesiniamo tanto: gli ha dato il proprio tempo. Sicuramente egli aveva i suoi programmi (…). Ma è stato capace di mettere tutto da parte davanti a quel ferito, e senza conoscerlo lo ha considerato degno di ricevere il dono del suo tempo” (FT, 63).

Il Papa, inoltre, propone la “cultura della cura” sempre efficace per debellare l’altra cultura, quella dell’indifferenza, dello scarto, dello scontro e del rifiuto. Ovviamente questo non avviene in modo magico, ma si realizza lentamente e con la partecipazione e il coinvolgimento della famiglia, della scuola, dei media, delle parrocchie e delle istituzioni civili. Soprattutto le famiglie sono chiamate a una missione educativa primaria e imprescindibile. Esse infatti costituiscono il primo luogo in cui si vivono e si trasmettono i valori dell’amore e della fraternità della condivisione e della cura dell’altro.

Papa Bergoglio offre anche un concreto aiuto che egli designa col termine di “grammatica”: e cioè la polarizzazione e l’attenzione sulla promozione della dignità di ogni persona umana, la solidarietà con i poveri e gli indifesi, la sollecitudine per il bene comune, la salvaguardia del creato. Egli si appella anche a Gesù il quale si prende cura di noi con il suo Amore. Raccogliamo la sfida di questo esempio divino. Inoltre, nel messaggio della 29° Giornata Mondiale del Malato del corrente anno, il Papa ha affermato che “una società è tanto più umana quanto più sa prendersi cura dei fragili”.

“Farci noi vicini, prossimi” (FT, 80)

Lo scriba che aveva interpellato Gesù ha dimostrato che voleva soltanto sapere chi era il suo prossimo. Gesù invece lo fa ritrovare alle prese con qualcosa da fare: Va’ e anche tu fa’ lo stesso. Da notare nel testo l’insistenza sul verbo “fare” richiamato nei punti salienti della narratio:

v. 25 “che debbo fare per ereditare la vita eterna?”

v. 28 “hai risposto bene: fa’ questo e vivrai”

v. 37 Chi di questi tre…? – “Chi (“ha fatto” ò poiésas) ha usato misericordia”

v. 37 “va’ e anche tu fa’ lo stesso”.

Gesù non dice al suo interlocutore: “Bravo, hai risposto bene, va’ pure in pace, sei promosso”. Il tenore della risposta è un altro: Hai risposto bene: fa’ questo e vivrai. Si noti che quel verbo all’imperativo fa’ suona come un ordine perentorio, assoluto, è un comando che coinvolge tutti senza alcuna eccezione. Dunque non ci resta che imparare a fare, facendo tacere il dire. Del resto un’autentica vita cristiana non si fonda sul sapere e neppure semplicemente sul vedere (il sacerdote e il levita hanno soltanto visto), ma esclusivamente sul fare. Si esige una risposta di vero impegno di vita, si richiede una compromissione in favore dei poveri e dei bisognosi.

Papa Francesco nel sottotitolo “il prossimo senza frontiere” (FT, 80-83) avvia la riflessione dicendo che “Gesù rovescia completamente l’impostazione e non ci chiama a domandarci chi sono quelli vicini a noi, bensì a farci noi vicini, prossimi. La proposta è quella di farsi presenti alla persona bisognosa di aiuto, senza guardare se fa parte della propria cerchia di appartenenza. In questo caso, il samaritano è stato colui che si è fatto prossimo del giudeo ferito. Per rendersi vicino e presente, ha attraversato tutte le barriere culturali e storiche” (FT, 80-81).

Amare e servire il prossimo “vicino” che può sentirsi trascurato a causa della mia indifferenza. “Io chiedo al Signore, ogni giorno – confida don Pronzato -, la grazia di riuscire a vedere le persone che mi stanno davanti agli occhi. Perché, a forza di essere vicine, rischiano di diventare invisibili. Qualcuno trova il tempo per scrivere al carcerato. Ma non si ricorda di far trovare un bigliettino al marito il giorno del suo compleanno. Per qualcuno risulta più agevole amare quelli del “gruppo” che non quelli di casa. Si, qualche volta risulta più facile “andare” nel lebbrosario di Marituba, in Amazzonia, che “avvicinare” la vecchia zia che sta in un ricovero a dieci minuti di strada e che può essere vittima di solitudine”.

Francesco è il Papa della “Chiesa in uscita”, a lui risale questa formula molto espressiva e ricca di suggestioni. La Chiesa deve uscire incontro ad ogni bisognoso nel fisico e nello spirito e intervenire efficacemente. È “la dinamica dell’esodo e del dono – precisa il Papa -, dell’uscire da sé, del camminare e del seminare sempre di nuovo, sempre oltre…”. La missione ci dispone in cammino verso “l’altro” con la guida della Parola di Dio, che è dynamis e parresia, cioè è “potenza e franchezza”.

“Francesco guarda al destinatario e all’interlocutore cui rivolge la proposta del Vangelo – così monsignor Bruno Forte al Convegno CISM-USMI 2015 -: il suo modo di approcciare le persone, specialmente i poveri, i malati, i sofferenti, la sua attenzione che si fa sguardo, abbraccio di tenerezza e sorriso di misericordia per tutti, è una maniera di essere e uno stile della proposta cristiana che tutti dovremmo riscoprire”.

Papa Francesco, Assisi, firma l'enciclica
Assisi, Papa Francesco firma l’enciclica Fratelli Tutti

Concludiamo riascoltando il pressante sollecito del Santo Padre: “Usciamo, usciamo ad offrire a tutti la vita di Gesù Cristo. Ripeto qui per tutta la Chiesa ciò che molte volte ho detto ai sacerdoti e laici di Buenos Aires: preferisco una Chiesa accidentata, ferita e sporca per essere uscita per le strade, piuttosto che una Chiesa malata per la chiusura e la comodità di aggrapparsi alle proprie sicurezze”. (FINE)

Foto tratte dal web

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