La settimana nella quale siamo appena entrati è l’ultima dell’anno liturgico. Il Vangelo di domenica è quello che prospetta a tutti noi il metro del giudizio di Dio sulla nostra adesione o sulla nostra incuria riguardo al comandamento dell’amore. In sintesi si tratta di sei delle opere di misericordia corporale (la settima, seppellire i morti, fu introdotta dalla Chiesa in un’epoca in cui i cadaveri abbandonati nelle strade erano diventati quasi una normalità). L’identificazione del Cristo con il povero, con chi è nel bisogno, ci interpella certamente come singole persone, ma è al tempo stesso un fatto collettivo, un fatto politico e sociale, ai livelli internazionale, nazionale e locale.

In questo 2023 sono passati quasi inosservati i rapporti dell’Onu sui pesanti ritardi – e in qualche caso i regressi – della cosiddetta agenda 2030 sugli obiettivi da raggiungere per quella data per restituire un po’ di giustizia a un mondo in cui si è allargata a dismisura la forbice tra i miliardi di persone che hanno bisogno di tutto e da un’infima minoranza famelica e predatoria che detiene la quasi totalità della ricchezza del mondo e che l’ha vista aumentare lucrando sull’odio. Le responsabilità della politica sono rese evidenti dalla contrazione dei finanziamenti allo sviluppo, alla tutela dell’ambiente umano, alla costruzione della pace, mentre è spaventosamente cresciuta la spesa in armamenti.

Sembra un fatto più grande di quanto ciascuno di noi possa fare individualmente. Ma dare un senso alla nostra presa di coscienza è comunque importante.

Tommasa Alfieri
Tommasa Alfieri, fondatrice di Sosta e Ripresa

Sosta e Ripresa torna a offrire in questi giorni il contributo di riflessione della sua fondatrice, Tommasa Alfieri, appunto sulle opere di misericordia, ritenendolo utile a questo scopo.

La prima di queste azioni riguarda la lotta alla fame, in un mondo in cui un decimo dell’umanità non ha cibo a sufficienza, in cui centinaia di milioni di persone muoiono per denutrizione. Erano, sempre secondo l’Onu, 613 milioni nel 2019, oggi sono diventate 735.  Altri 122   milioni vittime innocenti nel mondo e anche appena fuori dalle nostre porte di casa.

DAR DA MANGIARE AGLI AFFAMATI

Opere di misericordia

È la stessa cosa: la fame di Cristo nella fame dell’uomo. La realtà misteriosa della Sua Presenza nelle membra del Suo Corpo mistico: l’abisso del Suo Amore che assume e fa suoi i bisogni dell’uomo. Accorgersi di quella fame, della fame dell’uomo che è fame del corpo, fame dello spirito, spesso doppia fame. Non essere satollo: la fame degli altri è la fame stessa di Cristo e deve essere la mia fame. Patire in me la fame degli altri: accorgermene perché mi morde dentro, non perché è un episodio esterno che vedo senza che mi tocchi. Offrire, dare, dividere: è un dovere di Fede, di giustizia, di amore. Sovvenire alla fame dell’altro presto, subito, perché non diventi demolitrice e non distrugga le ultime risorse, perché non spenga le ultime fiducie e le ultime speranze. Qualsiasi fame: da quella del corpo a quella dell’anima. La prima ha bisogno di pane e companatico, la seconda ha bisogno di luce, di sostegno, di conforto; ambedue hanno bisogno di un cuore generoso, sacrificato, costante, instancabile. Senza tanti inutili ragionamenti, valutazioni e conclusioni più tendenti a sminuire il proprio obbligo che illuminare il bisogno altrui. Nostro Signore ha tagliato corto “Ero io che avevo fame”. (Uno sguardo che accarezza la memoria. Dagli scritti di Tommasa Alfieri. Ed Amici della Familia Christi 2010 Viterbo pag. 235).

Le foto dei titoli di questo e dei prossimi contributi sulle opere di misericordia corporali, scattate da Maurizio Pinna e che fu la stessa Tommasa Alfieri a scegliere, sono delle formelle medievali del portale della chiesa viterbese di Santa Maria della Salute,

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