La mancanza di acqua potabile uccide anche più della fame. Secondo i dati dell’Onu, un miliardo e mezzo di persone, per un terzo bambini, vivono in aree del mondo ad alta o altissima vulnerabilità idrica. Cioè un bambino su cinque nel mondo non ha abbastanza acqua per soddisfare le sue esigenze quotidiane. Ogni giorno ne muoiono più di settecento, soprattutto di diarrea causata da acqua e servizi igienici non sicuri. E quelli che non muoiono hanno ritardi irreversibili nella crescita. Nel mondo sono quasi 150 milioni i bambini sotto i cinque anni di età a subire tali danni allo sviluppo fisico e mentale che comprometteranno per sempre la loro esistenza.
In termini assoluti le cifre più alte si registrano in Asia, ma in percentuale è l’Africa orientale e meridionale il continente più colpito, con quasi sei persone su dieci che hanno difficoltà ad accedere a una quantità sufficiente di acqua ogni giorno. In Asia meridionale e nel Medio Oriente sono circa un quarto delle popolazioni. Per non parlare delle guerre per l’acqua che nell’ultimo quindicennio si sono moltiplicate. E in prospettiva minacciano di allargarsi ulteriormente in diverse aree del mondo. Si pensi, per citarne solo alcune da tempo teatro di irrisolte tensioni, per l’Africa al corso del Nilo riserva di molti Paesi; in Asia al Mekong in Indocina e al fiume Indo in Pakistan i cui affluenti nascono in India; nel Vicino Oriente al bacino fluviale del Giordano controllato da Israele che decide sull’accesso all’acqua anche dei palestinesi e al controllo turco delle sorgenti del Tigri e dell’Eufrate, da cui dipendono Siria e Iraq.
Non un destino che non può essere mutato, né tantomeno un castigo di Dio, secondo un’espressione tanto usata quanto errata se riferita al Cristo. È una conseguenza di scelte politiche forsennate o peggio supine agli interessi predatori di chi accumula ricchezze speculando anche su questo e vanificando anche in questo gli sforzi per conseguire gli obiettivi dell’Agenda 2030 dell’Onu. Né il sud devastato del mondo è il solo teatro di questa vergogna. Anche alle nostre latitudini, nei nostri Paesi, nella nostra Italia la speculazione privata sull’acqua è favorita da politiche che tralasciano compiti essenziali di difesa di uno tra i principali beni pubblici, a partire dalla mancata messa in sicurezza dei territori e dal mancato risanamento delle reti idriche che procura sprechi spaventosi, per non parlare della mancata regolazione intelligente dell’uso dell’acqua in agricoltura e nell’industria.
Tuttavia un contributo pesante viene anche dalla mentalità comune, dalle nostre abitudini, più o meno indotte, che non percepiscono il rischio idrico. Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità, tecnicamente lo spreco di acqua avviene quando se ne consumano più di 50 litri al giorno. In Italia, stando ai dati dell’Istat, la media è cinque volte superiore. E appena l’1 per cento, due litri e mezzo, si beve. Il resto del consumo privato va per bagni, docce, scarichi delle cassette dei servizi igienici, lavatrici e lavastoviglie. Solo per lavarsi i denti, se si lascia il rubinetto aperto mentre lo si fa, si sprecano in media trenta litri d’acqua.
DAR DA BERE AGLI ASSETATI
C’è la sete del corpo; è dura, è peggiore della fame e si sopporta male. C’è l’arsura della malattia, è un tormento. Dar da bere a chi ha sete: è abbastanza facile, pare che l’acqua costi nulla. Comunque dissetare, essere pronti a dissetare chi ha sete, è un gesto prezioso e gentile. Secondo le circostanze può essere o può divenire una squisita opera di misericordia corporale.

C’è un’altra sete: facile a nascondersi, difficile spesso a scoprirsi, ardua ad estinguere. È la sete del deserto, senza orizzonte, senza ombra, senza pausa. La sete che leva le forze dell’anima, che porta a illudersi che mangiando la sabbia o la terra si arrivi a non sentirla più …. È la sete di chi è senza ideale, senza luce, senza Fede: è la sete che viene dopo il male, il peccato, il disordine. È una sete difficile perché spesso chi l’ha non sa o non vuol sapere di che cosa, di Chi ha sete.
C’è un’altra sete: la sete di chi soffre, di chi è solo, di chi è nella tristezza, di chi ha sperimentato la crudele aridità degli uomini e della vita …. la sete di chi non sa fare il balzo e salire alla Sorgente e bere …. per non aver mai più la nostalgia di un’acqua pulita, ma solo terrena. C’è un’altra sete: che non si può estinguere pienamente sulla terra, che più si beve e più si accende, la sete di Dio, la sete della piena giustizia del Suo Amore. La sete delle anime che hanno esperimentato “quanto è buono il Signore”. Ma questa sete è ineffabile gioia. “Avevo sete…”: la sete di Cristo nella sete delle sue povere creature! Dalla sete al Pozzo di Sichar, detta alla Samaritana, alla sete gridata dall’alto della Croce: Sitio! “Avevo sete…”: nella multiforme sete degli uomini è la sete di Cristo che le assume tutte e le avvicina a me. Ed io? Per dissetare bisogna possedere ciò di cui chi ha sete necessita; e possederla abbondantemente. E bisogna accorgersi della sete altrui e bisogna saper offrire. E attingere sempre, per me e per gli altri, alla Sorgente che dà “acqua zampillante fino alla vita eterna”. (Gv. IV, 14). (Uno sguardo che accarezza la memoria. Dagli scritti di Tommasa Alfieri. Ed Amici della Familia Christi 2010 Viterbo pagg 237-238).