Spezzeranno le loro spade e ne faranno aratri, delle loro lance faranno falci; una nazione non alzerà più la spada contro un’altra nazione, non impareranno più l’arte della guerra” (Is 2, 4). C’è una speranza ostinata di pace nella profezia di Isaia che ascoltiamo oggi nella liturgia della Parola di questa prima domenica di Avvento del 2022. Ostinata e consolatoria, perché la visione che offre indica una strada da percorrere certo con fatica, ma anche con responsabile convinzione, in questo tempo di attesa della venuta del Signore, di Avvento appunto. Se abbiamo fiducia nella Parola del Signore, sappiamo che questo tempo liturgico ci invita a riflettere e ad agire sulla vicenda di vita nostra e dell’umanità intera, guardando al senso, oggi come sempre, all’annuncio angelico della pace nella notte di Natale che questa attesa compie. Riflettere su quanto dobbiamo, agire per quanto possiamo.

Isaia, Cappella Sistina. Michelangelo Buonarroti
Isaia, Cappella Sistina. Michelangelo Buonarroti

Senza questa convinzione sarebbe facile, forse persino inevitabile il prevalere dello scoramento di fronte alle ombre e alle minacce che vediamo incombere e aggravarsi sul mondo e anche sul nostro Paese, dall’aumento della miseria delle fasce più deboli delle popolazioni allo sfruttamento sempre più sistematico del lavoro, in molti casi degradato a condizioni di vera e propria schiavitù, all’accentuazione del disastro ecologico, all’irrisolta diffusione di malattie endemiche e pandemiche. Fino alla scelta, criminale e insieme stupida della guerra. Stupida perché nulla si perde con la pace, salvo i guadagni dei costruttori di morte, intrisi di sangue e di fame degli sventurati che i conflitti travolgono.

Sì, dobbiamo pregare e riflettere perché il contesto nel quale siamo immersi è sempre più intessuto da una negazione pervicace di ragionevolezza nella quale si perdono le voci dei costruttori di pace, compresa quella del magistero di Papa Francesco, ridotte – o meglio irrise e banalizzate – a “ingenui sentimenti” nel linguaggio della politica, della stampa e purtroppo di larghe fasce delle opinioni pubbliche. Fasce che spesso comprendono anche persone che pure si dichiarano cristiane. Si arriva persino ad ascoltare – a chi scrive è capitato – persone che all’uscita da una Messa domenicale persone sproloquiano di aggressori e aggrediti (collocandosi sempre tra i “buoni” aggrediti e magari indicando tra gli aggressori migranti e nomadi e chiamando vagabondi o “furbetti” i senza lavoro). C’è qualcosa di strano, o meglio di insano, in tutto questo. Vale per tutti, ma per quanti si professano cristiani non è solo stupido, è colpevole, è peccato.

Gli interventi della Santa Sede nei consessi internazionali, quelli dei vescovi nelle comunità nazionali e locali, quelli del volontariato di servizio, cattolico e non solo, trovano sempre meno ascolto e soprattutto incidenza. La vicenda dell’Ucraina ce ne ha dato l’ennesima dimostrazione.

Papa Francesco Gli appelli del Papa a cercare le vie della pace, della diplomazia, del dialogo rispettoso delle ragioni dell’altro, nei mezzi di comunicazione sono relegati a spazi minimi, pagine interne dei giornali e notizie secondarie di radio e televisione, e sono tra gli argomenti meno trattati nei social internettiani, ormai principale fonte informativa di tante persone, soprattutto tra i giovani. Né il contributo di verità della stampa cattolica riesce purtroppo più di tanto ad arginare quell’orgia di menzogne, che dovrebbero bastare fatti e cifre a denunciare.

Perché proprio fatti e cifre sostengono le parole del Papa contro la guerra, contro l’oppressione del povero, contro la cultura dello scarto, sulla necessità di un’economia diversa basata sulla dignità del lavoro e non sul primato del profitto di pochi.  La sua voce e tutte quelle di giustizia e di buon senso sono tutt’altro che ingenue, anche sforzandosi di ignorare il tragico conteggio di morti, feriti, profughi che le guerre comportano e ragionando secondo le categorie tanto ai laudatori del “libero” mercato.

Basti l’esempio del cosiddetto prodotto interno lordo (Pil): le guerre assorbono il 13% di quello mondiale e sottraggono alle necessità delle popolazioni oltre 14 trilioni di dollari (in cifra si scrive 14 seguito da dodici zeri). La sola spesa diretta in armamenti, in continua crescita nell’ultimo ventennio, nel 2020, ultimo dato accertato dal Sipri di Stoccolma (Istituto di studi sulla pace tra i più prestigiosi e attendibili al mondo) è stata di duemila miliardi di dollari, per il 56% da Paesi della Nato, seguiti da Cina e Russia che insieme non raggiungono la metà della cifra statunitense. Mancano dati certi sul passato più recente, ma è evidente che la guerra in Ucraina ha aumentato la spesa, dato che le altre guerre non si sono certo fermate.

Nello stesso anno il bilancio della Fao e delle altre organizzazioni dell’Onu per sostegno all’agricoltura e all’alimentazione è stato di due miliardi e mezzo di euro. E l’anno scorso e quest’anno è diminuito, mentre il solo ultimo stanziamento per armi all’Ucraina deciso da Washington nel 2022 è stato di 21 miliardi di dollari, una cifra bastante a rimettere in moto la quasi totalità dei progetti di sviluppo sociale dell’Onu fermi da almeno un quinquennio.

Duemila miliardi l’anno significa più o meno cinque miliardi e mezzo al giorno. Un giorno di spesa per gli armamenti è più del bilancio annuale dell’Organizzazione mondiale della sanità. Circa 150 miliardi, un mese di spesa in armi, secondo le stime della Banca Mondiale garantirebbero acqua potabile e servizi igienico-sanitari di base a quanti nel mondo non ne hanno, oltre due miliardi di persone, riducendo drasticamente le malattie, soprattutto infantili, e per inciso contenendo in modo significativo il fenomeno migratorio. Con 267 miliardi di dollari in più l’anno, spesi per le armi in una cinquantina di giorni, secondo l’Onu, si metterebbe fine alla fame nel mondo entro il 2030.

Il Papa e gli altri “ingenui” in fondo ci dicono che la profezia di Isaia è un buon affare per l’umanità.

 

 

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