Cosa fa un orologio? Facile: segna le ore. Ma come si contano le ore di un detenuto? Come si scandisce il tempo verso quel “fine pena” che gli riaprirà il portone di un carcere? Come lo si riempie assolvendo a quello scopo di riabilitazione che alla detenzione imporrebbe a tutti il dettato costituzionale e ai cattolici impone la sesta delle opere di misericordia corporale indicate dalla dottrina della Chiesa?

Gavac Viterbo laura ciulli C’erano tre orologi artigianali, opera di Goffredo, un detenuto al quale al “fine pena” mancano ormai le ore di un ultimo mese, su una delle postazioni allestite per la giornata conclusiva del Festival del Volontariato, domenica 26 maggio a valle Faul, a Viterbo.

Era quella congiunta del GAVAC, il Gruppo Assistenti Volontari Animatori Carcerari, e dall’associazione Amici del Beato Domenico della Madre di Dio, al secolo il passionista viterbese Domenico Bàrberi, figura luminosa dell’inizio del cammino dell’ecumenismo nell’Ottocento.

Possono dare una risposta a quelle domande i tre orologi donati da Goffredo, una risposta fatta di amicizia e di gratitudine. Fatta soprattutto del duplice impegno di chi un cammino di comprensione e di riscatto intraprende e di coloro che in questo lo sostengono e lo accompagnano.

Una risposta simile e congiunta a quella della presentazione fatta nel pomeriggio del volumetto di poesie “Nessuno è perduto per sempre” di Luigi Errichelli, un altro ex detenuto, edito congiuntamente dal GAVAC e dall’associazione intitolata al beato Bàrberi di cui riferisce in questa pagine il direttore editoriale di Sosta e Ripresa, Mario Mancini. Una presentazione fatta di letture di alcune di tali poesie da parte dell’autore, preceduta da brevi presentazioni delle due realtà associative di servizio al bisogno, da parte dello stesso Mancini e della presidente del GAVAC, Elisabetta  Gatti.

Le mani di Goffredo, le parole di Luigi, per entrambi intelletto e cuore, sono certo espressioni individuali di anime impegnate in un’esperienza di riscatto e di comprensione di sé, ma sono anche il racconto di quell’amicizia. E sono un promemoria per tutti coloro, compresi purtroppo molti sedicenti cristiani soliti usare, alla notizizia di un qualche reato, e spressioni come “sbatterli in carcere e buttare via la chiave”. Perché le porte di un carcere devono aprirsi e per farlo davvero esistono chiavi diverse, quelle materiali e quelle dell’impegno umano, sociale e cristiano, non ultima, per chi non ha il modo o l’attitudine ad agire in quest’ambito della misericordia, quella della preghiera.

Tommasa Alfieri pH Laura Ciulli
Tommasa Alfieri

Scriveva Tommasa Alfieri, la fondatrice di questo giornale che a lei si ispira: “Poche miserie, come quella che si risolve nel carcere, hanno tanto bisogno della preghiera. Dove non può arrivare o non può agire la parola, il consiglio, l’ammonimento, agisce la preghiera. Essa si insinua nelle crepe aride del male e vivifica e rinverdisce possibilità impensate di ritorno. Con la preghiera si visita il carcere, qualunque, dovunque, in ogni momento”.

Da Uno sguardo che accarezza la memoria. Dagli scritti di Tommasa Alfieri. Ed. Amici della Familia Christi 2010 Viterbo. Pag.254

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