Qual è la nudità da rivestire della quale ci parla il Vangelo, quella che attraversa il racconto biblico come archetipo della vicenda umana? Di cosa è fatta? Per Adamo dopo il peccato è vergogna per la propria condizione esistenziale. Lo stesso può dirsi per il figlio cosiddetto prodigo della parabola del Padre misericordioso, partito con abiti sfarzosi e tornato coperto di brandelli laceri. Per i tanti senzatetto che vagano nelle nostre città è soprattutto il rifiuto di separarsi dal poco che posseggono. Lo sanno bene quanti hanno avuto modo di incontrarli presso le strutture della Caritas o di altri enti assistenziali e li hanno visti tentennare prima fare una doccia.  Prima cioè di deporre uno ad uno tutti gli indumenti che possiedono e indossano sempre, uno sull’altro, in inverno quando le uniche coperte che trovano per ripararsi sono spesso fogli di cartone, ma anche in estate, quando magari si spingono fino al mare, ma non si spogliano, non lasciano i vestiti a riva per concedersi un bagno.

Sì, la nudità è il contrario del possesso di qualcosa, sia pure minimo, che scaccia vergogna e timore. Sempre. Anche in quelle nudità esibite, esaltate dalla pubblicità che le offre agli sguardi della concupiscenza, di solito maschili, come un possesso da afferrare, fatto di giovinezza, perché vecchi e vecchie nudi sui cartelloni pubblicitari e nei film di solito non se ne trovano – e persino rivendicate come diritto di libertà quando di fatto si riducono a diritto di mercificare il corpo delle donne, fino a farlo considerare un bene materiale da consumare a proprio piacimento. Si, la nudità e un’icona della fragilità esistenziale.

Opere di misericordia Come si riveste allora? Con il dono a quanti hanno bisogno di vesti. Non quello superficiale di una beneficenza un po’ pelosa che spinge a regalare abiti usati soprattutto per svuotare gli armadi per fare più spazio a nuovi abiti. Con quello del Vangelo: “chi ha due tuniche ne faccia pare a chi non ne ha (Luca 3,10-15)”. Quello di Martino di Tours che taglia in due il suo mantello per scaldare oltre a se stesso anche un mendicante tremante di freddo, nel gesto che fa del soldato che era un vescovo apostolo dei poveri. Quello della partecipazione personale all’aiuto dato a un altro, fosse pure con un sorriso e una parola gentili quando si dà una moneta a un mendicante all’uscita da una chiesa o a chi ti lava il parabrezza a un semaforo.
Perché il dono autentico che riveste la nudità di tante esistenze è quello che ne comprende davvero l’ingiustizia, è la condivisione di qualcosa di chi ha molto con chi non ha nulla. E sarebbe, a tutti i livelli, anche il miglior programma politico e sociale possibile.

VESTIRE GL’IGNUDI

Pare, alcune volte, che la “civiltà del benessere” abolisca certe povertà e quindi certe necessità e renda inattuabili alcune opere di misericordia che un tempo, in altre situazioni di ricchezza e di indigenza, erano presenti ad ogni passo. Riviene in mente il gesto di San Martino che con la spada dimezza il suo mantello per poter darne una parte al povero seminudo. Riviene in mente S. Caterina da Siena che si leva la cappa per darla al povero vecchio infreddolito e mal vestito.

Tommasa Alfieri pH Laura Ciulli
Tommasa Alfieri

Oggi…. sembra impossibile: ma non lo è. Anche oggi c’è chi ha abiti e chi ha stracci. “I poveri li avrete sempre con voi…”; e basta guardare con occhio attento per scoprire la miseria, nel suo significato vasto e mordente, dietro l’usura di un abito e la trasandatezza di un aspetto. Miseria che poi forse non è solo di abiti, ma di costume di vita e di abitudini più o meno stonate; ma che resta miseria tanto più spessa quanto più l’insufficienza delle cose necessarie è dovuta più che all’incolpevole carenza di queste, al volontario disordine dell’anima e della condotta. Comunque a questa miseria noi dobbiamo sovvenire non dando lo scarto di quello che abbiamo, il nostro non più usabile, ma ciò che abbiamo di buono, di migliore, di ottimo …. nei gradi di scelta e di dono dettati dalla carità crescente in noi e dalla certezza di Fede che col VESTIRE GL’IGNUDI i nostri panni non li buttiamo sulle spalle di qualcuno, ma su quelle di Cristo ignudo. Non faremo allora i solleciti doni per i pacchi che vanno da anonimo ad anonimo, vicini o lontanissimi, ma metteremo tutta l’attenzione premurosa di chi sa a Chi dona e perché dona. Impareremo allora ad andare a soccorrere miserie e nudità ben più dure di quelle di un corpo, quelle che il Signore ha fatto entrare nella sua Via Crucis “e fu spogliato delle sue vesti”, quelle prodotte dal peccato che ha strappato la “veste candida”. Quelle che bisogna soccorrere umilmente in ginocchio, pregando, soffrendo ed offrendo. (Uno sguardo che accarezza la memoria. Dagli scritti di Tommasa Alfieri. Ed Amici della Familia Christi 2010 Viterbo pagg 241-242).

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