Ci apprestiamo a celebrare la Pasqua, ancora una volta, dopo una quaresima intossicata da pensieri di morte e purtroppo di odio e violenza, soffocata dalla stretta di paure più o meno indotte, più o meno alimentate. Quanto accaduto in Ucraina in questi quasi due mesi ha rigettato parte dell’Europa direttamente, l’Europa tutta indirettamente, negli anni più bui del secolo passato. A tempistica invertita, si ripete quanto accaduto cento anni fa: allora la prima guerra mondiale, “inutile strage” nella definizione di Benedetto XV, fu seguita da un’epidemia devastante, quella della cosiddetta spagnola; oggi un’epidemia non ancora sconfitta è seguita da una guerra.
Altrettanto simile, forse di più, è il paragone con gli anni Venti, Trenta e Quaranta del Novecento, con l’affermarsi dei nazionalismi di vocazione totalitaria destinati a riprecipitare l’Europa nella guerra, la seconda mondiale, in qualche modo più spaventosa della prima, grazie all’accresciuta capacità di uccidere, con i bombardamenti sistematici delle città culminati nell’orrore spaventoso di Hiroshima e Nagasaki. E oggi, dopo i decenni dell’equilibrio del terrore, alle nuove generazioni torna a proporsi l’ipotesi forsennata dell’uso delle armi atomiche.
E c’è persino il colpevole ricorso da parte di leader che il ruolo chiamerebbe alla misura e al controllo delle affermazioni, al termine genocidio per definire quanto sta accadendo in Ucraina, in una banalizzazione propagandistica finalizzata a far ingoiare alle opinioni pubbliche l’aumento delle spese in armamenti in ossequio agli interessi degli apparati industriali e di quelli politici e militari a essi strettamente collegati.
Sì, viviamo giorni difficili. Tutti noi europei, dopo decenni di anestetizzazione dei principi di solidarietà originari della costruzione dell’unità del continente, siamo esposti alla paura, siamo immensi nelle distorsioni cacofoniche e nelle menzogne che si accavallano nell’informazione, compresa quella istituzionale. Persino lo sforzo lodevole di solidarietà con i profughi ucraini trova voci sciagurate, venate di razzismo, che lo distinguono da quel principio generale, distinguono quei profughi da tutti gli altri, dai milioni e milioni considerati invasori minacciosi.
Scrivevo lo scorso anno, il secondo della pandemia, che il dovere della stampa, soprattutto quella cattolica nella quale ha una piccola parte questa testata, è ritenere l’informazione una missione di servizio, che occorre “…informare anche del dolore che attraversa la nostra società in questo tempo, quel dolore che il Triduo ci insegna a comprendere, sia pure non sempre a sopportare, in noi stessi e in quanti amiamo e ai quali ci sembra di non poter dare aiuto, sollievo. Perché il dolore ci fa sentire impotenti, scava voragini nell’anima. E allora dobbiamo imparare a indagarle quelle voragini, sapendo, credendo che questi spazi possono diventare contenitori diversi, possono misteriosamente riempirsi di gioia. Sì, misteriosamente. È questo il mistero della nostra fede che proclamiamo a ogni Messa”.
Se questa è la fede che professiamo, non possiamo e non dobbiamo più vivere da morti nel nostro egoismo, accettare che il peccato resti vincitore. Scriveva don Tonino Bello, figura luminosa di sacerdote e vescovo il cui processo di canonizzazione si avvia a conclusione: “Riconciliamoci con la gioia. La Pasqua sconfigga il nostro peccato, frantumi le nostre paure e ci faccia vedere le tristezze, le malattie, i soprusi e persino la morte dal versante giusto, quello del ‘terzo giorno’. Di lì le sofferenze del mondo non saranno più i rantoli dell’agonia, ma i travagli del parto. E le stigmate lasciate dai chiodi nelle nostre mani saranno le feritoie attraverso le quali scorgeremo fin d’ora le luci di un mondo nuovo”.
Sì, motivi di inquietudine, persino di scoramento, non mancano. La paura paralizza il pensiero, avvelena i pozzi sulle vie della nostra convivenza, ci spinge a un’autoreferenzialità egoistica che la perpetua. Ma la Pasqua viene a ricordarci che la nostra fede poggia sull’amore sconfinato di Dio, che le nostre sofferenze e i nostri peccati Gesù se li è assunti e che anche per noi prendere la croce significa avviarsi alla resurrezione.
Santa Pasqua a tutti

Direttore Responsabile
Giornalista professionista, ha lasciato a fine febbraio del 2016, pochi giorni dopo il suo sessantesimo compleanno, L’Osservatore Romano, il giornale della Santa Sede, dove aveva svolto la sua professione negli ultimi trent’anni, occupandosi principalmente di politica internazionale, con particolare attenzione al Sud del mondo.
Ha incominciato la sua professione giornalistica nel 1973, diciassettenne, a L’Avanti, all’epoca quotidiano del Partito Socialista Italiano, con il Direttore Responsabile Franco Gerardi. Nello stesso periodo, fino al 1979, ha collaborato con la rivista Sipario e ha effettuato servizi per l’editrice di cinegiornali 7G.
Ha diretto negli anni 1979-1980 i programmi giornalistici di Radio Lazio, prima emittente radiofonica non pubblica a Roma, producendovi altresì i testi del programma di intrattenimento satirico Caramella.
Ha poi lavorato per l’agenzia di stampa ADISTA, collaborando contemporaneamente con giornali spagnoli e statunitensi.
Nel 1984 ha incominciato a lavorare per la stampa del Vaticano, prima alla Radio Vaticana, dove al lavoro propriamente giornalistico ha affiancato la realizzazione, con altri, di programmi di divulgazione culturale successivamente editi in volume.
All’inizio del 1986 è stato chiamato a L’Osservatore Romano, all’epoca diretto da Mario Agnes, dove si è occupato da prima di cronaca e politica romana e italiana. Successivamente è passato al servizio internazionale, come redattore, inviato e commentatore. La prima metà degli anni Novanta lo ha visto impegnato in prevalenza nel documentare i conflitti nei Balcani e negli anni successivi si è occupato soprattutto del Sud del mondo, in particolare dell’Africa, ma anche dell’America Latina.
Su L’Osservatore Romano ha firmato circa duemila articoli sull’edizione quotidiana e su quelle settimanali. Ha inoltre contribuito alla realizzazione di alcuni numeri de I quaderni de L’Osservatore Romano, collana editoriale sui principali temi di politica, di cultura e di dialogo internazionali.
Collabora con altre testate, cattoliche e non, e con programmi d’informazione radiofonica e televisiva.
È Direttore Responsabile, a titolo gratuito, della rivista Sosta e Ripresa.
Ha insegnato comunicazione e politica internazionale in scuole di giornalismo e ha tenuto master di secondo livello, come professore a contratto, in Università italiane. Ha tenuto corsi, seminari e conferenze in Italia e all’estero. Ha tenuto corsi sull’attività diplomatica della Santa Sede in istituti superiori di cultura in Italia.
È autore di saggi, romanzi, raccolte di poesie, diari di viaggio, testi teatrali. Sue opere sono riportate in antologie poetiche del Novecento.
È tra i fondatori dell’Associazione Amici di Padre Be’ e della Fondazione Padre Bellincampi ONLUS, che si occupano di assistenza all’infanzia, e dell’associazione L.A.W. Legal Aid Worldwide ONLUS, per la tutela giurisdizionale dei diritti dell’uomo. Ha partecipato a progetti sociali per la ricostruzione di Sarajevo. È stato promotore e sostenitore di un progetto di commercio equo e solidale realizzato in Argentina.