Vorrei pieno il Cielo, svuotato il Purgatorio, chiuso l’Inferno” diceva Elisabetta Sanna, sposa e madre di cinque figli (altri due morirono poco dopo la nascita), beatificata il 17 settembre 2016, dal cardinale Angelo Amato, allora prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, nella Basilica della Santissima Trinità di Saccargia, comune di Codrongianos, in provincia di Sassari. Una donna vissuta a cavallo tra il 1700 ed il 1800, che rimasta vedova diventa terziaria professa dell’Ordine dei Minimi di San Francesco, del Sodalizio dell’Unione dell’Apostolato Cattolico fondato da San Vincenzo Pallotti. Elisabetta Sanna fa parte, insieme a Maria Gabriella Sagheddu, Antonia Mesina, Giuseppina Nicoli, Maria Cristina di Savoia ed Edvige Carboni, costituisce l’elenco di ‘donne beate’ della Sardegna, alle quali si aggiungono fra Nicola da Gesturi e padre Francesco Zirano.

Se si capita sul lungotevere a Roma , provenendo da Ponte Sisto e percorrendo Via dei Pettinari, stretta, neanche tanto facile da trovare, si incontra è la chiesa di San Salvatore in Onda, nel rione Regola, dove è sepolta nella navata laterale a destra, “Mamma Sanna”, come viene affettuosamente chiamata. È impressionante come fedeli e devoti si fermino a pregare davanti alla sua tomba, lasciando lunghi messaggi sul libro firme, per ringraziarla e per affidarle le proprie pene, per confidarsi con questa ‘mamma beata’, che considerano come una di famiglia.

Tomba della beata Elisabetta Sanna
Tomba della beata Elisabetta Sanna

Una figura significativa e ancora oggi di un’attualità che fa riflettere, anche solo al racconto di cammino terreno nella fiducia e nell’obbedienza al Signore, in una famiglia in cui è costante la preghiera insieme a casa, la recita del Rosario, la partecipazione alle funzioni religiose e l’aiuto verso i poveri. Nei 43 anni vissuti in Sardegna all’ombra della basilica della Santissima Trinità di Saccargia partecipa assiduamente alle celebrazioni eucaristiche.

Nasce appunto a Codrongianos il 23 aprile 1788. Ad appena tre mesi viene colpita dal vaiolo, che le lascerà le braccia e le articolazioni alquanto irrigidite, praticamente inservibili. Eppure, impara a sopportare questa menomazione, accettandola e senza mai lamentarsi, sbrigando al meglio le faccende domestiche, sempre in ordine e pulita. Non può sollevare le braccia, solo muovere i polsi e le dita, non le è possibile accostare il cibo alla bocca, né lavarsi, ma impasta il pane. Nonostante la disabilità si prodiga dunque amorevolmente per la famiglia. “Mia moglie non è come le vostre, è una santa!”, diceva il marito Antonio Porcu.

Chiesa di san Salvatore in Onda, Roma
Chiesa di san Salvatore in Onda, Roma

Santità di tutti i giorni, dunque, in questa giovane donna che sebbene analfabeta, diventa catechista. È lei che prepara i suoi figli alla Confessione ed alla Comunione, trasmettendo loro l’amore a Gesù, con molta dolcezza.

Preghiera assidua, essere attiva nella carità verso i più bisognosi, penitenza ed abbandono e fiducia nel Signore sono i punti salienti della sua vita, da ragazza, di sposa e madre, nello stato vedovile vissuto come terziaria. La sua casa è aperta a tutte le donne che desiderano imparare preghiere, la sua casa diventa un piccolo oratorio, tanto che viene chiamata rispettosamente “Sa Monza”, la monaca. Rimasta vedova nel 1855, Elisabetta fa il voto di perpetua castità e incoraggiata dal predicatore quaresimale, decide di andare in Terra Santa, nei luoghi dove Gesù nacque e venne crocefisso, conscia che sua madre ed il fratello sacerdote don Luigi durante la sua assenza si sarebbero presi cura dei suoi figli, Luigi Maria fi 23 ann,i Salvatore Sebastiano di 20, Paola Maria di 16, Maria Domenica di 12 e Giuseppe Luigi di 9.

Parte da Porto Torres per la Palestina con il padre confessore don Giuseppe Valle. Ma una burrasca costringe la nave a una fermata forzata a Genova e da lì, per problemi di visto, si sposta a Roma. Tuttavia il viaggio le aveva procurato “un danno immenso alla salute” e la diagnosi del medico Petrilli fa escludere che possa tornare a imbarcarsi. È dunque costretta a rimanere nella capitale fino alla sua morte, come dichiara lei stessa in relazione alla domanda sulla sua permanenza a Roma testimoniando nel 1852 al processo di beatificazione di Vincenzo Pallotti.

Non rivedere i suoi cari, non riabbracciare i suoi figli sono un grande dolore, che Elisabetta accetta nell’affidamento a Dio e in un nuovo impegno a servire gli altri seguendo il Vangelo.

Chiesa di san Salvatore in Onda, RomaLaura Ciulli
di san Salvatore in Onda, Roma

La sua è una santità espressa giorno per giorno, allocata in due stanzette di fronte alla chiesa di Santo Spirito in Sassia, vicino alla basilica di San Pietro. Quell’ambiente diventa la sua ‘celletta’, vive come una eremita a Roma, nel centro della cristianità, pellegrinando nelle chiese per adorare Gesù Sacramentato, invitando gli altri a partecipare. All’elevazione dell’Ostia consacrata ripeteva e pregava così: “Eterno Padre vi offro il corpo il sangue di Gesù cristo i dolori e le lacrime e I sospiri di Maria santissima per tutti i fini che piacciono a voi per i bisogni temporali e spirituali di tutto il mondo specialmente per i bisogni della Santa chiesa e in suffragio delle anime del Purgatorio”, intenzione nella quale si sente l’influsso di un santo sacerdote romano don Vincenzo Pallotti, incontrato nella chiesa di sant’Agostino, fondatore della Società dell’Apostolato Cattolico, canonizzato da San Giovanni XXIII, nel gennaio 1963. Diventa il suo “confessore e direttore”, come risulta da verbale della causa di canonizzazione di Pallotti, nella copia pubblica ff501-510.

San Vincenzo Pallotti
San Vincenzo Pallotti

Ed è proprio alla scuola di don Vincenzo Pallotti, considerato come un apostolo, confessore di due papi Gregorio XVI e Pio IX, che Elisabetta Sanna, diventata terziara francescana e dopo aver donato tutto ciò che possiede ai figli, decide di vivere in assoluta povertà, incentivando la sua devozione alla Madonna tanto che la sua stanza diventa un piccolo santuario Mariano dove riunirsi per pregare insieme a lei. Elisabetta collabora con don Vincenzo con la preghiera, aiutando i più bisognosi e consigliando i dubbiosi, sostenuta nelle cure e nella crescita spirituale dal sacerdote che le trova anche un lavoretto presso l’arcivescovo Giovanni Soglia, futuro cardinale

Elisabetta Sanna Laura Ciulli Visita i malati nelle loro case e negli ospedali, particolarmente a San Giacomo degli incurabili, senza tener conto di pioggia, freddo o vento, si prodiga per sedare discordie nelle famiglie. Ha anche il dono del discernimento con il quale aiuta le tante persone che cercano il suo consiglio, pregando nella sua povera soffitta davanti al quadro della Virgo Potens. Quando muore don Pallotti, nel 1950, Elisabetta Sanna continua il suo operato conquistando il cuore dei romani che la chiamano la “santa di San Pietro”, sino al 17 febbraio 1857 quando spira, consumata dal male dall’artrite sempre più avanzata e per le innumerevoli penitenze alle quali si sottoponeva.

“Santa subito” per i cittadini dell’Urbe e infatti appena quattro mesi dopo inizia il processo di canonizzazione che però si ferma per quasi 160 anni, con difficoltà superate soltanto dopo il ritrovamento di alcuni documenti di un secolo prima, e si riaccende l’interesse per la sua causa. È pregata da ogni parte del mondo tanto che nel 2014 viene riconosciuto l’esercizio eroico delle virtù e quindi è dichiarata Venerabile. Affinché venga permesso il culto per un servo di Dio secondo la Chiesa è importante che si verifichi un fatto di natura miracolosa ossia umanamente inspiegabile ed ottenuto dopo preghiere rivolte al Signore, per intercessione del venerabile.

Il 18 maggio 2008 a Niteroi, in Brasile, una donna di 31 anni. Susana Correia da Conceiacão, durante la preghiera nella cappella del Santissimo Sacramento della chiesa parrocchiale appoggiata con il braccio malato all’altare, avverte un formicolio e inizia a muoverlo scoprendo così di essere in grado di stendere la mano e compiere normali gesti come tutti. È il miracolo certificato come guarigione dal dottor Walter Meohas, che successivamente la consulta medica vaticana diagnosticando la malattia come distrofia dell’avambraccio destro con grave impotenza funzionale constata che la guarigione è “istantanea completa e duratura non spiegabile scientificamente nel quoad modum”.

Un suo biografo scrive: “Aveva una grazia particolare per consolare gli afflitti, che, parlando con lei, sentivano tornare nei loro cuori pace e tranquillità. Inculcava a tutti carità e perdono dei torti ricevuti”.

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