Nasce un bambino. Per una volta tralasciamo il resto. Grotte (o stalle), mangiatoie, bestie varie, visitatori di diversa estrazione sociale. Persino quella famiglia che noi cristiani chiamiamo sacra. Nasce un bambino. Ci sarà un motivo se nel sentire più intimo di tutti – nell’inconscio collettivo direbbero alcuni – è l’evento simbolo per eccellenza di speranza e di gioia? Ma allora quel Bambino che nasce dovrebbe essere al centro di questo periodo che chiamiamo festivo. Nelle comunità ecclesiali in verità ci si sforza di lasciarcelo. A Viterbo, dove questo giornale si edita, due monasteri femminili ospitano in questi giorni una mostra, interessante e significativa, di “bambinelli”. Nelle parrocchie e in cattedrale si è rinnovata la dolce pratica di benedire le statuine di Gesù da mettere nel presepe di quelle famiglie che ancora lo fanno.

La lettera di Natale del vescovo Orazio Francesco Piazza ha bene aperto alle menti e ai cuori della comunità diocesana il senso del Natale in questa come in tutte le stagioni della nostra esperienza.
Ma intanto la città è invasa e in parte bloccata da un ammasso di strutture e di addobbi che con il vero protagonista del Natale hanno poco a che fare. Ed è così ovunque, in Italia e in tutta quella parte del mondo che si arroga il diritto di ritenersi “avanzata”. Per non citare televisioni, giornali, pubblicità varie, pseudoculture dominanti che il Natale travestono da fiaba commerciale, da presunta festa a base di ciccioni rossi su slitte trainate da renne volanti, ma che si guardano bene dal ricordare di che festa veramente si tratti. E, per carità di patria, per non valutare quelle scuole che escludono il presepe in omaggio a una presunta aconfessionalità, ma di sicuro non contrastano – né ormai lo fanno le famiglie – festeggiamenti e addobbi per ricorrenze d’importazione che hanno cancellato i gesti e i richiami della fede e della cultura millenaria di questa nazione per celebrare stregoni e vampiri.
Né certo aiuta a conservare la gioia del Natale la consapevolezza che i comportamenti individuali e collettivi i bambini li uccidono. Il Vangelo, la storia della salvezza ci ricorda che accadde anche in quella Betlemme del primo Natale, poco dopo che il coro angelico aveva cantato “Pace in Terra”. Quella strage d’innocenti si perpetua e si moltiplica nella storia, fino al nostro tempo in cui sta dilagando. Quello che si accinge a terminare è stato un anno d’orrore, di paura e di disperazione per milioni di bambini coinvolti nei diversi conflitti che insanguinano tante aree del mondo, spesso pluridecennali, anche se l’ultima crisi scaccia quelle precedenti da giornali e mezzi di comunicazione in genere.
Certo, da simili orrori l’infanzia in Italia è risparmiata (per quanto ci sarebbe molto da dire sulle tragedie che anche qui infettano i luoghi dell’emarginazione, a partire da quella dei bambini in balìa del crimine organizzato) ma la tutela, l’accoglienza e l’assistenza delle nuove generazioni perdono forza e senso, così come l’indirizzo di educazione – l’indirizzo politico, sociale e culturale – è sempre più degradato. Da un lato di ogni delitto consumato su un bambino si parla con morbosa insistenza, con ore di programmi televisivi e fiumi d’inchiostro, beninteso se il colpevole o presunto tale è un privato. Dall’altro dell’infanzia massacrata dall’incuria pubblica per i redditi familiari, dalla mattanza dei servizi sociali e della sanità pubblica non si parla con uguale insistenza.
Mentre traccio queste righe non ho risposte da offrire a me stesso e a chi mi legge, se non quella del grano e della zizzania che crescono insieme. Natale è gioia ed è speranza, eppure ogni anno, ogni Natale, quella gioia e quella speranza, che pure resta ostinata, le sento offuscate, appesantite dalle ferite incise nella memoria e nella carne da una vita trascorsa tra le sofferenze del mondo – e le più atroci sono quelle dei bambini – e si fa strada il il cedimento al pensiero di una solitudine certo impotente, ma pure in qualche modo difensiva. Ma rimane la fiducia nella Provvidenza, rimane oltre la tentazione della sterile autoreferenzialità, del rifugio in un “io” improduttivo, la convinzione del “noi” fecondo di bene, la consapevolezza che il Natale è soprattutto il Dio con noi.

Direttore Responsabile
Giornalista professionista, ha lasciato a fine febbraio del 2016, pochi giorni dopo il suo sessantesimo compleanno, L’Osservatore Romano, il giornale della Santa Sede, dove aveva svolto la sua professione negli ultimi trent’anni, occupandosi principalmente di politica internazionale, con particolare attenzione al Sud del mondo.
Ha incominciato la sua professione giornalistica nel 1973, diciassettenne, a L’Avanti, all’epoca quotidiano del Partito Socialista Italiano, con il Direttore Responsabile Franco Gerardi. Nello stesso periodo, fino al 1979, ha collaborato con la rivista Sipario e ha effettuato servizi per l’editrice di cinegiornali 7G.
Ha diretto negli anni 1979-1980 i programmi giornalistici di Radio Lazio, prima emittente radiofonica non pubblica a Roma, producendovi altresì i testi del programma di intrattenimento satirico Caramella.
Ha poi lavorato per l’agenzia di stampa ADISTA, collaborando contemporaneamente con giornali spagnoli e statunitensi.
Nel 1984 ha incominciato a lavorare per la stampa del Vaticano, prima alla Radio Vaticana, dove al lavoro propriamente giornalistico ha affiancato la realizzazione, con altri, di programmi di divulgazione culturale successivamente editi in volume.
All’inizio del 1986 è stato chiamato a L’Osservatore Romano, all’epoca diretto da Mario Agnes, dove si è occupato da prima di cronaca e politica romana e italiana. Successivamente è passato al servizio internazionale, come redattore, inviato e commentatore. La prima metà degli anni Novanta lo ha visto impegnato in prevalenza nel documentare i conflitti nei Balcani e negli anni successivi si è occupato soprattutto del Sud del mondo, in particolare dell’Africa, ma anche dell’America Latina.
Su L’Osservatore Romano ha firmato circa duemila articoli sull’edizione quotidiana e su quelle settimanali. Ha inoltre contribuito alla realizzazione di alcuni numeri de I quaderni de L’Osservatore Romano, collana editoriale sui principali temi di politica, di cultura e di dialogo internazionali.
Collabora con altre testate, cattoliche e non, e con programmi d’informazione radiofonica e televisiva.
È Direttore Responsabile, a titolo gratuito, della rivista Sosta e Ripresa.
Ha insegnato comunicazione e politica internazionale in scuole di giornalismo e ha tenuto master di secondo livello, come professore a contratto, in Università italiane. Ha tenuto corsi, seminari e conferenze in Italia e all’estero. Ha tenuto corsi sull’attività diplomatica della Santa Sede in istituti superiori di cultura in Italia.
È autore di saggi, romanzi, raccolte di poesie, diari di viaggio, testi teatrali. Sue opere sono riportate in antologie poetiche del Novecento.
È tra i fondatori dell’Associazione Amici di Padre Be’ e della Fondazione Padre Bellincampi ONLUS, che si occupano di assistenza all’infanzia, e dell’associazione L.A.W. Legal Aid Worldwide ONLUS, per la tutela giurisdizionale dei diritti dell’uomo. Ha partecipato a progetti sociali per la ricostruzione di Sarajevo. È stato promotore e sostenitore di un progetto di commercio equo e solidale realizzato in Argentina.