Gesù Bambino, pH Laura Ciulli

Nasce un bambino. Per una volta tralasciamo il resto. Grotte (o stalle), mangiatoie, bestie varie, visitatori di diversa estrazione sociale. Persino quella famiglia che noi cristiani chiamiamo sacra. Nasce un bambino. Ci sarà un motivo se nel sentire più intimo di tutti – nell’inconscio collettivo direbbero alcuni – è l’evento simbolo per eccellenza di speranza e di gioia? Ma allora quel Bambino che nasce dovrebbe essere al centro di questo periodo che chiamiamo festivo. Nelle comunità ecclesiali in verità ci si sforza di lasciarcelo. A Viterbo, dove questo giornale si edita, due monasteri femminili ospitano in questi giorni una mostra, interessante e significativa, di “bambinelli”. Nelle parrocchie e in cattedrale si è rinnovata la dolce pratica di benedire le statuine di Gesù da mettere nel presepe di quelle famiglie che ancora lo fanno.

Mons. Orazio Francesco Piazza
Mons. Orazio Francesco Piazza

La lettera di Natale del vescovo Orazio Francesco Piazza ha bene aperto alle menti e ai cuori della comunità diocesana il senso del Natale in questa come in tutte le stagioni della nostra esperienza.

Ma intanto la città è invasa e in parte bloccata da un ammasso di strutture e di addobbi che con il vero protagonista del Natale hanno poco a che fare. Ed è così ovunque, in Italia e in tutta quella parte del mondo che si arroga il diritto di ritenersi “avanzata”. Per non citare televisioni, giornali, pubblicità varie, pseudoculture dominanti che il Natale travestono da fiaba commerciale, da presunta festa a base di ciccioni rossi su slitte trainate da renne volanti, ma che si guardano bene dal ricordare di che festa veramente si tratti. E, per carità di patria, per non valutare quelle scuole che escludono il presepe in omaggio a una presunta aconfessionalità, ma di sicuro non contrastano – né ormai lo fanno le famiglie – festeggiamenti e addobbi per ricorrenze d’importazione che hanno cancellato i gesti e i richiami della fede e della cultura millenaria di questa nazione per celebrare stregoni e vampiri.

Bambini foto Laura Ciulli Né certo aiuta a conservare la gioia del Natale la consapevolezza che i comportamenti individuali e collettivi i bambini li uccidono. Il Vangelo, la storia della salvezza ci ricorda che accadde anche in quella Betlemme del primo Natale, poco dopo che il coro angelico aveva cantato “Pace in Terra”. Quella strage d’innocenti si perpetua e si moltiplica nella storia, fino al nostro tempo in cui sta dilagando.  Quello che si accinge a terminare è stato un anno d’orrore, di paura e di disperazione per milioni di bambini coinvolti nei diversi conflitti che insanguinano tante aree del mondo, spesso pluridecennali, anche se l’ultima crisi scaccia quelle precedenti da giornali e mezzi di comunicazione in genere.

Certo, da simili orrori l’infanzia in Italia è risparmiata (per quanto ci sarebbe molto da dire sulle tragedie che anche qui infettano i luoghi dell’emarginazione, a partire da quella dei bambini in balìa del crimine organizzato) ma la tutela, l’accoglienza e l’assistenza delle nuove generazioni perdono forza e senso, così come l’indirizzo di educazione – l’indirizzo politico, sociale e culturale – è sempre più degradato. Da un lato di ogni delitto consumato su un bambino si parla con morbosa insistenza, con ore di programmi televisivi e fiumi d’inchiostro, beninteso se il colpevole o presunto tale è un privato. Dall’altro dell’infanzia massacrata dall’incuria pubblica per i redditi familiari, dalla mattanza dei servizi sociali e della sanità pubblica non si parla con uguale insistenza.

Mentre traccio queste righe non ho risposte da offrire a me stesso e a chi mi legge, se non quella del grano e della zizzania che crescono insieme. Natale è gioia ed è speranza, eppure ogni anno, ogni Natale, quella gioia e quella speranza, che pure resta ostinata, le sento offuscate, appesantite dalle ferite incise nella memoria e nella carne da una vita trascorsa tra le sofferenze del mondo – e le più atroci sono quelle dei bambini – e si fa strada il il cedimento al pensiero di una solitudine certo impotente, ma pure in qualche modo difensiva. Ma rimane la fiducia nella Provvidenza, rimane oltre la tentazione della sterile autoreferenzialità, del rifugio in un “io” improduttivo, la convinzione del “noi” fecondo di bene, la consapevolezza che il Natale è soprattutto il Dio con noi.

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