Nessuno è perduto per sempre: con questa affermazione il Vescovo di Viterbo, Orazio Francesco Piazza si è avviato alla conclusione della omelia della Santa Messa per il Natale dei reclusi celebrata in questo giovedì 21 dicembre affermazione nella Cappella del carcere (Casa Circondariale) di massima sicurezza della città, meglio conosciuto come “Mammagialla”.
Una santa Messa incentrata su un messaggio di speranza, anzi di Speranza. Per l’occasione ha scelto la liturgia dell’Aurora di Natale: paramenti bianchi e canti di festa. Un gruppo di ragazze dell’Agesci, (l’associazione scoutistica cattolica,) ha portato all’altare una lampada accesa con la fiamma che arde senza sosta nella grotta della Natività a Betlemme, luogo di venerazione per cristiani e musulmani; in questi giorni gli scout l’hanno distribuita, da Betlemme, in giro per il mondo al motto: “Fare la pace rende felici”.
La celebrazione ha trovato nel carcere una situazione tutt’altro che carica di serenità. Si è svolta infatti all’indomani di una lite tra compagni di cella sfociata nell’omicidio di “Alessandro”. Tutta la comunità viveva con orrore la tragedia: “ospiti”, personale di sorveglianza, dirigenti, autorità civili di tutti i generi: tutti sentivano il peso della tragedia.
Il vescovo non ha girato intorno al fatto di cronaca, ma lo ha esorcizzato fin dall’atto penitenziale parlando di lutto della Comunità, di “impegno”, di “sensibilità”, di “responsabilità” per un cammino di recupero della dignità.
Non sono state solo parole di circostanza perché il vescovo si è rivolto direttamente alle autorità allineate in prima fila parlando di “amarezza per la distrazione della struttura civile” per la mancanza di risorse che crea un sovraccarico ingestibile della struttura ed elogiando il “cuore caldo” della direttrice e dei volontari.
Citando San Paolo: “non faccio il bene che voglio, ma faccio il male che non voglio” (Rm 7, 19), il vescovo non si è addentrato in ragionamenti teologici, ma ha condiviso con i reclusi che affollavano la Cappella, la lezione che suo padre, mastro muratore, faceva a lui ragazzino, su come sfaccettare le pietre prima della loro messa in opera: operazione utile per risparmiare il lavoro di preparazione della calce e necessaria per la stabilità del muro. Ha poi aggiunto come anche il diamante più è sfaccettato più è prezioso. Questo per indicare ed incoraggiare alla preghiera come sostegno al proprio impegno di ritrovare la luce che è in noi: c’è bisogno di farla brillare – “nessuno è perduto per sempre”.
Questo è il Natale di Speranza e di fiducia di “Mammagialla”.
Foto tratte dal web
Editore e Direttore Editoriale
Mario Mancini, nato in Roma nel 1943, dopo la laurea in scienze geologiche, con tesi in geofisica, nel 1967 e un anno di insegnamento della matematica in un istituto tecnico industriale romano, svolge per un quinquennio la sua professione di geofisico e sismologo prevalentemente all’estero, in particolare in Papua Nuova Guinea presso il Rabaul Central Volcanological Observatory e in Australia nella sezione aviotrasportata a Canberra, in entrambi i casi per la BMR Australia, intervallando le due esperienze con un viaggio di studio in Giappone nell’estate del 1970.
Rientrato in Italia nel 1972, si impiega come geofisico presso la CMP di Roma per la quale lavora per sei anni, con diversi incarichi in Italia e all’estero.
Fin da liceale, nel 1959, aveva conosciuto Tommasa Alfieri e l’Opera Familia Christi da lei fondata. La figura e la spiritualità della Signorina Masa, come i suoi discepoli chiamavano la Alfieri, resteranno per Mancini un fondamentale riferimento per tutta la vita. Laico consacrato nel gruppo maschile dell’opera già dal 1974, nel 1979 fa la scelta di dedicarsi completamente all’Opera e va a vivere nell’eremo di Sant’Antonio alla Palanzana.
Alla morte della fondatrice, nel 2000, l’intero patrimonio dell’Opera passa per testamento all’associazione Vittorio e Tommasina Alfieri, all’uopo voluta dalla stessa Alfieri e della quale Mancini era stato tra i fondatori.
Per accordi associativi, più tardi violati da persone riuscite ad assumere il controllo dell’associazione, Mancini resta all’Eremo, unica persona a risiedervi in permanenza e a occuparsene.
La nuova gestione dell’associazione, decisa a trasformare la Familia Christi da istituzione prettamente laicale e una confraternita sacerdotale anticonciliare, nel 2005 convince Mancini a dimettersi dall’associazione stessa, in cambio della promessa, purtroppo mai ratificata legalmente, di lasciargli l’Eremo.
Fino fino al 2012, questo luogo, sotto la conduzione di Mancini, che sempre nel 2005 ha fondato l’associazione Amici della Familia Christi e ha registrato presso il Tribunale di Viterbo la testata Sosta e Ripresa, anch’essa fondata da Tommasa Alfieri e della quale Mancini è direttore editoriale, svolge un prezioso compito di Centro di spiritualità e di apertura ecumenica e interreligiosa.
Nel 2012 la confraternita appropriatasi del nome di Familia Christi (poi sciolata dalla Santa Sede con riduzione allo stato laicale di tutti i suoi esponenti) in violazione degli accordi presi a suo tempo ottiene dal Tribunale la restituzione dell’Eremo.
Mancini resta a Viterbo e prosegue il suo impegno ecclesiale in vari uffici diocesani e nel comitato regionale per l’ecumenismo ed il dialogo interreligioso.