S’intitola ‘Nostalgia’ l’ultima delle Parole dall’Eremo scritte da Tommasina Alfieri che questo giornale da lei fondato ha ripubblicato negli ultimi due mesi giorno dopo giorno, dal 24 gennaio, memoria liturgica di san Francesco di Sales che dei giornalisti è patrono, all’ultimo giorno di quaresima, questo sabato 23 marzo.  L’eremo di quelle parole sapienti, veritiere, colme di fede certa, di speranza autentica, di carità palese in ogni gesto eppure sempre discreta, è – o meglio era – quello di Sant’Antonio alla Palanzana.

Sosta e Ripresa nacque in quel luogo e questo nome lo racconta. Era un luogo dello spirito, un luogo di sosta per laiche e laici decisi a vivere da cattolici la loro condizione nel mondo. Non un rifugio dunque, ma appunto un luogo in cui sostare per rafforzare l’essenziale, sapendo di essere chiamati a darne testimonianza nel mondo, a riprendere il viaggio quotidiano della vita tra gli altri, con gli altri e per gli altri. Di più: è stato una splendida realtà di accoglienza, di attenzione, di approfondimento culturale e spirituale, di cammino ecumenico e interreligioso.

Quel luogo ci è stato tolto, nei modi e da persone che abbiamo raccontato più volte. E neppure si può dire che sia tornato a essere un convento come era in origine – fu uno dei primi dei Cappuccini – perché il ministero ordinato è ridotto a una pratica solipsista, né il popolo di Dio può in esso accostarsi ai sacramenti. È diventato davvero un rifugio in cui si sono arroccati una manciata di uomini che dalla Chiesa si sono staccati per le loro idee e per i loro comportamenti e che la Chiesa ha pesato e valutato. Un luogo chiuso, sbarrato, ridotto a covo pronto ad accogliere tentativi scismatici, peraltro – almeno stando a notizie mai smentite – abbondantemente foraggiati finanziariamente.

Tommasa Alfieri pH Laura Ciulli
Tommasa Alfieri

Sono state queste notizie a spingere Sosta e Ripresa a raccontare di nuovo cosa l’Eremo era, a riproporre la lezione che Tommasina Alfieri ne trasse nelle centotrenta pagine delle sue sessantacinque Parole. La direzione di questo giornale ha fatto questa scelta decisa a rifiutare che il fango gettato sul nome dell’Opera di Tommasina Alfieri da chi se ne è impadronito più o meno proditoriamente sia destinato a impantanare anche il giornale da lei fondato. Ma il pericolo c’è e impone di riflettere.

Tommasa AlfieriLa nostalgia per l’Eremo, tanto dolce nelle parole di Tommasa Alfieri, in questi due mesi si è fatta più dolente, soprattutto in me che questo giornale dirigo. E pesa in questo il timore che quel pericolo si affermi, nonostante il sostegno avuto dal direttore editoriale Mario Mancini, che del patrimonio spirituale ed educativo della fondatrice di questo giornale resta il principale depositario, dalla vice direttrice Laura Ciulli e per la verità da almeno due o tre soci delle decine dell’associazione nuova editrice.

Ma si è fatta più intensa anche la memoria grata di quanto ricevuto da quell’Eremo e soprattutto dalla sua rifondatrice che lo acquistò quando era solo il rudere di un convento cappuccino e si fece ingegnere e costruttrice, architetta e arredatrice, agronoma e coltivatrice, creandone lo splendore e il senso che Parole dall’Eremo restituiscono. Quella memoria è un talento da far fruttare, non da seppellire. Perché chiunque e dovunque lo editi, la linea di questo giornale resta dettata dall’eredità di Tommasina Alfieri a un laicato consapevole. E anche questo impone una riflessione seria.

 

 

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