La partecipazione alla Messa resta il cuore e il fulcro della vita cristiana. Sosta e Ripresa intende offrire ai propri lettori un contributo di riflessione sulla liturgia festiva, nella convinzione che “spezzare la Parola” del Signore è indispensabile per meglio partecipare alla sua mensa eucaristica. In questo anno liturgico (A) incentrato soprattutto sul Vangelo di Matteo, ci guida e ci accompagna in questo cammino
padre Ubaldo Terrinoni OFM Capp da tempo firma importante e preziosa di Sosta e Ripresa, al quale la Direzione esprime gratitudine per questo ulteriore servizio.
Domenica 18 giugno 2023, XI domenica del tempo ordinario – Anno A
DODICI PER IL MONDO Mt 9, 36 -10, 8
Ogni discepolo è chiamato a lasciare tutto per seguire il Maestro. Però il lasciare non è tutto, non è l’impegno più importante e risolutivo. Ciò che invece conta è il seguire Gesù. Gli evangelisti mettono ripetutamente l’accento sul verbo seguire: “…e lasciate le reti lo seguirono” (Mc 1,18); “ed essi, lasciato il loro padre, lo seguirono” (Mc 1,20); “quello si alzò e lo seguì” (Mc 2,14). Quindi, il lasciare non è tutto, perché è in vista della sequela. È il termine seguire che contraddistingue il discepolo e non il termine lasciare o imparare. Infatti non è in questione una dottrina da apprendere o dei princìpi etici da accogliere intellettualmente e basta! Tutt’altro!
Qui balza in primo piano una persona da seguire: è la Persona divina di Gesù che si offre al discepolo e costituisce il fatto essenziale, nuovo e unico che riempie tutta una vita e fa svalutare ogni altro bene che si è lasciato alle spalle. Ogni realtà terrena sbiadisce al suo confronto; ogni cosa perde fascino, attrattiva, interesse. Questa è l’avventura più affascinante della vita, che coinvolge tutto l’essere umano: mente, cuore, spirito, volontà, ideali, programmi, e anche limiti, paure, povertà, miserie… É determinante la sequela, perché la scoperta di Gesù proietta luce nuova sulla identità del discepolo, sul suo futuro e sul suo destino. Ovviamente, la sequela è per ogni uomo e non privilegio di pochi.
Però, seguire il Maestro non comporta un vago e generico riferimento alla sua divina Persona, ma richiede di percorrere la sua stessa strada, fare le sue stesse scelte, assumere i suoi stessi ideali e tendere progressivamente a identificare la propria vita con la sua, per fare di due un’unica vita nell’impegno crescente dell’amore. L’apostolo Paolo infatti dirà di sé: “Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me. Questa vita che vivo nella carne io la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha dato se stesso per me” (Gal 2,20).
Rispondere con l’amore all’amore: questa è la suprema vocazione dell’uomo; è vocazione, è precetto, è dono. Ogni discepolo chiamato alla sequela è chiamato per ciò stesso ad amare, a vivere l’amore: “con tutto il suo cuore, con tutta la sua anima, con tutte le sue forze e con tutta la sua mente” (Lc 10, 2). Il Maestro, nella sua impareggiabile pedagogia, pone ben presto il discepolo di fronte a due scelte radicalmente diverse, da esprimere liberamente: o amare o amarsi. Quest’ultimo, cioè l’amarsi, dice ripiegamento intimistico; l’amare invece dice dono di sé, dice pienezza di esistenza realizzata.
Si sa del resto che la lezione essenziale, e anche il programma di vita del Maestro per ogni discepolo, è donarsi nell’amore e per amore, perché soltanto nel dono si ha l’esperienza piena dell’amore. L’attitudine oblativa risulta come il gesto più eloquente della maturità di una persona, divenuta capace di fare di sé un dono totale e generoso.