Un nuovo “strumento” è venuto ad arricchire le possibilità di quanti vogliono percorrere le la Via Francigena e gli altri pellegrinaggi: si tratta della Joëlette, una carrozzina fuoristrada monoruota, che permette a qualsiasi persona diversamente abile di fare percorsi accidentati con l’aiuto di almeno due accompagnatori.
A Viterbo, a conclusione della Settimana del Pellegrino organizzata dall’associazione degli Amici della Via Francigena, questa domenica 10 settembre, due ragazze, accompagnate dalla squadra dei conduttori di Joëlette, patentati dopo un apposito corso, hanno partecipato a un tratto simbolico del pellegrinaggio, lungo i circa cinque chilometri che vanno dalla chiesa viterbese di san Pellegrino alla chiesetta campestre di Castel d’Asso.
Simbolico, perché qui si calcola la fatidica distanza minima di cento chilometri da Roma, indispensabile per ottenere all’arrivo in Basilica di San Pietro il “Testimonium”: il cartiglio che documenta l’avvenuta visita alla tomba dell’apostolo, dopo un percorso fatto a piedi o in bicicletta. O appunto in Joëlette.
Ad accogliere questo eccezionale pellegrinaggio, tutta la comunità della chiesetta che ha festeggiato camminatori ed operatori con la particolare benedizione del parroco don Luca Scuderi.

Fra i portatori “patentati” anche il presidente dell’associazione Amici della Via Francigena, Vincenzo Mirto e la consigliera comunale di Viterbo con delega per la Via Francigena ed il Giubileo, Alessandra Croci.
Come detto, l’incontro a Castel d’Asso ha concluso una settimana di iniziative a Viterbo, tappa fondamentale della via Francigena (quella che da Canterbury conduce a Roma) uno dei principali itinerari dei pellegrinaggi ai quali la fede spinge tante persone, con mete come il sepolcro vuoto di Nostro Signore Gesù Cristo, le tombe degli apostoli a Roma o a Santiago o le tombe dei martiri più famosi o degli altri grandi campioni della fede, i luoghi delle apparizioni mariane.
In questa Settimana del Pellegrino si sono susseguite conferenze, testimonianze, mostre, per meglio far conoscere questo fenomeno, che dagli albori del cristianesimo da strettamente privato ha assunto un aspetto sociale, connotato ormai persino da risvolti turistico-sportivi. In un convegno alcuni pellegrini, al rientro dal “Cammino” di Santiago, hanno condiviso le loro emozioni, indelebili, ma ancora fresche e vibranti della loro esperienza dal punto di vista interiore ed emozionale.

È stato ospite anche un pellegrino particolare, Giuliano Maltempi, un poliziotto in pensione che stava percorrendo la Via Francigena da Canterbury verso Roma, dedicando questo suo pellegrinaggio al raggiungimento della pace tra popoli e nazioni, come già raccontato sul nostro giornale dalla vicedirettrice Laura Ciulli.

Di rilievo anche la Mostra allestita in un duecentesco palazzo del quartiere medievale, che ha illustro attraverso venti pannelli descrittivi e gli oggetti caratteristici del pellegrino medievale, la storia, l’evoluzione, le caratteristiche del pellegrinaggio con uno sguardo anticipatore verso il prossimo Giubileo “ordinario” del 2025.
Foto e video di Mariella Zadro

Editore e Direttore Editoriale
Mario Mancini, nato in Roma nel 1943, dopo la laurea in scienze geologiche, con tesi in geofisica, nel 1967 e un anno di insegnamento della matematica in un istituto tecnico industriale romano, svolge per un quinquennio la sua professione di geofisico e sismologo prevalentemente all’estero, in particolare in Papua Nuova Guinea presso il Rabaul Central Volcanological Observatory e in Australia nella sezione aviotrasportata a Canberra, in entrambi i casi per la BMR Australia, intervallando le due esperienze con un viaggio di studio in Giappone nell’estate del 1970.
Rientrato in Italia nel 1972, si impiega come geofisico presso la CMP di Roma per la quale lavora per sei anni, con diversi incarichi in Italia e all’estero.
Fin da liceale, nel 1959, aveva conosciuto Tommasa Alfieri e l’Opera Familia Christi da lei fondata. La figura e la spiritualità della Signorina Masa, come i suoi discepoli chiamavano la Alfieri, resteranno per Mancini un fondamentale riferimento per tutta la vita. Laico consacrato nel gruppo maschile dell’opera già dal 1974, nel 1979 fa la scelta di dedicarsi completamente all’Opera e va a vivere nell’eremo di Sant’Antonio alla Palanzana.
Alla morte della fondatrice, nel 2000, l’intero patrimonio dell’Opera passa per testamento all’associazione Vittorio e Tommasina Alfieri, all’uopo voluta dalla stessa Alfieri e della quale Mancini era stato tra i fondatori.
Per accordi associativi, più tardi violati da persone riuscite ad assumere il controllo dell’associazione, Mancini resta all’Eremo, unica persona a risiedervi in permanenza e a occuparsene.
La nuova gestione dell’associazione, decisa a trasformare la Familia Christi da istituzione prettamente laicale e una confraternita sacerdotale anticonciliare, nel 2005 convince Mancini a dimettersi dall’associazione stessa, in cambio della promessa, purtroppo mai ratificata legalmente, di lasciargli l’Eremo.
Fino fino al 2012, questo luogo, sotto la conduzione di Mancini, che sempre nel 2005 ha fondato l’associazione Amici della Familia Christi e ha registrato presso il Tribunale di Viterbo la testata Sosta e Ripresa, anch’essa fondata da Tommasa Alfieri e della quale Mancini è direttore editoriale, svolge un prezioso compito di Centro di spiritualità e di apertura ecumenica e interreligiosa.
Nel 2012 la confraternita appropriatasi del nome di Familia Christi (poi sciolata dalla Santa Sede con riduzione allo stato laicale di tutti i suoi esponenti) in violazione degli accordi presi a suo tempo ottiene dal Tribunale la restituzione dell’Eremo.
Mancini resta a Viterbo e prosegue il suo impegno ecclesiale in vari uffici diocesani e nel comitato regionale per l’ecumenismo ed il dialogo interreligioso.