Il titolo indicativo di questo mio saggio non può prescindere dalla stesura di una introduzione, pur assai sintetica, su tale grande avvenimento già prossimo, ed essa è portata agli occhi della mia memoria dalla visione stupita dei quattro impressionanti e voluminosi tomi della “Storia dei Giubilei”, Opera di valenti studiosi, edita dalla B. N. L. nel 1997-2000, a Prato. Aggiungo però doverosa menzione della Mostra “GIUBILEO 2025. Le vie della fede”, Testimonianza d’arte e pensiero attraverso i secoli al Museo Nazionale di Castel Sant’Angelo, inaugurata il 3 maggio 2016, richiamata da un articolo di mons. Sergio Pagano, apparso su L’Osservatore Romano che porta il titolo “Peregrinatio Sancta, Le Bolle dei Giubilei dell’Archivio Segreto Vaticano. Orbene dal Catalogo, edito da Gangemi Editore, rileviamo che già a partire dal 1450 si avverte la volontà di Nicolò V di preparare l’evento con opere concrete che i fedeli dovevano compiere. E fu impegno che da allora anche i Papi si assumevano e sfidavano, specialmente quelli da me chiamati “della speranza”, con titolo, inizialmente scelto, legato a “Spirito e materia. Arte e religiosità a Roma da Gregorio XIII a Clemente IX”. Così Roma la Città eterna, per esempio, nel corso di un secolo, il ‘600, assunse l’aspetto che ancora oggi ha.
Mi torna nel ricordo, a tale proposito, una bella immagine del compianto professore domenicano Gilles-Gérard Meersseman (*1) nella sua opera di ricerca e valorizzazione della spiritualità laicale. Egli nel corso di tale ricerca attesta che “durante tutto il medioevo continuano ad operare le stesse idee-forza e le stesse istituzioni base dei primi tempi del cristianesimo, sia pure con nuove varianti, così come un fiume, nato da un ghiacciaio lontano, rimane sostanzialmente il medesimo pur prendendo una tinta diversa grazie all’apporto dei suoi affluenti”. Questa idea del fiume che rimane sostanzialmente il medesimo mi pare valida anche per il/i Giubileo/i, e ciò mi permette di abbozzare come dovrebbe e potrebbe essere quello prossimo venturo, del 2025, ricordando anche parole conclusive del Morghen (*2) pubblicate nella bella opera che lo “esalta”. Eccole: “Nella tradizione prendono corpo il senso stesso della storia e l’idea della civiltà nella quale armonizzano le esperienze di vita consolidata nel tempo, le modificazioni genetiche del gusto e della sensibilità, le attività mentali e le istanze spirituali dell’uomo, non che le aspettative finali di rinnovamento, di riscatto e di salvezza che formano il tessuto connettivo delle varie civiltà, nel incessante processo del divenire umano, sì che la visione della storia oscilla continuamente nel grande alveo della tradizione tra l’idea del ritorno alle origini e le aspettative messianiche, tra ideali di riforma e l’avventura della rivoluzione, tra l’avvicendarsi di stagioni di rinascita, e di decadenza, di evoluzioni e di rivoluzioni, di progresso e di crisi. É questo il grande quadro della civiltà umana, quale almeno la conosciamo da poco più di 5000 anni, durante i quali la continuità della storia si svolge ininterrottamente, nell’incontro, nel confronto e nello scontro, tra le diverse culture dei popoli e la realtà millenaria della rivelazione religiosa giudaico-cristiana, che ha dato alla storia umana il suo essenziale significato teleologico”.
Con questo telone di fondo possiamo ora analizzare le prospettive che si aprono per il Giubileo del 2025 e lo caratterizzeranno -pensiamo-. Ne avremo in effetti il volto atteso, con evoluzioni e trasformazioni rispetto al passato, ma anche con le conferme che offre una lettura di riflessione approfondita, che faremo qui insieme, della Lettera inviata l’11 febbraio 2022 da Papa Francesco all’arcivescovo Rino Fisichella, presidente dell’allora Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione, appunto per il Giubileo del 2025.
Proprio all’inizio troviamo dunque elementi di continuità, cioè l’attestazione che «… Il Giubileo ha sempre rappresentato nella vita della Chiesa un evento di grande rilevanza spirituale, ecclesiale e sociale. Da quando Bonifacio VIII, nel 1300, istituì il primo Anno Santo – con ricorrenza secolare, divenuta poi, sul modello biblico, cinquantennale e quindi fissata ogni venticinque anni –, il santo popolo fedele di Dio ha vissuto questa celebrazione come uno speciale dono di grazia, caratterizzato dal perdono dei peccati e, in particolare, dall’ indulgenza, espressione piena della misericordia di Dio. I fedeli, spesso al termine di un lungo pellegrinaggio, attingono al tesoro spirituale della Chiesa attraversando la Porta Santa e venerando le reliquie degli Apostoli Pietro e Paolo custodite nelle Basiliche romane. Milioni e milioni di pellegrini, nel corso dei secoli, hanno raggiunto questi luoghi santi dando testimonianza viva della fede di sempre.
Desidero qui sottolineare questo elemento di continuità “della fede di sempre” perché oggi invece potremmo avere l’impressione, specialmente considerando alcune Chiese locali, del vastissimo orbe cattolico, che vi sia minor fedeltà a tale elemento fondamentale, con più attenzione a un pur necessario rinnovamento, insieme a una riforma, che non sia però una rottura, nella discontinuità, e non nella continuità dell’unico soggetto Chiesa.
Papa Francesco, a questo punto, prende l’avvio nel ricordo del Grande Giubileo dell’anno 2000, che ha introdotto la Chiesa nel terzo millennio della sua storia, richiamando la felice memoria di San Giovanni Paolo II, il quale «…lo aveva tanto atteso e desiderato, nella speranza che tutti i cristiani, superate le storiche divisioni, potessero celebrare insieme i duemila anni della nascita di Gesù Cristo il Salvatore dell’umanità». E su questo punto Papa Francesco rileva che «è ormai vicino il traguardo dei primi venticinque anni del secolo XXI, e siamo chiamati a mettere in atto una preparazione che permetta al popolo cristiano di vivere l’Anno Santo in tutta la sua pregnanza pastorale», indicandola con nostro linguaggio (ricordate l’immagine di Meersseman che abbiamo sopra presentata?), come il colore dell’affluente che caratterizzerà nel 2025 il grande fiume “Giubileo”. «Una tappa significativa – aggiunge il Papa – in tal senso, è stata quella del Giubileo straordinario della Misericordia, che ci ha permesso di riscoprire tutta la forza e la tenerezza dell’amore misericordioso del Padre, per esserne a nostra volta testimoni».
Il Papa conclude con il ricordo del nostro passato pandemico, recentissimo all’epoca della pubblicazione del documento, pur ancora presente in vari modi e circostanze, con differenze di luogo, esortando a tenere accesa la fiaccola della speranza. «Negli ultimi due anni tuttavia, non c’è stato un Paese che non sia stato sconvolto dall’improvvisa epidemia che, oltre ad aver fatto toccare con mano il dramma della morte in solitudine, l’incertezza e la provvisorietà dell’esistenza, ha modificato il nostro modo di vivere. Come cristiani abbiamo patito insieme con tutti i fratelli e le sorelle le stesse sofferenze e limitazioni. Le nostre chiese sono rimaste chiuse, così come le scuole, le fabbriche, gli uffici, i negozi e i luoghi dedicati al tempo libero. Tutti abbiamo visto limitate alcune libertà e la pandemia, oltre al dolore, ha suscitato talvolta nel nostro animo il dubbio, la paura, lo smarrimento. Gli uomini e le donne di scienza, con grande tempestività, hanno trovato un primo rimedio che progressivamente permette di ritornare alla vita quotidiana. Abbiamo piena fiducia che l’epidemia possa essere superata e il mondo ritrovare i suoi ritmi di relazioni personali e di vita sociale. Questo sarà più facilmente raggiungibile nella misura in cui si agirà con fattiva solidarietà, in modo che non vengano trascurate le popolazioni più indigenti, ma si possa condividere con tutti sia i ritrovati della scienza sia i medicinali necessari. Dobbiamo tenere accesa la fiaccola della speranza che ci è stata donata, e fare di tutto perché ognuno riacquisti la forza e la certezza di guardare al futuro con animo aperto, cuore fiducioso e mente lungimirante».
Su questo punto della speranza il Santo Padre insiste così: «Il prossimo Giubileo potrà favorire molto la ricomposizione di un clima di speranza e di fiducia, come segno di una rinnovata rinascita di cui tutti sentiamo l’urgenza. Per questo ho scelto il motto Pellegrini di speranza. Tutto ciò però sarà possibile se saremo capaci di recuperare il senso di fraternità universale, se non chiuderemo gli occhi davanti al dramma della povertà dilagante che impedisce a milioni di uomini, donne, giovani e bambini, di vivere in maniera degna di esseri umani».E qui il documento pontificio si fa ancor più attuale nell’introdurre, nel richiamo della dignità degli esseri umani, la visione di «tanti profughi … costretti ad abbandonare le loro terre. Le voci dei poveri siano ascoltate in questo tempo di preparazione al Giubileo che, secondo il comando biblico, restituisce a ciascuno l’accesso ai frutti della terra: «Ciò che la terra produrrà durante il suo riposo servirà di nutrimento a te, al tuo schiavo, alla tua schiava, al tuo bracciante e all’ospite che si troverà presso di te; anche al tuo bestiame e agli animali che sono nella tua terra servirà di nutrimento quanto essa produrrà» (Levitico 25,6-7). Pertanto, la dimensione spirituale del Giubileo, che invita alla conversione, si coniughi con questi aspetti fondamentali del vivere sociale, per costituire un’unità coerente. Sentendoci tutti pellegrini sulla terra in cui il Signore ci ha posto perché la coltiviamo e la custodiamo (cfr Gen 2,15), non trascuriamo lungo il cammino, di contemplare la bellezza del creato e di prenderci cura della nostra casa comune. Auspico che il prossimo Anno giubilare sia celebrato e vissuto anche con questa intenzione. In effetti, un numero sempre crescente di persone, tra cui molti giovani e giovanissimi, riconosce che la cura per il creato è espressione essenziale della fede in Dio e dell’obbedienza alla sua volontà».
«Il dicastero – continua il Vescovo di Roma – che promuove la nuova evangelizzazione saprà fare di questo momento di grazia una tappa significativa per la pastorale delle Chiese particolari, latine ed orientali, che in questi anni sono chiamate a intensificare l’impegno sinodale. In tale prospettiva, il pellegrinaggio verso il Giubileo potrà rafforzare ed esprimere il comune cammino che la Chiesa è chiamata a compiere per essere sempre più e sempre meglio segno e strumento di unità nell’ armonia delle diversità. Sarà importante aiutare a riscoprire le esigenze della chiamata universale alla partecipazione responsabile, nella valorizzazione dei carismi e dei ministeri che lo Spirito Santo non cessa mai di elargire per la costruzione dell’unica Chiesa».
C’è dunque nella Lettera pontificia in parola, il tocco specifico del insegnamento del Successore di Pietro circa l’impegno sinodale, «il comune cammino che la Chiesa è chiamata a compiere per essere sempre più e sempre meglio segno e strumento di unità nell’armonia delle diversità». A questo punto per me, nella meditazione che sto facendo per e con voi lettori, c’è stata una sorpresa, bella, e cioè l’indicazione da parte del Papa delle «quattro Costituzioni del Concilio Ecumenico Vaticano II, unitamente al Magistero di questi decenni, [che] continueranno ad orientare e guidare il popolo santo di Dio, affinché progredisca nella missione di portare a tutti il gioioso annuncio del Vangelo». Noto in effetti che non frequentemente Papa Francesco sia così concreto e specifico nel richiamo ai documenti del Vaticano II. C’è qui invece – mi pare – un invito pressante a riandare concretamente ai testi, che a dire il vero sono poco conosciuti.
Domanderemmo forse a Sua Santità, in questo momento della nostra lettura, con un sorriso, quello dell’amore, “ma, Padre Santo, e la Bolla di indizione?’ Egli ci aveva pensato, non temete: essa – ci rassicura – a tempo debito sarà emanata e intanto ci invita a fare del 2024 «… una grande sinfonia di preghiera» di adorazione, di ringraziamento, con lode per l’opera divina nella creazione.
Preghiera come voce «del cuore solo e dell’anima sola (cf. At 4,32), che si traduce nella solidarietà e nella condivisione del pane quotidiano. Preghiera che permette ad ogni uomo e donna di questo mondo di rivolgersi al unico Dio, per esprimergli quanto è riposto nel segreto del cuore. Preghiera come via maestra verso la santità, che conduce a vivere la contemplazione anche in mezzo all’ azione». In questo 2024 che prepara il prossimo Giubileo «Insomma, ci sarà un intenso anno di preghiera, in cui i cuori si aprano a ricevere l’abbondanza della grazia, facendo del ‘Padre nostro’, l’orazione che Gesù ci ha insegnato, il programma di vita di ogni suo discepolo». Giustamente la conclusione della lettera pontificia non poteva che essere mariana, come da costante e giusta tradizione.
Mi permetterete, cari amici e fratelli e sorelle, che infine aggiunga una parola più personale, sulla dimensione conciliare -si può dire ugualmente “sinodale”- dei Giubilei, e mi rifaccia, dopo la indicazione del Vaticano II, a quanto avvenne per il Concilio di Trento, che impresse la sua orma sul ‘600 giubilare, come avete appreso leggendo la prima parte di questo mio breve saggio.
___________
*1 Gilles-Gérard Meersseman (Torhout, Belgio, 19.4.1903 – Friburgo, Germania 26.3.1988) Entrato nel 1922 nell’ordine dei domenicani nella provincia delle Fiandre con il nome di Gilles-Marie, fu consacrato sacerdote nel 1927. Membro dell’istituto storico domenicano a Roma (1936-51), fu poi professore ordinario di storia della Chiesa al ‘Università di Friburgo (1951-67, decano 1956-58). Sotto l’influsso di Pierre Mandonnet si interessò della storia religiosa dei laici nel Medio Oriente (Dossier de l’ordre de la Pénitence au XIIIe siècle, 1961). Nel 1957 fondò con Anton Hänggi la collana Spicilegium Friburgense, in cui pubblicò il Dossier e i suoi studi sull’inno Akathistos, in onore della Vergine (1958, 1960).
*2 Raffaello Morghen ((Roma, 19 settembre 1896 – 26 maggio 1983), storico e medievista italiano. Fu ordinario di Storia medioevale nelle Università di Palermo, dal 1938, di Perugia, dal 1943, e infine a La Sapienza di Roma al 1948 al 1966. Fu preside dal 1951 al 1966 della Scuola speciale per archivisti e bibliotecari, corso di specializzazione sempre a La Sapienza. Dal 1952 al 1982 fu presidente dell’Istituto Storico Italiano per il Medioevo. Fu in studioso in particolare dei movimenti religiosi medioevali, compresi quelli eretici.
Foto tratte dal web
Il cardinale Marchetto, Nato a Vicenza 28 agosto 1940, è stato ordinato sacerdote a 24 anni, e ben presto chiamato a Roma per lavorare nella Segreteria di Stato vaticana e nelle Rappresentanze pontificie di Zambia e Malawi, Cuba, Algeria, Tunisia, Marocco e Libia, Portogallo, Zimbabwe.
Nel 1985 viene nominato e consacrato arcivescovo (del titolo storico di Astigi, oggi Ecija, in Andalusia). Diventa nunzio apostolico, con il primo incarico in Madagascar e Mauritius, La Réunion, Mayotte, Isole Comore, seguito da quelli in Tanzania e poi in Bielorussia.
Rientrato a Roma, soprattutto a causa di una patologia difficile che vince, resta per qualche tempo con la “strana” qualifica di nunzio a disposizione.
Riprende il servizio attivo con la nomina prima a Osservatore permanente della Santa Sede presso la Fao, il Pam e l’Ifad, le agenzie dell’Onu con sede a Roma che si occupano in senso lato di agricoltura e alimentazione, poi a segretario del Pontificio Consiglio per la pastorale dei Migranti e degli Itineranti.
Presenta le dimissioni a Papa Benedetto XVI nel 2010, a settant’anni come è prerogativa dei nunzi apostolici, per dedicarsi a tempo pieno ai suoi studi, già più che fecondi, sul Concilio Vaticano II, che fanno ragione sia delle “fughe in avanti” di alcuni commentatori, sia degli arroccamenti di tanti “tradizionalisti” o peggio che confondono i propri pregiudizi, il proprio clericalismo antistorico, con una presunta fedeltà alla Chiesa. Del Concilio Papa Francesco lo ha definito il più grande ermeneuta. Lo stesso Papa Francesco quattro anni dopo lo ha voluto membro della Congregazione per l’Evangelizzazione dei popoli e nel Concistoro del 30 settembre 2023 lo ha creato cardinale.
Il cardinale Marchetto è stato ed è dunque molte cose: un grande diplomatico, uno storico di assoluto valore, una voce significativa del cattolicesimo in questioni vitali – forse le più importanti nella nostra epoca – quale la lotta alla fame e la situazione dei migranti.
La sua bibliografia è troppo lunga per essere riportata completamente. Ai ponderosi volumi sul Concilio da lui firmati si affianca “Primato pontificio ed episcopato. Dal primo millennio al Concilio Ecumenico Vaticano II. Studi in onore dell’arcivescovo Agostino Marchetto” a cura di Jean Ehret.
Da citare altresì il libro intervista “Agostino Marchetto. Chiesa e migranti. La mia battaglia per una sola famiglia umana”, realizzato con Marco Roncalli.