Una rilettura durante la pandemia. Ottobre 2016
Cos’è poesia nell’Africa dolente? Come si esprime quest’epoca feroce per il continente nelle parole, nel sentire di quanti vivono il peso e il dovere di raccontare, di testimoniare? Poesia, come dovunque, sono le storie, le culture, le persone. E in un continente dove la trasmissione orale resta tra i fondamenti del sapere condiviso, anche le lingue dei colonizzatori trovano senso, peculiare capacità, forza di testimonianza.
È quanto emerge dall’antologia «Migrazioni Migrations» ideata da Wole Soyinka, premio Nobel per la letteratura, in italiano a cura di Alessandra di Maio (Edizioni 66thand2nd).
ll volume nasce da un confronto di poeti italiani e nigeriani che si tenne a marzo al Black Heritage Festival di Lagos, in Nigeria. Soyinka aveva infatti deciso di raccontare il moderno esodo da una prospettiva insolita, chiamando a raccolta autori di sponde opposte del Mediterraneo. Di quel festival e dell’assegnazione del Premio nigeriano per la letteratura a Tade Ipadeola per la raccolta “Sahara Testaments”, fu data dalla Misna, l’agenzia delle congregazioni missionarie pensata, fondata e diretta fino a dieci anni fa da Giulio Albanese, il missionario comboniano che più di chiunque, da anni, racconta al nord distratto del mondo quelle realtà che con tanta ipocrisia chiamiamo “in via di sviluppo”.
E per spiegare il senso della scelta di Wale Soyinka, usiamo non la sua poesia, ma proprio quella Ipadeola, «Da Lagos a Lampedusa: interludi di isole». Comincia citando l’ harmattan, il violentissimo vento desertico proveniente dal Sahara che in inverno soffia da levante, investendo di sabbia le coste occidentali dell’Africa, fino alla Guinea, e che è stato mortale per tanti infelici: “Accogliendo l’harmattan in traduzione, il vecchio Oyo rabbrividisce/ sotto le coperte sospeso tra isole lontane, incandescente/ aria secca libera i polmoni intasati di pioggia, trasforma fiumi/ in preludi per il mare, in fredda cenere”.
La poesia di Ipadeola, come quella degli altri poeti della raccolta è al tempo stesso letteratura e cronaca. Letteratura perché indaga fenomeni storici e culturali.
Cronaca perché riferisce di realtà spesso ignorate della difficile contemporaneità africana. Proprio “Sahara Testaments” , dove sii incrociano racconto e denuncia, è l’esito della scelta dell’autore di interrompere la propria attività di avvocato per viaggiare e cercare storie nel Sahara, incominciata in Mauritania e conclusa in Egitto, in un momento storico cruciale, sospeso tra le speranza suscitate dalla cosiddetta primavera araba e gli orrori del conflitto civile in Libia.
Ipadeola scrive dei cambiamenti climatici o delle responsabilità socio-ambientali delle compagnie petrolifere. Poi ci sono le tragedie dei migranti e dei profughi che a rischio della vita attraversano il deserto in cerca di un futuro migliore in Europa.
Poesia civile e politica, dunque. Alla cerimonia per il conferimento del premio Ipadeola ha detto che i giovani sono spinti a lasciare il loro Paese da povertà e da mancanza di prospettive. Un segno inconfutabile, secondo il poeta, del fallimento della leadership africana.
Foto ©Gianluca Belei
Direttore Responsabile
Giornalista professionista, ha lasciato a fine febbraio del 2016, pochi giorni dopo il suo sessantesimo compleanno, L’Osservatore Romano, il giornale della Santa Sede, dove aveva svolto la sua professione negli ultimi trent’anni, occupandosi principalmente di politica internazionale, con particolare attenzione al Sud del mondo.
Ha incominciato la sua professione giornalistica nel 1973, diciassettenne, a L’Avanti, all’epoca quotidiano del Partito Socialista Italiano, con il Direttore Responsabile Franco Gerardi. Nello stesso periodo, fino al 1979, ha collaborato con la rivista Sipario e ha effettuato servizi per l’editrice di cinegiornali 7G.
Ha diretto negli anni 1979-1980 i programmi giornalistici di Radio Lazio, prima emittente radiofonica non pubblica a Roma, producendovi altresì i testi del programma di intrattenimento satirico Caramella.
Ha poi lavorato per l’agenzia di stampa ADISTA, collaborando contemporaneamente con giornali spagnoli e statunitensi.
Nel 1984 ha incominciato a lavorare per la stampa del Vaticano, prima alla Radio Vaticana, dove al lavoro propriamente giornalistico ha affiancato la realizzazione, con altri, di programmi di divulgazione culturale successivamente editi in volume.
All’inizio del 1986 è stato chiamato a L’Osservatore Romano, all’epoca diretto da Mario Agnes, dove si è occupato da prima di cronaca e politica romana e italiana. Successivamente è passato al servizio internazionale, come redattore, inviato e commentatore. La prima metà degli anni Novanta lo ha visto impegnato in prevalenza nel documentare i conflitti nei Balcani e negli anni successivi si è occupato soprattutto del Sud del mondo, in particolare dell’Africa, ma anche dell’America Latina.
Su L’Osservatore Romano ha firmato circa duemila articoli sull’edizione quotidiana e su quelle settimanali. Ha inoltre contribuito alla realizzazione di alcuni numeri de I quaderni de L’Osservatore Romano, collana editoriale sui principali temi di politica, di cultura e di dialogo internazionali.
Collabora con altre testate, cattoliche e non, e con programmi d’informazione radiofonica e televisiva.
È Direttore Responsabile, a titolo gratuito, della rivista Sosta e Ripresa.
Ha insegnato comunicazione e politica internazionale in scuole di giornalismo e ha tenuto master di secondo livello, come professore a contratto, in Università italiane. Ha tenuto corsi, seminari e conferenze in Italia e all’estero. Ha tenuto corsi sull’attività diplomatica della Santa Sede in istituti superiori di cultura in Italia.
È autore di saggi, romanzi, raccolte di poesie, diari di viaggio, testi teatrali. Sue opere sono riportate in antologie poetiche del Novecento.
È tra i fondatori dell’Associazione Amici di Padre Be’ e della Fondazione Padre Bellincampi ONLUS, che si occupano di assistenza all’infanzia, e dell’associazione L.A.W. Legal Aid Worldwide ONLUS, per la tutela giurisdizionale dei diritti dell’uomo. Ha partecipato a progetti sociali per la ricostruzione di Sarajevo. È stato promotore e sostenitore di un progetto di commercio equo e solidale realizzato in Argentina.