Alcuni lettori, devoti e ammiratori del Beato Domenico della Madre di Dio, il viterbese Domenico Bàrberi, hanno apertamente espresso il loro sconcerto, se non aperta riprovazione, per la posizione di dialogo e di incontro fraterno che Sosta e Ripresa e l’associazione che oggi la edita, quella appunto intitolata a Bàrberi, hanno nei riguardi della religione islamica. Sicuramente il Beato Domenico, apostolo dell’ecumenismo, avrebbe condiviso appassionatamente questo tipo di incontro.
Al tempo della sua missione in Inghilterra vi trovò il cattolicesimo perseguitato e ridotto a una piccola minoranza, privato dei diritti civili, impedito di celebrare in pubblico, timoroso di un inasprirsi della persecuzione. Opinione pubblica, governo e monarchia erano concordi nell’aborrire i “papisti”. Il monarca, sia re o sia regina erano d’altronde i capi della Chiesa anglicana. Ancora nel 1605 c’era stato un rigurgito di violenza dovuto alla “congiura delle polveri” (anche detta Jesuit Treason) quando un gruppo di cattolici tentò di far saltare in aria il Parlamento in seduta plenaria compreso il nuovo re Giacomo I, tentativo fortunatamente fallito. Ancora all’inizio dell’Ottocento i cattolici avevano paura di un riaccendersi dell’ostilità popolare.
La situazione cambiò con l’unione dell’Irlanda alla Gran Bretagna. La maggioranza degli irlandesi era cattolica e irlandese era la manodopera a basso costo delle miniere e dalla nascente manifattura industriale. L’emigrazione irlandese divenne un fenomeno drammatico con la terribile carestia a metà del 1800, aggravata dalla spietata politica coloniale inglese, che causò un milione di morti. La combattiva comunità cattolica irlandese costrinse, contro la volontà popolare e la resistenza della monarchia e del parlamento, ad approvare il Roman Catholic Relief Act nel 1829, momento culminante del processo di emancipazione cattolica nel Regno Unito.
Ma ancora nel 1851 lo Ecclesiastical Titles Act, minacciava la confisca di proprietà di chiunque al di fuori della «Chiesa Unita d’Inghilterra e Irlanda» usasse qualunque titolo episcopale «di qualunque città, luogo, o di qualunque territorio o distretto (sotto qualunque designazione o descrizione), nel Regno Unito». Tale legge fu approvata dopo che papa Pio IX aveva ristabilito nel 1850 una serie di diocesi della Chiesa cattolica in Inghilterra (erette al posto dei già esistenti vicariati apostolici) senza neanche consultare il governo britannico e provocando un’onda di sdegno tra i protestanti (una petizione pubblica contro la presunta “aggressione papale” raccolse quasi un milione di firme).
Questo è il clima di conflittualità e di opposizione radicale che il Beato Domenico trovò in Inghilterra. Ovviamente niente a che vedere con l’Islam nominato nel titolo, ma la maniera di accostarsi alle persone radicalizzate in una fede diversa, adottata dal campione missionario deve essere di esempio e di considerazione. È lo stesso metodo praticato dai grandi diffusori della fede, da san Paolo a Francesco d’Assisi, da Francesco di Sales a Papa Francesco: quello di aprirsi al dialogo, di confrontarsi con chi è vicino e condivide, di evitare di scontrarsi con chi è arrogante delle proprie idee. Francesco d’Assisi non ha convertito il Sultano, ma ha ottenuto la Custodia dei Luoghi Santi, Papa Francesco non ha ottenuto la conversione del Grande Imam di Al Azhar, ma ha firmato con lui un documento sulla Fratellanza umana.
C’è tanta violenza e cattiveria negli uomini, ma c’è anche tanto desiderio di convivere in pace. Non è possibile che le persone violente impediscano ai pacifici di stringersi insieme. Tanto più i violenti imperversano, tanto più i seminatori di pace devono incontrarsi per aiutare a costruire un mondo migliore. Tanti sono i punti che condividono le diverse religioni, specialmente il cristianesimo e l’Islam. I cristiani non dovranno meravigliarsi se nella vita eterna troveranno tanti “infedeli” passati avanti a loro.
Editore e Direttore Editoriale
Mario Mancini, nato in Roma nel 1943, dopo la laurea in scienze geologiche, con tesi in geofisica, nel 1967 e un anno di insegnamento della matematica in un istituto tecnico industriale romano, svolge per un quinquennio la sua professione di geofisico e sismologo prevalentemente all’estero, in particolare in Papua Nuova Guinea presso il Rabaul Central Volcanological Observatory e in Australia nella sezione aviotrasportata a Canberra, in entrambi i casi per la BMR Australia, intervallando le due esperienze con un viaggio di studio in Giappone nell’estate del 1970.
Rientrato in Italia nel 1972, si impiega come geofisico presso la CMP di Roma per la quale lavora per sei anni, con diversi incarichi in Italia e all’estero.
Fin da liceale, nel 1959, aveva conosciuto Tommasa Alfieri e l’Opera Familia Christi da lei fondata. La figura e la spiritualità della Signorina Masa, come i suoi discepoli chiamavano la Alfieri, resteranno per Mancini un fondamentale riferimento per tutta la vita. Laico consacrato nel gruppo maschile dell’opera già dal 1974, nel 1979 fa la scelta di dedicarsi completamente all’Opera e va a vivere nell’eremo di Sant’Antonio alla Palanzana.
Alla morte della fondatrice, nel 2000, l’intero patrimonio dell’Opera passa per testamento all’associazione Vittorio e Tommasina Alfieri, all’uopo voluta dalla stessa Alfieri e della quale Mancini era stato tra i fondatori.
Per accordi associativi, più tardi violati da persone riuscite ad assumere il controllo dell’associazione, Mancini resta all’Eremo, unica persona a risiedervi in permanenza e a occuparsene.
La nuova gestione dell’associazione, decisa a trasformare la Familia Christi da istituzione prettamente laicale e una confraternita sacerdotale anticonciliare, nel 2005 convince Mancini a dimettersi dall’associazione stessa, in cambio della promessa, purtroppo mai ratificata legalmente, di lasciargli l’Eremo.
Fino fino al 2012, questo luogo, sotto la conduzione di Mancini, che sempre nel 2005 ha fondato l’associazione Amici della Familia Christi e ha registrato presso il Tribunale di Viterbo la testata Sosta e Ripresa, anch’essa fondata da Tommasa Alfieri e della quale Mancini è direttore editoriale, svolge un prezioso compito di Centro di spiritualità e di apertura ecumenica e interreligiosa.
Nel 2012 la confraternita appropriatasi del nome di Familia Christi (poi sciolata dalla Santa Sede con riduzione allo stato laicale di tutti i suoi esponenti) in violazione degli accordi presi a suo tempo ottiene dal Tribunale la restituzione dell’Eremo.
Mancini resta a Viterbo e prosegue il suo impegno ecclesiale in vari uffici diocesani e nel comitato regionale per l’ecumenismo ed il dialogo interreligioso.