Il titolo di questo articolo fa riferimento al primo codice legislativo scritto che possediamo, quello appunto emanato dal sovrano babilonese Hammurabi nella prima parte (sulle date precise ci sono pareri diversi tra gli studiosi) del secondo millennio avanti Cristo. È stato ritrovato inciso su una stele di pietra negli scavi nell’antica Elam in Mesopotamia, dove c’è oggi la città irachena di Susa.

In tutto si tratta di 282 disposizioni che regolano la vita del tempo, neanche molte, ma che disciplinano solo casi specifici, tali dunque da inaugurare tutta quella casistica che si sovrappone ancora oggi ai principi generali, non solo in diritto, ma in molte altre discipline, fino a violare o a piegare i principi stessi a favore delle proprie tesi odei propri interessi.
Accade da sempre anche nel giudizio di molti sul pontificato di un Papa, secondo un’abitudine inveterata che in passato ha portato ad alcuni scismi, ma oggi dilaga nel chiacchiericcio dissennato, non solo nel frastuono spesso stupido o di misura maligna o tout court malvagia dei cosiddetti social, ma persino ai margini o addirittura dentro alle istituzioni ecclesiali. Allora forse è il caso di ricordare che contestare il magistero pontificio da posizioni simili a quelle che il Vangelo definisce farisaiche (in riferimento al degrado capzioso in cui era caduta la dottrina dei farisei, in origine un serio movimento di rinnovamento) non significa essere seri e dotti canonisti, né tantomeno difensori di una presunta purezza dell’evangelizzazione, ma semplicemente essere di fatto costruttori e propagandisti di scandali e persino di scismi, per piccoli che siano. Ma anche i fuochi piccoli diventano pericolosi se ci si soffia sopra. Ad alimentare questo fuoco malefico e divisivo ci vuole poco. E magari servirebbe altresì ricordare che la parola diavolo arriva direttamente dal verbo greco διαβάλλω (diabàllo) che significa dividere.

Insomma, Satana è colui che divide e – aggiungeva Tommasina Alfieri, fondatrice del nostro giornale, “… ci gode pure”.
E di questi tempi ha persino gioco più facile che in passato. Basta che un vescovo qualsiasi accusi il Papa di cedere sui “principi immutabili” della Chiesa, attribuendo arditamente e colpevolmente questa qualifica a quelle che sono regole sempre da migliorare, e si scatena sui social, orientati da algoritmi che qualcuno ha comunque realizzato, la denigrazione sistematica del Papa di turno. Ora accade con Francesco, ma le prove sono state fatte già con i suoi predecessori. Senza parlare, per esigenza di spazio, del peccato che minaccia la pace costruendo tra i popoli muri e non ponti. E se un Papa si ricorda che il suo titolo di pontefice significa, letteralmente, facitore di ponti e ricorda che la guerra, ogni guerra è una tragedia più grande di quelle addotte da chi cerca di giustificarla, come minimo passa per un ingenuo che pretende di cambiare il mondo che ha le sue regole. Il mondo magari no, almeno non subito. Ma la Chiesa si, sempre nella prassi pastorale e nel discernimento attento alla fase della storia in cui concretamente è immersa.
Ecclesia semper reformanda est (la Chiesa è sempre da riformare), recita infatti una massima antica quanto perennemente valida. E chi non è d’accordo si vada a rileggere le quattro costituzioni conciliari, cioè i documenti che rappresentano l’ossatura fondamentale dell’insegnamento del Concilio. Meglio precisare: il Vaticano II, non quello di Trento, che pure qualcosa del genere già faceva intendere. Se poi si tratta di un vescovo, cioè di un successore dei vari Andrea, Giacomo, Giovanni e gli altri fino a Mattia, il primo che fu scelto dalla Chiesa e non direttamente da Gesù circa duemila anni fa, l’invito è a non dimenticare che la successione apostolica s’innesta sul primato di Pietro. E che l’evangelizzazione non è un elenco di casi di peccato su cui stracciarsi le vesti con scandalo e condanna, non è un prontuario di disposizioni di divieti e di condanne, ma il compito di trasmettere il Vangelo dell’amore. Il resto, anche l’incidenza nella vita non solo personale, ma delle nostre società. verrà da sé.
Pensiamoci tutti un po’ di più e vediamo se riusciamo a far godere un po’ meno che era stato creato come portatore di luce (questo significa Lucifero) e scelse invece di portare le tenebre nella nostra vicenda umana. E non limitiamoci a chiederci cosa dobbiamo o non dobbiamo fare, ma preghiamo di comprendere che siamo chiamati a essere: la Chiesa di Cristo, non una pseudo chiesa di Hammurabi o di ogni suo epigono.

Direttore Responsabile
Giornalista professionista, ha lasciato a fine febbraio del 2016, pochi giorni dopo il suo sessantesimo compleanno, L’Osservatore Romano, il giornale della Santa Sede, dove aveva svolto la sua professione negli ultimi trent’anni, occupandosi principalmente di politica internazionale, con particolare attenzione al Sud del mondo.
Ha incominciato la sua professione giornalistica nel 1973, diciassettenne, a L’Avanti, all’epoca quotidiano del Partito Socialista Italiano, con il Direttore Responsabile Franco Gerardi. Nello stesso periodo, fino al 1979, ha collaborato con la rivista Sipario e ha effettuato servizi per l’editrice di cinegiornali 7G.
Ha diretto negli anni 1979-1980 i programmi giornalistici di Radio Lazio, prima emittente radiofonica non pubblica a Roma, producendovi altresì i testi del programma di intrattenimento satirico Caramella.
Ha poi lavorato per l’agenzia di stampa ADISTA, collaborando contemporaneamente con giornali spagnoli e statunitensi.
Nel 1984 ha incominciato a lavorare per la stampa del Vaticano, prima alla Radio Vaticana, dove al lavoro propriamente giornalistico ha affiancato la realizzazione, con altri, di programmi di divulgazione culturale successivamente editi in volume.
All’inizio del 1986 è stato chiamato a L’Osservatore Romano, all’epoca diretto da Mario Agnes, dove si è occupato da prima di cronaca e politica romana e italiana. Successivamente è passato al servizio internazionale, come redattore, inviato e commentatore. La prima metà degli anni Novanta lo ha visto impegnato in prevalenza nel documentare i conflitti nei Balcani e negli anni successivi si è occupato soprattutto del Sud del mondo, in particolare dell’Africa, ma anche dell’America Latina.
Su L’Osservatore Romano ha firmato circa duemila articoli sull’edizione quotidiana e su quelle settimanali. Ha inoltre contribuito alla realizzazione di alcuni numeri de I quaderni de L’Osservatore Romano, collana editoriale sui principali temi di politica, di cultura e di dialogo internazionali.
Collabora con altre testate, cattoliche e non, e con programmi d’informazione radiofonica e televisiva.
È Direttore Responsabile, a titolo gratuito, della rivista Sosta e Ripresa.
Ha insegnato comunicazione e politica internazionale in scuole di giornalismo e ha tenuto master di secondo livello, come professore a contratto, in Università italiane. Ha tenuto corsi, seminari e conferenze in Italia e all’estero. Ha tenuto corsi sull’attività diplomatica della Santa Sede in istituti superiori di cultura in Italia.
È autore di saggi, romanzi, raccolte di poesie, diari di viaggio, testi teatrali. Sue opere sono riportate in antologie poetiche del Novecento.
È tra i fondatori dell’Associazione Amici di Padre Be’ e della Fondazione Padre Bellincampi ONLUS, che si occupano di assistenza all’infanzia, e dell’associazione L.A.W. Legal Aid Worldwide ONLUS, per la tutela giurisdizionale dei diritti dell’uomo. Ha partecipato a progetti sociali per la ricostruzione di Sarajevo. È stato promotore e sostenitore di un progetto di commercio equo e solidale realizzato in Argentina.