L’occasione di questo articolo è data dal fatto che in questa quarta domenica di quaresima in diverse parrocchie il “foglietto” della Messa riportava il racconto-denuncia di episodi di gravi e feroci violenze da tempo perpetrate in diversi Paesi del mondo – in questo caso Pakistan e Nigeria – da gruppi di matrice pseudo religiosa islamica contro le minoranze cristiane. La fonte è Aiuto alla Chiesa che soffre, l’organizzazione fondata nel 1947, all’epoca soprattutto a sostegno dei cristiani del blocco sovietico perseguitati in nome del principio di ateismo di Stato.

Di tale organizzazione, riconosciuta nel 2011 da Benedetto XVI fondazione pontificia, va apprezzata e lodata pubblicamente la missione e l’azione pluridecennali. Tuttavia, la pubblicazione, necessariamente stringata, su un sussidio per la celebrazione della Messa, può sia pure involontariamente indurre alcuni fedeli ad attribuire tali violenze che di religioso non hanno nulla all’Islam in quanto tale, con il rischio di compromettere la coscienza dell’insegnamento e del magistero della Chiesa e la conoscenza del fatto che essi si esprimono nel dialogo e nei concreti gesti di pace, necessari sempre e più ancora in questo tempo in cui tutti siamo invasi da ossessive indicazioni del nemico di turno, costanti in ogni epoca, ma mai pervasive come in questa.

Per quanto riguarda il Pakistan, fermo restando l’orrore per la vicenda – una ragazzina cristiana rapita, picchiata e stuprata da quattro uomini nella regione del Punjab – è forse utile ricordare quanto accaduto lo scorso anno nel quartiere cristiano di Jaranwala, nei pressi di Faisalabad, proprio nel Punjab pakistano, teatro il 16 agosto di una feroce incursione criminale che ha devastato case e chiese, lasciando ottocento famiglie senza tetto e prive di sostentamento.  L’episodio e stato riferito dalla gran parte della stampa italiana. Ma è stata solo la stampa cattolica – quella vera, non quella che arbitrariamente si dichiara tale senza titolo, impegnata com’è a diffondere odio contro Papa Francesco e inneggiando a personalità palesemente scismatiche – in particolare quelle della Santa Sede e della Conferenza Episcopale Italiana a raccontare l’ampio movimento di solidarietà da parte di cristiani e musulmani che «fa ben sperare», come ha sottolineato l’arcivescovo di Lahore (la capitale del Punjab), Sebastian Francis Shaw, rimarcando «i buoni frutti dati dalla paziente opera di vicinanza, amicizia, relazione e dialogo interreligioso che abbiamo avviato in Punjab».

Shaw ha accompagnato sui luoghi teatro di violenza diverse delegazioni di capi musulmani, sunniti e sciiti, delle diverse scuole di pensiero islamico. «Molti di loro si sono commossi, tutti hanno mostrato solidarietà e vicinanza umana alle famiglie cristiane atterrite dalla violenza. Hanno pregato con noi, hanno stretto le mani e consolato la gente, che li ha accolti benevolmente. Per noi qui in Pakistan, sono gesti di notevole importanza, perché contribuiscono a cambiare la cultura e la mentalità, anche per l’eco mediatica che hanno avuto», ha riferito l’arcivescovo, dicendosi «… molto colpito sentendo i capi musulmani dire alle madri cristiane che piangevano: i vostri figli sono i nostri figli. Non dovete preoccuparvi. Ci occuperemo noi di loro».

Si è trattato di solidarietà non solo verbale ma concreta: i leader islamici si occuperanno di sostenere le spese di istruzione dei ragazzi delle famiglie colpite dalla violenza a Jaranwala, dando borse di studio per il loro percorso scolastico, fino al college. «Il che dimostra sincera disposizione d’animo, prossimità e buona volontà di quanti dissentono dalle forme di violenza intercomunitaria, e da quanti l’hanno istigata promuovendo odio e violenza religiosa», ha detto l’arcivescovo.

A Jaranwala si è recato anche Anwar ul Haq, all’epoca primo ministro ad interim del Pakistan, che a nome del governo federale ha portato alle vittime solidarietà e la promessa, in gran parte mantenuta, di sostegno alla ricostruzione. In un discorso ampiamente diffuso dai mezzi di comunicazione pakistani, Anwar ul Haq ha ricordato che “la comunità cristiana ha avuto un ruolo importante nella creazione de Pakistan” ed è parte integrante della nazione, aggiungendo che “è responsabilità di ogni musulmano proteggere le comunità minoritarie”.

E spiace concludere che nel nostro Paese negli ultimi tempi è difficile trovare esempi concreti di solidarietà e di rispetto dei diritti inalienabili per le minoranze spesso vessate da parte di quelle autorità che a questo impegna la Costituzione.

Foto tratta dal web

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