Papa Francesco

Corpus Domini: Corpo del Signore, questa è la traduzione dal latino di questa espressione. Più precisamente, la Chiesa celebra da secoli, per precisione dal 1264, la solennità del Corpo e Sangue del Signore. Corpus Domini semanticamente, cioè come significato letterale, è un’espressione molto semplice, ma concettualmente è forse la realtà più difficile – e più controversa nella storia del cristianesimo – della fede, insieme a quella della risurrezione. Tanto che per spiegarla, per definire la presenza reale del Corpo e del Sangue del Signore nell’Eucarestia,  è stato coniato fin dai primi secoli del cristianesimo il temine “transustanziazione”, non proprio facile  al suono e alla pronuncia, ma indispensabile per avvicinarsi al mistero principale della nostra fede,  come il celebrante proclama ad ogni messa dopo aver consacrato il pane e il vino. Una proclamazione alla quale l’assemblea (ecclesìa, cioè chiesa, in greco significa assemblea) risponde con  il kèrigma (traslitterazione dal greco  κήρυγμα ) cioè  il grido, il proclama “annunciamo la tua morte, Signore, proclamiamo la tua resurrezione, nell’attesa della tua venuta”.

La transustanziazione  è dunque una realtà difficile da spiegare, tanto che per farlo compiutamente furono  necessari il genio teologico di san Tommaso d’Aquino, nel XIII secolo,  e una definizione dogmatica del Concilio di Trento, nel XVI secolo.

Tanto difficile che solo la Chiesa cattolica e quelle ortodosse hanno mantenuto saldamente i termini di questa definizione, mentre nelle altre confessioni  cristiane questa realtà si è affievolita e persa completamente.

Messa Polizia di Stato Anps Viterbo

Tanto difficile che il Signore ha permesso, per venire incontro ai dubbi dei fedeli, anche sacerdoti, numerosi miracoli eucaristici, come quelli  famosi di Lanciano, in Abruzzo, del  dell’VIII secolo e di Bolsena, nella Tuscia, del XIII secolo. Proprio dopo che fu accerata la veridicità di quest’ultimo Papa  Urbano IV estese a tutta la Chiesa  la solennità del Corpus Domini che da qualche anno si celebrava già nella diocesi di Liegi, in Belgio.

Difficile e dura al punto che lo stesso Gesù, quando ne parlò per la prima volta pubblicanente (“se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita”, Gv 6,53), perse d’un colpo quasi tutto il seguito di ammiratori raccolti in tre anni di prestigiosa predicazione, come racconta il Vangelo di san Giovanni. Ammiratori che fino ad un momento prima volevano incoronarlo re.

Dopo la sbornia di isolamento dovuto al virus covid-19, sembra necessario ritornare alla fisicità della religione cristiana. Ci si può abituare alla preghiera a distanza in diretta televisiva o internet o con tanti altri mezzi digitali, ma il fare “comunione” è alla base della Ecclesìa, che è radunarsi, consumare il pasto insieme, adorare il Signore nella sua presenza fisica, con la nostra presenza fisica. La preghiera da remoto può essere (e lo è stato provvidenzialmente) un sostituto nell’emergenza, ma non può essere un atteggiamento normale.

In questo periodo di smielatura è affascinante vedere l’andirivieni delle api entrare ed uscire dalle arnie. Gli apicultori hanno dozzine di arnie allineate a pochi decimetri di distanza, eppure tutte quelle miriadi di api tornano immancabilmente alla propria famiglia. Questo perché riconoscono l’odore della propria regina, odore che assumono con il loro nutrimento. È una immagine potente della comunione del corpo mistico.

Nella predicazione di Cristo Gesù si è sottolineata l’importanza della preghiera nel raccoglimento solitario, o anche l’importanza delle opere di misericordia come il discrimine tra il premio o la pena eterni. Eppure Cristo Gesù stesso ha voluto che i suoi discepoli si riunissero intorno alla mensa per cibarsi dello stesso nutrimento che è il suo corpo ed il suo sangue. È una “fisicità” che aiuta la debole, istintiva natura umana. È una magnifica, divina invenzione che ha lasciato interdetti i suoi uditori che non potevano capire la sublimità della sua offerta.

Forse un’incompleta, provocatoria immagine può fornirla la pratica ancestrale del rito antropofagico. Non si intende parlare dell’abominevole pratica di mangiare carne umana per spregio del nemico vinto, o di quella ripugnante della sopravvivenza alla fame, ma di quei riti, presso alcuni popoli primitivi che intendevano assumere le virtù di un defunto consumando quegli organi che nel defunto erano stati particolarmente abili e forti. Così il cristiano nel cibarsi del Corpo e Sangue di Cristo assume la sua virtù: la grazia, la vita soprannaturale, la forza per servirlo nei suoi fratelli e nella sua vita comunitaria o claustrale.

È solo una provocazione, ma può aiutare ad entrare nella profondità del mistero.

 

D’altronde commentava la Signorina Alfieri il brano di S Giovanni: “E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi”. “Lo diciamo, lo cantiamo, lo salmeggiamo… ma quale effetto ci fa il proclamare questo ineffabile mistero? Quanto entra nella nostra vita questa realtà che non è passata, ma che è attuale nella SS.ma Eucaristia?

Egli è tra noi! È venuto ed è rimasto quaggiù, trattenuto da un amore che sarebbe irragionevole se non fosse divino.”

Da “Uno sguardo che accarezza la memoria”  Dagli scritti di Tommasa Alfieri. Ed. Amici della Familia Christi Viterbo 2010

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