Nel risvolto di copertina del libro di Roberto Italo Zanini: “Bakhita il fascino di una donna libera”, è scritto: “Santa Giuseppina Bakhita” si fa notare sempre di più per la sua straordinaria attualità.
Citata in documenti ufficiali della Chiesa, è attuale come africana, come migrante. Ma soprattutto è attuale come donna. Discriminata perché nera, schiava, costretta a sopportare sul suo corpo violenze inaudite, nei fatti la sua storia possiede il fascino di chi pretende e conquista piena libertà di scelta. Bakhita si libera con ferma volontà dalle catene della schiavitù, dall’oppressione e dal rischio della prostituzione. Sceglie la sua strada in piena autonomia sia contro chi la vuole schiava in Africa, sia contro la società che la vuole asservita in Italia.
In questo libro, il terzo a lei dedicato, Roberto Italo Zanini fa un passo avanti nell’approfondimento della figura della “santa moretta”, incrociandone il percorso con quello di molte altre donne (e uomini) che si sono a loro volta liberati dalle ferite della propria vita grazie a lei.
Ne viene un’agiografia di nuovo stile: un racconto corale di una vita riscattata e che permette ancora oggi il riscatto di molti”.
Alla presentazione del libro, edito dalla San Paolo, nell’Ambasciata Italiana presso la Santa Sede a Palazzo Borromeo a Roma, con gli interventi di Mons. Marcello Semeraro (Vescovo di Albano), Madre Sandra Maggiolo (Consigliera Generale delle Figlie della Carità Canossiane), Rita Pinci (coordinatrice di “Donne Chiesa Mondo”), Mario Marazziti (Comunità Sant’Egidio), moderatore il giornalista Giovanni Tortorolo, con il saluto dell’Ambasciatore Pietro Sebastiani, sono emersi una varietà di spunti, tutti molto attuali, suggeriti da questa Testimone della Fede. Quello che mi ha particolarmente suggestionato è il fatto che, all’inizio, questa schiava non ha un nome: Bakhita è un nomignolo affibbiatogli dai suoi “proprietari”. Non avendo nome non è nemmeno una “persona”. Riecheggiano reminiscenze bibliche per le quali conoscere il nome è conoscere la persona stessa. Nel Genesi (Ge 2, 19) il Creatore condusse all’uomo ogni sorta di bestie selvatiche perché imponesse loro il nome, in segno di dominio. Per noi, in questo momento, i nuovi schiavi che arrivano dal Mar Mediterraneo, sono senza nome, non sono persone, sono numeri: quest’anno 18.000 in Spagna, 12.000 in Grecia, 3.000 (tremila) in Italia. L’anonimato consente di assistere impassibili, disumanizzati, agli abusi che su questi corpi fanno trafficanti, scafisti, criminali, politici (di destra e di sinistra). Non è così: Marazziti ha ricordato che anche i cadaveri dei 368 naufraghi di Lampedusa (3 ottobre 2013), nonostante le difficoltà “burocratiche” furono alla fine tutti identificati. Sono persone umane che soffrono per le stesse ragioni che fanno soffrire noi, che gioiscono per le stesse ragioni che fanno gioire noi.
Il suo nome Bakhita l’ha poi avuto: Giuseppina, il suo nome di Battesimo quando si è fatta Cristiana. Sì ci sono anche dei Santi che ci vengono dal Continente “Nero”.
Editore e Direttore Editoriale
Mario Mancini, nato in Roma nel 1943, dopo la laurea in scienze geologiche, con tesi in geofisica, nel 1967 e un anno di insegnamento della matematica in un istituto tecnico industriale romano, svolge per un quinquennio la sua professione di geofisico e sismologo prevalentemente all’estero, in particolare in Papua Nuova Guinea presso il Rabaul Central Volcanological Observatory e in Australia nella sezione aviotrasportata a Canberra, in entrambi i casi per la BMR Australia, intervallando le due esperienze con un viaggio di studio in Giappone nell’estate del 1970.
Rientrato in Italia nel 1972, si impiega come geofisico presso la CMP di Roma per la quale lavora per sei anni, con diversi incarichi in Italia e all’estero.
Fin da liceale, nel 1959, aveva conosciuto Tommasa Alfieri e l’Opera Familia Christi da lei fondata. La figura e la spiritualità della Signorina Masa, come i suoi discepoli chiamavano la Alfieri, resteranno per Mancini un fondamentale riferimento per tutta la vita. Laico consacrato nel gruppo maschile dell’opera già dal 1974, nel 1979 fa la scelta di dedicarsi completamente all’Opera e va a vivere nell’eremo di Sant’Antonio alla Palanzana.
Alla morte della fondatrice, nel 2000, l’intero patrimonio dell’Opera passa per testamento all’associazione Vittorio e Tommasina Alfieri, all’uopo voluta dalla stessa Alfieri e della quale Mancini era stato tra i fondatori.
Per accordi associativi, più tardi violati da persone riuscite ad assumere il controllo dell’associazione, Mancini resta all’Eremo, unica persona a risiedervi in permanenza e a occuparsene.
La nuova gestione dell’associazione, decisa a trasformare la Familia Christi da istituzione prettamente laicale e una confraternita sacerdotale anticonciliare, nel 2005 convince Mancini a dimettersi dall’associazione stessa, in cambio della promessa, purtroppo mai ratificata legalmente, di lasciargli l’Eremo.
Fino fino al 2012, questo luogo, sotto la conduzione di Mancini, che sempre nel 2005 ha fondato l’associazione Amici della Familia Christi e ha registrato presso il Tribunale di Viterbo la testata Sosta e Ripresa, anch’essa fondata da Tommasa Alfieri e della quale Mancini è direttore editoriale, svolge un prezioso compito di Centro di spiritualità e di apertura ecumenica e interreligiosa.
Nel 2012 la confraternita appropriatasi del nome di Familia Christi (poi sciolata dalla Santa Sede con riduzione allo stato laicale di tutti i suoi esponenti) in violazione degli accordi presi a suo tempo ottiene dal Tribunale la restituzione dell’Eremo.
Mancini resta a Viterbo e prosegue il suo impegno ecclesiale in vari uffici diocesani e nel comitato regionale per l’ecumenismo ed il dialogo interreligioso.