Il vescovo Sigerico di Canterbury nell’anno 980 AD intraprese il viaggio fino a Roma, per ricevere dal Papa l’investitura vescovile e appuntò nel suo diario di viaggio tutte le caratteristiche del lungo itinerario.
Questo è il più antico scritto che documenta il percorso che facevano i pellegrini del Nord Europa, assimilati ai Franchi (la prima e più potente popolazione germanica convertita al cattolicesimo romano) per recarsi a venerare le spoglie dei ss. Pietro e Paolo a Roma, ed eventualmente proseguire per Gerusalemme, per un voto, per fede o per penitenza. Viaggio che era pieno di incognite e di pericoli ed anche di incerta localizzazione da quando il reticolo stradale romano era stato disgregato dall’incuria dell’abbandono e dalle lotte dei popoli. Così, nel corso dei secoli la via Francigena, più che una strada nel senso stretto del termine, divenne un fascio di percorsi che il pellegrino si trovava a improvvisare a secondo delle condizioni meteorologiche, politiche, di briganti o altri grassatori. Avvicinandosi a Roma le diverse varianti tendevano a confluire e la città di Viterbo divenne una tappa imprescindibile del pellegrinaggio.
Oggi percorrere la Via Francigena si può dire è tornato di moda: l’aspetto ludico-sportivo-turistico è diventato prevalente, ma non si può giudicare la fede che muove i passi (e i sacrifici) dei moderni pellegrini.
Il percorso viene migliorato ed attrezzato sia per la segnaletica che per l’accoglienza, caratterizzata dalla stretta essenzialità dei servizi. Si moltiplicano anche le organizzazioni di volontariato che curano l’assistenza e l’informazione per i pellegrini. Così anche a Viterbo è nata l’Associazione “Amici della Via Francigena”, con sede in San Pellegrino (in nomen omen) che da qualche anno ha aperto e gestisce un “Ospitale del Pellegrino” (sempre nel quartiere medievale San Pellegrino) per l’ospitalità di quanti, muniti della Credenziale sono in viaggio a piedi (o in bici) per ottenere in San Pietro a Roma il “Testimonium”, il cartiglio della mèta raggiunta.
L’Associazione “Amici della Via Francigena” di Viterbo ha anche organizzato una “Settimana del Pellegrino” per diffondere la cultura della Via Francigena, con varie iniziative.
La settimana è iniziata con il percorso a piedi da Viterbo alla Chiesa rurale di Castel d’Asso della tappa Viterbo-Vetralla. Nella stessa giornata Vincenzo Mirto ha presentato il libro della sua esperienza del Cammino di Santiago di Compostela: “Il coraggio di partire” ed è stata inaugurata la mostra “Pellegrini, pellegrinaggi, mète e simboli” nel Chiostro longobardo di Santa Maria Nuova.
La settimana si chiuderà sabato 11 settembre, sempre a Santa Maria Nuova, con la conferenza: “Peregrinationes maiores”, la Celebrazione Eucaristica” e la Benedizione del Pellegrino, a partire dalle ore 17:00.
Foto a cura di Mariella Zadro
Editore e Direttore Editoriale
Mario Mancini, nato in Roma nel 1943, dopo la laurea in scienze geologiche, con tesi in geofisica, nel 1967 e un anno di insegnamento della matematica in un istituto tecnico industriale romano, svolge per un quinquennio la sua professione di geofisico e sismologo prevalentemente all’estero, in particolare in Papua Nuova Guinea presso il Rabaul Central Volcanological Observatory e in Australia nella sezione aviotrasportata a Canberra, in entrambi i casi per la BMR Australia, intervallando le due esperienze con un viaggio di studio in Giappone nell’estate del 1970.
Rientrato in Italia nel 1972, si impiega come geofisico presso la CMP di Roma per la quale lavora per sei anni, con diversi incarichi in Italia e all’estero.
Fin da liceale, nel 1959, aveva conosciuto Tommasa Alfieri e l’Opera Familia Christi da lei fondata. La figura e la spiritualità della Signorina Masa, come i suoi discepoli chiamavano la Alfieri, resteranno per Mancini un fondamentale riferimento per tutta la vita. Laico consacrato nel gruppo maschile dell’opera già dal 1974, nel 1979 fa la scelta di dedicarsi completamente all’Opera e va a vivere nell’eremo di Sant’Antonio alla Palanzana.
Alla morte della fondatrice, nel 2000, l’intero patrimonio dell’Opera passa per testamento all’associazione Vittorio e Tommasina Alfieri, all’uopo voluta dalla stessa Alfieri e della quale Mancini era stato tra i fondatori.
Per accordi associativi, più tardi violati da persone riuscite ad assumere il controllo dell’associazione, Mancini resta all’Eremo, unica persona a risiedervi in permanenza e a occuparsene.
La nuova gestione dell’associazione, decisa a trasformare la Familia Christi da istituzione prettamente laicale e una confraternita sacerdotale anticonciliare, nel 2005 convince Mancini a dimettersi dall’associazione stessa, in cambio della promessa, purtroppo mai ratificata legalmente, di lasciargli l’Eremo.
Fino fino al 2012, questo luogo, sotto la conduzione di Mancini, che sempre nel 2005 ha fondato l’associazione Amici della Familia Christi e ha registrato presso il Tribunale di Viterbo la testata Sosta e Ripresa, anch’essa fondata da Tommasa Alfieri e della quale Mancini è direttore editoriale, svolge un prezioso compito di Centro di spiritualità e di apertura ecumenica e interreligiosa.
Nel 2012 la confraternita appropriatasi del nome di Familia Christi (poi sciolata dalla Santa Sede con riduzione allo stato laicale di tutti i suoi esponenti) in violazione degli accordi presi a suo tempo ottiene dal Tribunale la restituzione dell’Eremo.
Mancini resta a Viterbo e prosegue il suo impegno ecclesiale in vari uffici diocesani e nel comitato regionale per l’ecumenismo ed il dialogo interreligioso.