Conosciamo da vicino un interessante personaggio, venerato
dai suoi contemporanei, beatificato solo nel 1688
ma non ancora canonizzato
Gioacchino da Fiore nacque a Celico (un comune oggi in provincia di Cosenza) in un
giorno imprecisato del 1130. Suo padre Mauro (forse di origini ebraiche) era un
notaio noto in tutta la zona.
Gioacchino, dopo i primi insegnamenti ricevuti nelle scuole locali, si trasferì a
Cosenza dove fece le prime esperienze lavorative per poi trasferirsi a Palermo dove,
appoggiato dal padre, lavorò con illustri notai della città.
A Palermo conobbe Stefano di Perche, arcivescovo metropolita di quella città e
cancelliere del Regno di Sicilia. In quegli anni, forse per la conoscenza con
l’arcivescovo, decise di diventare monaco cistercense e. in quella veste lasciò Palermo
per intraprendere un viaggio in Medio Oriente. Proprio in Terra Santa, con la
meditazione, visse una vita altamente spirituale e attraverso gli studi approfondì la
sua conoscenza in diverse discipline: scienze, filosofia, matematica, astronomia,
agricoltura ed altre materie.
Tornato in Italia, più colto ma tormentato da dubbi spirituali, si stabilì in località
Guarassano, nei pressi di Cosenza, dove decise di dedicarsi totalmente allo studio
delle Sacre Scritture. Nella vicina Abbazia di Santa Maria di Corazzo, dove ottenne
l’ordine sacerdotale, Gioacchino scrisse le sue opere principali e, dopo qualche tempo
diventò abate del monastero.
Anni dopo, intorno al 1189, lasciata l’Abbazia, Gioacchino iniziò a girare fra cittadine
e paesi della Calabria predicando il Vangelo e praticando opere di misericordia. In
quegli anni, fermatosi in località allora chiamata Fara o anche Faradomus (oggi nota
come San Giovanni in Fiore, sempre in provincia di Catanzaro) fondò un suo luogo di
culto, poi noto come Abbazia Florense.
Per le sue opere a favore dei poveri fu molto stimato dai potenti dell’epoca ed
acclamato dal popolo che lo considerava santo.
Nelle sue opere di storia e teologia diede un’interpretazione originale del pensiero
Cristiano dividendolo in tre distinte età corrispondenti alle tre persone della Trinità:
Età del Padre (Antico Testamento): caratterizzata dalla legge e dalla profezia;
Età del Figlio (Nuovo Testamento): caratterizzata dalla grazia e dalla
conoscenza;
Età dello Spirito Santo (Futura): caratterizzata dalla piena libertà spirituale e
dalla pace universale.
Se da un lato la sua esposizione delle prime due età, quelle del Padre e del Figlio, fu
considerata rispondente agli insegnamenti della Chiesa, la terza età, quella dello
Spirito Santo, trovò diverse opposizioni in seno alle autorità dell’epoca.
In estrema sintesi possiamo dire che Gioacchino, nella terza età, profetizzava un
futuro di libertà spirituale in cui si dovrà costituire un nuovo ordine che, nella
struttura della gerarchia ecclesiastica, dovrebbe comprendere clero e laici in forte
collaborazione fra loro. Questa sua “profezia” venne sostenuta da molti gruppi
religiosi (in spregio chiamati “Gioacchinisti”) che la utilizzarono per criticare
aspramente la gerarchia ecclesiastica dell’epoca.
Gioacchino ribadì sempre la sua totale obbedienza alla Chiesa e si dichiarò
disponibile ad eliminare dalle sue scritture tutto ciò che non era approvato dalla
Chiesa. Tuttavia, il successivo IV Concilio Lateranense, nel 1215 (13 anni dopo la sua
morte) condannò formalmente la sua dottrina relativa alla Trinità. Nella condanna si
criticava l’interpretazione troppo frammentata circa l’unità dell’essenza divina e,
soprattutto quanto contenuto nella cosiddetta “Età dello Spirito”.
Gioacchino da Fiore morì a Pietrafitta (un’altra località oggi in provincia di
Catanzaro) il 30 marzo 1202 in odore di santità perché fu sempre obbediente alle
autorità ecclesiastiche costituite (Papi, Cardinali e Vescovi) che approvarono le regole
del suo ordine e, semmai, si limitarono a criticare alcuni dei suoi scritti.
Gioacchino, filosofo e teologo, considerato “profeta e santo” dai suoi contemporanei e
dai molti che vissero nei secoli successivi, fu ricordato anche da Dante che ne
riconobbe le sue capacità profetiche nella Cantica del Paradiso, collocandolo tra la
schiera dei beati sapienti, accanto a Tommaso d’Aquino e Bonaventura da
Bagnoregio:
Rabano è qui, e lucemi dallato
il calavrese abate Giovacchino,
di spirito profetico dotato.
(Par. XII vv 139-141).
La Chiesa, guidata da Papa Innocenzo XI, proclamò Gioacchino da Fiore Beato solo
nel 1688. Tuttavia, il successivo processo di santificazione (canonizzazione) fu
interrotto principalmente per le controversie teologiche legate a parte delle dottrine
e, solo nel 2001, è stato formalmente riaperto dall’arcivescovo di Cosenza-Bisignano,
Monsignor Giuseppe Agostino. Nella riapertura si vuole sottolineare la sua santità di
vita, basata sulla sua popolarità e sul culto storico, liberando la sua figura dalle ombre
delle controversie teologiche successive alla sua morte.
Ricordiamolo nella preghiera.
Gennaro Stammati
