Oggi 2 Novembre. giornata di commemorazione dei morti, in quel di Castel d’Asso, presso
la chiesetta rurale di S,Maria Mater Amabilis (dove si venera il Beato Domenico della
Madre di Dio), ha celebrato la S. messa padre Vincenzo Bordo, come sempre del resto
quando rientra in Italia dalla Corea. Solitamente concelebra con don Gianni Carparelli, suo
grande amico. Purtroppo, don Gianni, in tale occasione non era presente essendo
occupato, in Grecia, presso il monastero di Valtopedi a monte Athos. Ciò premesso, In tanti
conosciamo questo padre missionario ma credo molto superficialmente. Per tale motivo ho
deciso di fare ricerche su di lui. Fra le tante cose trovate in internet una mi ha colpita in
modo particolare per cui ho deciso di accantonare quanto già scritto per questo articolo e
riportare integralmente quanto scritto da Alessandra De Poli che è stata tanto chiara
quanto esaustiva, passo quindi a proporvi la lettura del suo scritto che personalmente consiglio anche se un pò lungo :

“Padre Vincenzo Bordo, missionario degli Oblati di Maria Immacolata, da oltre trent’anni
lavora al servizio dei poveri vicino a Seoul, dove la società è molto competitiva e si rifiuta
di vedere gli ultimi.
Quando si imbarcò per Seoul, nel 1990, in molti si chiedevano che utilità potesse avere un
missionario italiano in Corea del Sud, uno dei Paesi più avanzati al mondo e ormai con
una vivace comunità cattolica locale. Padre Vincenzo Bordo e un confratello furono il primi
missionari degli Oblati di Maria Immacolata a mettere piede in terra coreana, dove i
cattolici oggi sono l’11% della popolazione. «Quel giorno, sulla pista dell’aeroporto, ho
percepito che una nuova storia stava per iniziare». Lo racconta lui stesso nelle pagine di
“Chef per amore”, la sua autobiografia da poco pubblicata dal Centro Volontari Sofferenza.
Ancora dopo trent’anni di servizio pastorale, infatti, l’attività principale di padre Bordo,
originario di Piansano, un piccolo paese della Tuscia in provincia di Viterbo, resta quella di
servire anziani soli, persone senzatetto e poveri nella mensa del centro “Casa di Anna” a
Seongnam, una città poco più a sud di Seoul. Quando l’esperienza iniziò, nel 1992, tutti,
compreso il vescovo, gli avevano raccontato che in Corea non c’era povertà. Finché padre

Vincenzo incontrò don Pae Pedro, un prete locale, che invitò il missionario a recarsi nella
parrocchia di Shing-un, dove al tempo si contavano circa 5.000 cattolici. «Qui ci sono molti
poveri – gli disse -. Ti aiuterò a inserirti nel contesto». L’anno dopo il Comune affidò alla
parrocchia una prima mensa, chiamata “Casa di pace”. «Nel pomeriggio mi univo a suor
Mariangela che faceva apostolato nei quartieri indigenti della città per capire, imparare e
conoscere la realtà dei poveri, che c’erano in città, eccome!». Molto semplicemente, la
società coreana non li voleva vedere, e per questa ragione le istituzioni non vedevano
nemmeno il bisogno di finanziare le attività dei missionari. Gran parte del lavoro veniva
svolto grazie a donazioni dall’Italia da parte di amici degli Oblati di Maria Immacolata. «Mi
sono reso conto che nelle società moderne, ricche e consumistiche, se una persona, oltre
agli occhi sotto la fronte, non ha anche un cuore grande, aperto e attento a coloro che
passano accanto, non potrà mai accorgersi delle sofferenze altrui che affliggono le nostre
città», commenta il religioso di Piansano. Allo stesso modo tutti sostenevano che in Corea
non ci fossero nemmeno analfabeti; ma pure in questo caso l’esperienza del missionario
con gli anziani smentì queste tesi. «Anche quando nel 2002 iniziai un programma di
sostegno alla dislessia i dottori mi dissero che in Corea non c’erano persone affette da
questo disturbo», aggiunge padre Bordo, lui stesso dislessico. Nato nel 1957, durante i
suoi anni di studio in seminario (prima in quello minore di Montefiascone e poi in quello
regionale La Quercia) di dislessia non si parlava ancora in Italia. L’unico sostegno di cui
disponeva il futuro sacerdote era l’amore della madre che lo esortava a ripetere la lettura
dei testi. Ed è dedicata a una madre anche la Casa di Anna. Nel 1998, infatti, padre
Vincenzo, non più direttore della Casa di pace, si trovò senza lavoro come tanti coreani,
nell’anno della crisi finanziaria asiatica, che colpì duramente il Paese. Fu la provvidenza a
condurre alla sua porta Matteo Oh Eun-yong, proprietario di un grande ristorante della
città: «Mi disse: “Come sai la crisi economica sta riducendo alla miseria tante persone.
Ogni mattina trovo una fila interminabile di uomini in cerca di lavoro. So che tu ti occupi dei

poveri. Se lo desideri, metto a tua disposizione una parte della cucina e provvedo a tutto
ciò di cui hai bisogno”». Matteo aveva solo una richiesta: che la mensa dei poveri
prendesse il nome di sua madre, Anna, scappata dalla Corea del Nord durante la guerra
del 1950-53, ma che anche da profuga aveva sempre cercato di condividere qualcosa con
quanti non avevano nulla da mangiare. Ed è così che da 30 anni ogni mattina il sacerdote
(che al suo arrivo in Corea non sopportava il riso e tanto meno il kimchi, il cavolo
fermentato piccante alla base della dieta coreana) indossa il suo grembiule per cucinare
insieme ai volontari. Oggi oltre 500 persone si recano alla Casa di Anna, nel 70% dei casi
per ricevere l’unico pasto della giornata. A fine 2021, durante la pandemia di Covid-19, il
numero di utenti era arrivato a 990 persone. Ma le attività di padre Vincenzo non
terminano qui. Dopo aver notato che tra gli utenti della mensa c’erano anche alcuni
adolescenti, si incuriosì e andò a cercarli per le strade della città, scoprendo che nella
maggior parte dei casi scappavano da famiglie problematiche. I più piccoli oggi trovano
spazio in case famiglia, mentre i più grandi vengono indirizzati verso programmi di
reinserimento lavorativo grazie anche alla presenza di una fabbrica che permette loro di
mettere da parte del denaro, perché il vitto e l’alloggio sono coperti dalla parrocchia. Nel
2019, però, colpito dal numero elevato di giovani che restavano in strada, il sacerdote ha
deciso di promuovere anche il progetto Azit, un “bus cerca ragazzi”: «Abbiamo comprato
un grande autobus e iniziato ad andare in giro dalle 16 alle 24 in cerca dei ragazzi e delle
ragazze che vagavano per le vie della città». Oggi Azit è un punto di ristoro, ma anche un
«ospedale da campo per curare le ferite aperte e un oceano di consolazione per tanti
giovani abusati. Sono profondamente convinto – spiega padre Vincenzo – che i ragazzi,
oltre ad avere bisogno di un posto sicuro, hanno necessità di tanto affetto e amore». Il
nome coreano di padre Vincenzo è Kim Ha Jong, che significa “servo di Dio”. «Io ero
arrivato in Corea con il solo desiderio di amare Gesù e servire gli ultimi». Una vocazione
che al giorno d’oggi pare aver riscoperto anche la città di Seoul. La capitale ha ricevuto

diversi riconoscimenti per le politiche progressiste messe in atto dalle amministrazioni
locali allo scopo di ridurre le disuguaglianze economiche all’interno della società, nota per
essere ipercompetitiva. Padre Vincenzo ha calcolato il contributo della Casa di Anna: «Dal
1993 al 2022 abbiamo fornito 3.119.137 pasti, 20.905 interventi sanitari, 1.060 cure
dentistiche, 707 consulenze legali, ma soprattutto tanto rispetto e amore per la gente
abbandonata nelle strade di una città ricchissima, ma disattenta». Ora il missionario, che
non ha ancora trovato un altro sacerdote a cui cedere il grembiule da chef, spera in realtà
che la Casa di Anna venga chiusa: «Sogno una società senza più strutture di assistenza
sociale perché non ce n’è più bisogno. Sogno anche il giorno in cui mi recherò alla nostra
Casa di Anna e non essendoci più mendicanti davanti alla porta e nelle strade, potrò
chiudere i battenti e gettare la chiave lontano»”,

Quanto sin ora letto, ci ha certamente aiutato a capire quanto sacrificio, impegno e dedizione debba mettere padre Vincenzo in ciò che fa.

All’inizio della S. Messa, sono stati proposti i saluti di benvenuto da parte di don Gianni, a mezzo vocale su WA, così come alla fine quelli relativi alla consegna del dono, sempre da parte di don Gianni, a nome della comunità di Castel d’Asso. Comunità che anche in tale occasione si è rivelata estremamente generosa nella questua dell’offertorio interamente destinata alla “casa di Anna” (gestita da padre Vincenzo).

Ringrazio quanti hanno presenziato alla S. Messa e quanti, pur non essendo presenti, mi hanno inviato una loro offerta, appunto, per la “casa di Anna”.

Samdro Mosè Toso

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