Ma questo Dio dove è? Elie Wisel se lo domanda nel suo “La notte” dove narra di un campo di concentramento dove tre persone vengono impiccate, un bambino tra di loro, Pipel, davanti a centinaia di persone terrorizzate. Passando davanti alle forche si sente una domanda: “Ma Dio dove è?” E una voce interiore che risponde: “Dov’è? Eccolo lì: è appeso a quella forca… e quella sera la zuppa aveva un sapore di cadavere”.

Ho conosciuto questo testo durante un ritiro spirituale, uno diverso dai non molto “spirituali” ai quali mi è capitato di partecipare. In genere mi annoio dentro discorsi fatti e rifatti, pieni di vocaboli eruditi e citazioni di citazioni, ma senza anima, senza “Dio”. Non perché io sappia chi è “Dio”. Non lo so e non lo saprò mai. Un mistero cessa di essere mistero se lo possiamo definire e vedere. Ogni tanto esce un libro che parla di Dio. Ma sono pagine di carta e nulla più. Alcuni li leggo, ma poi li metto da parte. Non mi dicono nulla di più di quanto già so o penso di sapere.

Ho conosciuto persone che senza parlare tanto di Dio, mi trasmettevano una sensazione di presenza mistica. Alcuni nomi posso anche farli… non camminano più per le nostre strade. Dom Pedro Casaldaliga in Brasile. Don Sebastiano Ferri, Don Steno Santi e Don Dante Bernini in Italia. Madre Teresa a Calcutta. Una mamma di dieci figli nelle Marche, ancora in vita. Ho anche letto la vita di tanti altri che mi hanno lasciato un bel sapore in bocca… il gusto della bellezza e della bontà semplice e vera.

Da tempo quando penso a Dio non lo vedo più, non cerco di sapere dove sta, come è fatto e cosa pensa. E’ come se mi sedessi davanti al roveto ardente di Mosè, immobile ad ascoltare una voce che non parla, ma che mi carezza come un venticello gentile al mattino. Neppure mi domando più cosa potrebbe o dovrebbe fare per me. Allora perché lo prego? La preghiera mi si è rivoltata nel cuore. Non sono più io che chiedo a Dio, ma lascio che Dio dica a me cosa fare e come vivere, anche quando la vita diventa difficile… e non venite a dirmi che per voi la vita è sempre facile. Ho anche capito meglio il senso della “Presenza” del mistero dentro e davanti a me.

Davanti a una cena, il Signore Gesù, l’unica Parola rivolta a noi dal mistero della fede, guardando il pane sulla tavola dice: “Io sono il Pane vivo disceso dal cielo…” e aggiunge: “… chi mangia di QUESTO PANE vivrà in eterno…”. Quel “QUESTO PANE” non è quello sulla tavola, ma è “LUI… Io sono il Pane vivo…”. Dobbiamo cibarsi di Lui come ci cibiamo del pane di acqua e farina, ma è di LUI che dobbiamo alimentarci. Mangiare Gesù? E’ pensare come Lui, vivere come Lui, comportarci come Lui, mettersi il grembiule come Lui, accogliere come Lui, camminare tra la gente come Lui, volgere lo sguardo verso chi soffre come Lui…

Insomma credere in Dio non è dire “IO CREDO”, ma poter dire “IO CERCO DI VIVERE COME LUI”. Così si diventa figli di Dio. Gesù per noi è un esempio di questa nuova figliolanza. Gesù è il primo di una nuova generazione di umani pieni di Dio. E’ un nuovo ramo nella evoluzione non più solo fisica ma spirituale.

Il cammino è aperto, aiutiamolo a camminare, come scriveva Arturo Paoli (morto a Lucca il 13 luglio 2015, a 103 anni), un grande poco capito dalla burocrazia ecclesiastica che ho incontrato due volte a Toronto e in Venezuela. Stare accanto a lui si sentiva il profumo del divino.

Non domandatemi più se credo in Dio. La riposta “Si o No” non dice nulla. E’ la vita che racconta la nostra fede. Se cerchiamo di vivere come “Dio” vivrebbe (e lo vediamo in Gesù e nei santi) è la nostra vita che racconta la nostra fede. Altrimenti racconta la nostra ipocrisia e i nostri racconti.

don Gianni Carparelli

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