Sosta e Ripresa intende offrire ai suoi lettori, oltre al lavoro di chi scrive questo giornale, contributi di altri organi di stampa che si segnalano come particolarmente significativi in questo momento. Significativi perché modi di leggere gli avvenimenti alla luce del magistero ecclesiale o anche semplicemente, perchè indicazioni di senso sulle quali riflettere.
Oggi non ospitiamo uno specifico articolo, ma pubblichiamo in questo giorno liturgico della Commemorazione dei defunti, un sommario dei principali argomenti del numero di novembre de Il Messaggero di Sant’Antonio, lo storico mensile legato alla basilica pontificia del Santo a Padova, affidata ai frati francescani minori conventuali.
Siamo lieti di farlo, a ulteriore conferma del sollievo provato quando fu scongiurata, almeno per ora, a strana idea, espressa un’anno fa dalla proprietà del mensile che si possano fare i giornali senza giornalisti, cedendo a un tipo di “informazione” determinata solo dai costi e sottratta al suo significato ontologico. Un significato valido sempre e a maggior ragione per la stampa cattolica, che serve a far pensare davvero, non a far voltare la testa di fronte a un sempre più pervasivo degrado sociale e valoriale.
Abbraccio, un’intensa opera dell’artista bosniaco Safet Zec, è l’immagine di copertina di Il Messaggero di sant’Antonio di novembre, che ruota intorno al tema della “morte”, parola-guida del nuovo numero, e che ha scelto come titolo l’emblematico “Abbracciando chi non c’è più”.
Lo presenta l’editoriale di fra Fabio Scarsato “Soffia il vento”, il vento di Dio, quello che richiama la vita stessa, nel quale i defunti ora danzano gioiosi. Perché «ciò che noi chiamiamo sconsolatamente morte viene anch’essa dall’infinita misericordia del Creatore».
Ne parla approfonditamente l’ampio dossier “Quegli abbracci non dati” curato dalla redazione con le foto di Giovanni Mereghetti. Un tanatologo (Guidalberto Bormolini, religioso dei Ricostruttori nella preghiera), un cappellano di un ospedale covid (Giovanni Musazzi, sacerdote del Sacco di Milano), un rianimatore (Renato Manzi, che opera nella terapia intensiva dell’Istituto dei tumori di Milano), una giovane cui il virus ha strappato il papà (Mara) e una scrittrice (Martina Picca): tutti insieme per parlare della morte e del morire, per ripercorrere quanto accaduto soprattutto tra marzo e aprile scorsi, per guardare in faccia il dolore di chi ha visto «scomparire» un proprio caro senza potergli stare vicino, consolarlo, salutarlo. Il risultato è una sorta di intensissima tavola rotonda per parlare, attraverso le pagine della rivista francescana, senza giri di parole di morte e dare un senso a quanto vissuto. Perché il virus ci ha ricordato che la morte fa parte della vita. Di tutti, anche nostra.
Infine Luisa Santinello firma “La mia pittura in nome della Verità”, intervista al pittore bosniaco Safet Zec. L’artista ha ritratto le vittime della guerra in Bosnia ed Erzegovina, ma in fondo anche tutti gli altri profughi del mondo che ogni giorno fuggono dai conflitti. Un inno alla fratellanza universale, ma anche il racconto di un dolore profondo generato non da un virus, bensì dalla guerra, da cui lo stesso Zec fuggì quasi trent’anni fa.
© Il Messaggero di Sant’Antonio