Sosta e Ripresa intende offrire ai suoi lettori, oltre al lavoro di chi scrive questo giornale, contributi di altri organi di stampa che si segnalano come particolarmente significativi in questo momento. Significativi, perché modi di leggere gli avvenimenti alla luce del magistero ecclesiale o anche semplicemente, perchè indicazioni di senso sulle quali riflettere. In questo caso deviamo dal campo solito, appunto la stampa, nel quale questa rubrica trova gli spunti da proporre ai lettori. Lo facciamo a causa di una felice circostanza occorsa al direttore responsabile del nostro giornale, aver avuto cioè in dono dall’arcivescovo Agostino Marchetto, insieme a oltre un’altra ventina di persone che questi ha particolarmente care o sente comunque vicine, il testo dell’omelia che ha tenuto nel 35° anniversario della sua ordinazione episcopale.
L’arcivescovo Marchetto, oggi un ottantenne al quale l’età non ha tolto in nulla l’acutezza del pensiero e la sapienza del cuore, è stato molte cose: un grande diplomatico, una voce significativa del cattolicesimo in questioni vitali – forse le più importanti nella nostra epoca- quale la lotta alla fame e la situazione dei migranti. Più di tutto è stato ed è una guida alla conoscenza approfondità del Concilio Vativano II, capace di far ragione sia delle “fughe in avanti” di alcuni commentatori, sia degli arroccamenti di tanti “tradizionalisti” o peggio che confondono i propri pregiudizi, il proprio clericalismo antistorico, con una presunta fedeltà alla Chiesa. Una guida sicura non tanto a giudizio di chi Sosta e Ripresa dirige, ma soprattutto di Papa Francesco che lo ha definito, a voce e per iscritto, il più grande ermeneuta del Concilio.
Tutto questo traspare nell’omelia che pubblichiamo. Nella rughe che l’accompagnano, lo stesso Marchetto si rivolge ai destinatari definendola «… ne parla ai destinatari un “magnificat” e un “miserere” a cui vi invito a partecipare in ispirito soprattutto, considerate le circostanze pandemiche. Grato se leggerete il testo e ancor più se cercherete di comprenderne lo spirito e le preoccupazioni pastorali che lo animano».
Omelia in occasione del 35° anniversario della ordinazione episcopale di mons. Agostino Marchetto

Sia lodato Gesù Cristo sommo ed eterno Sacerdote con Maria Regina degli Apostoli.
Grato per la vostra presenza amica e fedele ho pensato anzitutto di rivisitare con voi e per voi un passo del discorso di Papa Paolo VI all’inizio della II sessione del Concilio Ecumenico Vaticano II per illuminarvi un po’ sul ministero episcopale che oggi in me, indegno servo del Signore e Vostro, festeggiamo insieme. E voi sapete dei miei tanti anni di studi con intelletto d’amore sul Magno Sinodo, come l’ho sempre chiamato. Ecco il testo abbastanza accorciato in versione personale:
“Siamo qui di nuovo – attesta Papa Montini – come in un altro cenacolo; dal cielo qui ci viene accanto la Vergine Maria, Madre di Cristo; qui intorno a Noi, che siamo succeduti nella sede dell’Apostolo Pietro, per cui godiamo con lui della stessa autorità e del medesimo incarico, siete convenuti voi, Venerabili Fratelli, che siete anche voi apostoli, perché traete origine del Collegio Apostolico e ne siete i veri eredi; qui uniti dalla stessa fede e dalla stessa carità innalzeremo un’unica preghiera; qui noi godremo senza dubbio del dono soprannaturale dello Spirito Santo presente, animante, docente, corroborante; qui tutte le lingue di tutti i popoli risuoneranno insieme e sarà univoco il messaggio da inviare al mondo intero; qui con passo sicuro è giunta la Chiesa, dopo aver pellegrinato per ormai venti secoli su questa terra; qui lo stuolo apostolico, congregato da tutto il mondo, si ristora come alla sorgente che estingue ogni sete ed accende ogni nuova sete; e da qui, ripreso il cammino nel mondo e nel tempo, si avvia verso una meta che è al di là di questa terra ed oltre questo tempo… Qui i Fratelli, successori degli Apostoli, sono radunati perché si sentissero uniti in un unico corpo con il Sommo Pontefice e da lui ricevessero forza e direzione perché il sacro deposito della dottrina cristiana sia custodito e insegnato in forma più efficace.
Ma a questo più nobile scopo del Concilio è unito anche l’altro, quello cosiddetto pastorale, che al presente sembra più pressante e più propizio del primo affinché la dottrina ecclesiastica, sia approfondita ed esposta secondo quanto è richiesto dai nostri tempi. La dottrina cristiana poi non verte soltanto nel analizzare la verità con la ragione che la fede ha illuminato, ma anche nella parola che genera vita ed azione. Perciò l’autorità della Chiesa non deve consistere esclusivamente nel condannare gli errori che la deturperebbero, ma deve anche promulgare documenti positivi e costruttivi, di cui essa è feconda”.
Ciò significa che noi non dobbiamo soltanto custodire questo prezioso tesoro -ossia la dottrina cattolica -, come se ci preoccupassimo della sola antichità, ma, alacri, senza timore, dobbiamo continuare nell’ opera che la nostra epoca esige, proseguendo il cammino che la Chiesa ha percorso per quasi venti secoli. Di conseguenza “si dovrà adottare quella forma di esposizione che più corrisponda al magistero, la cui indole è prevalentemente pastorale” . Né sarà da noi negletta l’importante questione concernente l’unità di tutti coloro che credono in Cristo e vogliono far parte della sua Chiesa.
Vengo più brevemente al secondo e ultimo punto dove cerco di illuminarvi sull’aspetto pastorale or ora menzionato anche confermato recentemente dal Card. Vicario di Sua Santità in Roma per l’apertura dell’anno pastorale. Un giornale ha così riassunto il suo intervento “All’odio noi contrapponiamo l’umile amore di amicizia”. Ecco, la pastorale si fonda sull’amore di amicizia. Il cammino diocesano -spiegava- “non punta su cose da fare” quanto sul “far maturare il nostro approccio, l’atteggiamento del cuore: un cuore -ribadiva- abitato dall’amore di amicizia”. Che bello! E uno dei due libri da me pubblicati per l’anniversario di oggi e i miei 80 anni di vita è dedicato “agli Amici”, intesi nel senso pastorale appena accennato. Quello che c’è da fare – e io sono totalmente d’accordo- “è per certi aspetti semplicissimo e feriale: incontrare le famiglie, incontrare i ragazzi a scuola o sui muretti, andare a visitare gli anziani e i malati, farsi vicini a chi versa in stato di povertà… Nulla di differente a ciò che siamo chiamati a fare sempre. Ma con atteggiamento diverso, sì, entrando in relazione con tutti per ascoltarli in maniera contemplativa”. Disponiamoci dunque a ripartire così, tutti, più cristiani in fondo, con amore di amicizia. Si tratta molte volte di pesca all’amo, che richiede più tempo, pazienza, e fatica, però ne vale la … salvezza.
Concludo con un apologo raccontato dall’allora Cardinale Joseph Ratzinger, al celebrare nella sua parrocchia di origine il 13 luglio 1997. Egli diceva che la colomba in origine era stata creata senza ali e ne soffriva molto e così fu a lamentarsi con il suo Creatore dicendo “porto il mio peso su minuscole gambette con le quali riesco solo a zampettare, e in più sono indifesa. Il gatto che mi assedia è agile e possiede artigli e denti affilati. Sono alla sua mercé”. Il Creatore rispose. “Hai ragione, devo fare qualcosa per te, ti do delle ali”. Ma la colomba non sapeva che cosa fossero le ali e che cosa ci si fa. E dopo un po’ tornò dal Creatore lagnandosi così: “Ora è anche peggio, il mio peso è ancora maggiore e sono ancor più indifesa e alla mercé del gatto”. Allora il Creatore disse: “Sciocchina! Le ali non ti son date perché tu le porti ma affinché loro portino te. Non sono un peso, ma forza che ti sospinge in alto”. La colomba capì e guardando il gatto, sorridendo, si levò in alto felice nel vasto cielo blu.
Carissimi, e questo vale per me e per voi tutti, se prendiamo la fede solo come un “peso”, guardando soltanto i sacrifici che comporta. di certo non può farci felici. Ma se iniziamo veramente a viverla, a coinvolverci in essa, contemplando altresì il mattino di Pasqua di risurrezione e di vita, allora non sarà più un fardello, ma forza, ali che ci portano in alto. Fatene la prova!
Arcivescovo Agostino Marchetto
Ha compiuto ottant’anni lo scorso 28 agosto. È nato infatti in quella data del 1940 a Vicenza, dove è stato ordinato sarerdote a 24 anni, e ben presto chiamato a Roma per lavorare nella Segreteria di Stato vaticana e nelle Rappresentanze pontificie di Zambia e Malawi, Cuba, Algeria, Tunisia, Marocco e Libia, Portogallo, Zimbabwe. Nel 1985 viene nominato e consacrato arcivescovo (del titolo storico di Astigi, oggi Ecija, in Andalusia). Diventa nunzio apostolico, con il primo incarico in Madagascar e Mauritius, La Réunion, Mayotte, Isole Comore, seguito da quelli in Tanzania e poi in Bielorussia.
Rientrato a Roma, soprattutto a causa di una patologia difficile che vince, resta per qualche tempo con la “strana” qualifica di nunzio a disposizione.
Ritorna in servizio attivo con la nomina prima a Osservatore permamente della Santa sede presso la Fao, il Pam e l’Ifad, le agenzie dell’onu con sede a Roma che si occupano in senso lato di agricoltura e alimentazione, poi a segretario del Pontificio Consiglio per la pastorale dei Migranti e degli Itineranti.
Presenta le dimissioni a Papa Benedetto XVI nel 2010, a settant’anni come è prerogativa dei nunzi apostolici, per dedicarsi a tempo pieno ai suoi studi, già più che fecondi, sul Concilio Vaticano II, del quale Papa Francesco lo ha definito il più grande ermeneuta. Lo stesso Papa Francesco quattro anni dopo lo ha voluto membro della Congregazioneper l’Evangelizzazione dei popoli.
La sua bibliografia è troppo lunga per essere riportata completamente. Ai ponderosi volumi sul Concilio da lui firmati si affianca “Primato pontifio ed episcopato. Dal primo millennio al Concilio Ecumenico Vaticano II. Studi in onore dell’arcivescovo Agostino Marchetto a cura di Jean Ehret”,
Da citare altresì il libro intervista “Agostino Marchetto. Chiesa e migranti. La mia battaglia per una sola famiglia umana”, realizzato con Marco Roncalli.