Gesù crocifisso, Ph Laura ciulli

Via Crucis 2009 Meditazioni di Pierluigi Natalia

Nel preparare questa Via Crucis, ho voluto modificare lo schema tradizionale delle quattordici stazioni. Non lo ho fatto per un vezzo intellettuale, né tanto meno per una mancanza di rispetto nei confronti di una consolidata tradizione popolare.  Lo ho fatto seguendo un esempio illustre, quello di Giovanni Paolo II, del quale ho scelto le preghiere della Via Crucis al Colosseo nel 2002.

Le orazioni che ho scelto alla fine di ogni stazione furono appunto quelle proposte nel 2002 da Giovanni Paolo II.

Le meditazioni sono invece mie elaborazioni da diversi testi che sarebbe troppo lungo citare tutti, alcuni di Padri della Chiesa, alcuni di Pontefici, altri di teologi e scrittori, altri ancora miei.

I brani del Vangelo proposti sono, ovviamente, quelli della passione di Cristo. Tutti ne sentiamo la sofferenza. Tutti ne subiamo il peso. Ma la croce non è l’ultima tappa. Se lo fosse, sarebbe lecito a Cristo evitarla, sarebbe possibile cedere al tentazione che torna a manifestarsi, con le stesse argomentazioni già presentate nel deserto. In questo tempo di quaresima anche noi siamo chiamati a fare esperienza del deserto, inteso come luogo dell’essenzialità, non della solitudine.

L’essenziale sul quale siamo chiamati a riflettere e a pregare questa sera è che la passione ha senso solo nella Pasqua. La passione dell’uomo trova senso solo nella visione pasquale. Se non c’è resurrezione, la nostra fede è vana. Lo dice senza equivoci San Paolo. Cristo percorre la via della croce in obbedienza al progetto salvifico del Padre. Preghiamo questa sera di essere aiutati a riconoscerlo anche come nostro cammino: “Se qualcuno vuol venire dietro a me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua” (Mt 16, 24).

Ricordiamo il valore della pia pratica della Via Crucis come scuola di vita evangelica. Guardiamo al Crocifisso per riflettere sul significato ultimo di amare Dio sopra ogni cosa e di spendere la vita per i fratelli. Preghiamo che quest’ora e le parole che ascolteremo ci insegnino il perdono, la riconciliazione e la pace.

Ma la Via Crucis è soprattutto uno spazio della rivelazione dell’Amore trinitario: del Padre  che “ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito” (Gv 3, 16); del Figlio, che ha amato gli amici fino a dare per loro la vita (cfr Gv 15, 13); dello Spirito di pace, di misericordia e di consolazione. Preghiamo di essere conquistati e arricchiti della rivelazione di questo Amore.

Cominciamo quindi la nostra preghiera nel nome del Padre e del Figlio
e dello Spirito Santo.

Amen.

PRIMA STAZIONE

Gesù in agonia nell’Orto degli Ulivi

Adoramus te, Christe, et benedicimus tibi

Quia per sanctam crucem tuam redemisti mundum

Dal Vangelo secondo Marco (14, 32-36)

Giunsero a un podere chiamato Getsèmani. Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e cominciò a sentire paura e angoscia. Gesù disse loro: “La mia anima è triste fino alla morte. Restate qui e vegliate”. Poi, andato un po’ innanzi, si gettò a terra e pregava che, se fosse possibile, passasse da lui quell’ora. E diceva:  “Abbà, Padre! Tutto è possibile a te, allontana da me questo calice! Però non ciò che io voglio, ma ciò che vuoi tu”.

In una notte senza riposo e senza solidarietà,  senza che gli amici più cari sappiano vegliare un’ora, comincia la passione. In amore c’è un solo peccato: non esserci quando si ha bisogno di noi, di noi che usiamo senza riflettere parole come “mai” e “sempre”. Chiediamoci quante volte, con i coniugi, con i figli, con i genitori, con gli amici siamo latitanti, assenti, superficiali, egoisti. Chiediamoci quante volte lo siamo con il Cristo, con l’Amico al quale una sera di primavera in un uliveto porta paura e solitudine dell’abbandono. Già il Getsemani ci dice che la via della Croce è una via solitaria. Il Signore percorre le strade dell’uomo riempiendole d’amore e di parole di vita. Ma nel Getsemani non ci sono orecchie ad ascoltarle Ci è stata tramandata la preghiera durante la Cena, l’ammaestramento più alto. Ma della preghiera solitaria con la faccia contro il terreno, sappiamo solo la sincerità del confessarsi triste fino alla morte. La Parola che placava la tempesta  ora non può placare l’angoscia che lo fa uomo come milioni di uomini. Per avere pace occorre accettare, occorre saper dire il “fiat voluntas Dei”. Lo aveva fatto Maria e aveva consentito l’Incarnazione. Lo fa il Figlio e acconsente a redimere il mondo. La pace non giunge con una resa supina. La pace è accettazione consenziente, è fiducia nel progetto e nell’amore di Dio. La pace è conoscenza e dono. Nel Cristo che ha sudato sangue torna l’energia necessaria ad affrontare la prova più ardua. Occorre uscire dall’ombra del Getsemani, anche se spesso un’ombra può essere consolatoria, anche se spesso temiamo la luce della verità. Occorre scegliere la giustizia e l’amore perché nell’anima trovi posto la pace.

Gesù, tu, che sei entrato nel Getsèmani pieno di angoscia e ne sei uscito con l’animo deciso e pacificato, conforta chi geme nel timore o è turbato dal dubbio. Tu, che hai sperimentato la nostra debolezza, concedi fortezza e speranza a tutti i disperati della terra. Tu, che cammini ogni giorno a fianco di chi è oppresso dai pesi della vita, resta accanto a ognuno di noi, passo dopo passo. A te, Gesù, prostrato a terra, il volto rigato di sangue, l’onore e la gloria con il Padre e con lo Spirito, nei secoli senza fine. Amen.  Padre nostro

SECONDA STAZIONE

Gesù, tradito da Giuda, è arrestato

Adoramus te, Christe, et benedicimus tibi

Quia per sanctam crucem tuam redemisti mundum

Dal Vangelo secondo Marco 14, 43.45-46

E subito, arrivò Giuda, uno dei Dodici, e con lui una folla con spade e bastoni andata dai sommi sacerdoti, dagli scribi e dagli anziani. Gli si accostò dicendo:  “Rabbì”, e lo baciò. Essi gli misero addosso le mani e lo arrestarono.

Nella notte trascorsa tra il Cenacolo, il Getsemani e il Sinedrio si consuma il tradimento.  La liturgia lo ricorda nel canone eucaristico: questa è “la notte in cui veniva tradito” (1 Cor 11, 23). Tradisce Giuda. Per secoli, gli uomini si sono interrogati sul perché di quel tradimento. Giuda è diventato di volta in volta un simbolo di orrore o di errore. Se ne è fatto un mostro o il portatore di una delusione, magari riguardo a un progetto politico. Anche Pietro sceglie la violenza prima di cedere alla viltà: leva la spada. Gesù tocca e risana il ferito. Non è un fatto simbolico. Giovanni ci dice il nome di quel ferito: Malco. Il sangue di Malco bagna lo stesso suolo già impregnato dal sudore di sangue di Cristo. Gesù ci dice che in questa notte il sangue da versare è solo il suo.  Tutti di violenza, sia pure solo verbale, a volte siamo vittime, tutti siamo traditi. Tutti, a volte, la violenza e il tradimento scegliamo. Ma Gesù risana quella ferita, ferma la violenza dei suoi discepoli contro quelli che pure in quell’ora sono i suoi nemici. Poi interroga Giuda. Quella domanda è ancora un atto di misericordia. C’è ancora possibilità di salvezza. Non cogliere questa possibilità consegna Giuda a una disperazione suicida. Ricordiamo, anche nelle ore più cupe, anche nella rivelazione più amara dei nostri peccati e delle nostre sconfitte, che solo la superbia impedisce il soccorso della speranza salvifica.

Signore Gesù, nelle nostre divisioni, frutto amaro del peccato, mostraci la strada verso l’unità, la via che conduce alla ricchezza indicibile del Vangelo e della Redenzione. Deve giungere il tempo stabilito dal Padre, in cui si manifesti l’amore che perdona ed unisce. Tu, sapiente Maestro di vita, tu, buono e paziente, di fronte al tradimento del discepolo e alla prepotenza dei governanti, dona a noi, in questi giorni di violenza inaudita e di brutale opposizione fra gli uomini, un raggio della tua calma e della tua serenità. Dona a noi sentimenti di pace e di perdono, perché non c’è pace senza perdono, non c’è perdono senza compassione. A te, Gesù, che all’amico che ti tradisce mostri il tuo volto mite, la lode e l’onore, con il Padre e con lo Spirito, oggi e nel giorno senza fine. Amen.  Padre nostro

TERZA STAZIONE 

Gesù è condannato dal Sinedrio

Adoramus te, Christe, et benedicimus tibi

Quia per sanctam crucem tuam redemisti mundum

Dal Vangelo secondo Marco 14, 55.60-62.64

I capi dei sacerdoti e tutto il sinedrio cercavano una testimonianza contro Gesù per metterlo a morte, ma non la trovavano. Il sommo sacerdote, levatosi in mezzo all’assemblea, interrogò Gesù dicendo:  “Sei tu il Cristo, il Figlio di Dio benedetto?”. Gesù rispose:  “Io lo sono!”.  Tutti sentenziarono che era reo di morte.

Un uomo è consegnato ad una macchina giudiziaria messa in moto da un arbitrio che taluni chiamano ragione di Stato. Il potere non riconosce la verità, riconosce solo se stesso. Gesù è alla sbarra come tutte le vittime dell’arbitrio, i presunti colpevoli di delitti di coscienza. E non si piega all’imposizione che stritola, al sistema. In quello che è già un carcere, risponde declinando la propria identità. Gesù muore perché dice chi è. Gesù ci insegna che affermare propria identità e annunciare la propria fede sono talvolta atti passibili di morte.  Si: la macchina giudiziaria è in moto. Quella che condanna senza prove, accusa senza motivo, giudica senza appello, schiaccia l’innocente. La giustizia sommaria, sbrigativa delle dittature moderne e delle situazioni di guerra. O persino la sedicente giustizia che in modo blasfemo si dichiara in nome di Dio. Ma anche la nostra giustizia da benpensanti. Pensiamo alle donne e agli uomini di tutte le prigioni, scherniti, segnati, feriti, torturati. Pensiamo agli ebrei, fratelli del Cristo nella carne, perseguitati e ridotti a numeri, a matricole incise su una pelle bruciata nei forni crematori, che qualche sedicente cristiano si permette persino di negare. Pensiamo a quegli inferni che sono i campi profughi in Africa. Pensiamo ai Lagoi in Cina. Ma pensiamo anche a quei campi di concentramento a cielo aperto che sono nella nostra Italia i centri per gli immigrati irregolari. Pensiamo alle carceri piene di poveri cristi, mentre stampa, televisioni, politica si stracciano e vesti e cambiano le leggi ogni volta che il carcere lo rischiano i potenti, i corruttori.

Gesù, basta che tu dica “Io sono”, perché noi accorriamo a te. Nelle prigioni uomini e donne ti implorano. Vegliano e pregano nella notte. Ci insegnano l’aria che lì si respira, il male che opprime, la libertà che si cerca. Ascolta la loro supplica. Se non si sentono perdonati, amati da te e da noi, se è negata loro la speranza, sono doppiamente condannati, rinchiusi nel braccio della morte. Concedi ad essi quanto hai concesso a noi:  la fede in te e nella tua presenza, l’amore alla vita, la speranza in un mondo nuovo. Dà a noi e a loro i mezzi per cercarti, per accettare l’attesa e per trovarti. A te, Gesù, Pastore buono e Signore delle nostre vite, Amico dal volto clemente, la lode pura e grata, con il Padre e con lo Spirito, nel tempo e nell’eternità.
Amen. Padre nostro

 

QUARTA STAZIONE

Gesù è rinnegato da Pietro

Adoramus te, Christe, et benedicimus tibi

Quia per sanctam crucem tuam redemisti mundum

Dal Vangelo secondo Marco 14, 72

Per la seconda volta un gallo cantò. Allora Pietro si ricordò di quella parola che Gesù gli aveva detto: “Prima che il gallo canti due volte, mi rinnegherai per tre volte”. E scoppiò in pianto.

Piange Pietro, Cefa, la roccia, che ha rinnegato il suo Redentore, non una, non due, ma tre volte. Piange il Capo della Chiesa e annuncia i tanti tradimenti che lungo la storia si mischieranno con le tante testimonianze d’amore e di verità. Quanti cristiani, quanti consacrati, quanti Papi vacillano? Sì Pietro è la nostra icona. È il primo a dare testimonianza della verità, ma è anche quello la cui fede vacillò quando tentò di camminare sull’acqua. È quello che nella stessa notte promette di morire, piuttosto che rinnegare il suo Maestro, e che poi nega persino di conoscerlo. Nel Getsemani impugna la spada e colpisce. Ma quello della spada non è coraggio. E infatti coraggio non ha appena un’ora più tardi. E tradisce. E dimentica gli insegnamenti avuti, quelli dei quali è chiamato ad essere custode, maestro. Il mondo è cattivo quella notte. E anche in Pietro, in colui che per primo ha riconosciuto Gesù come il Messia,  la paura della cattiveria è più forte di tutto, non solo della fede, ma anche dell’umana vergogna di tradire un amico. Poi incontra lo sguardo dell’Amico che ha rinnegato. E piange. In quel pianto è la nostra speranza. Quel pianto – di vergogna, di pentimento, di coscienza – ci riscatta tutti. Se la Chiesa, nel suo Capo, si riconosce peccatrice; se persino i più intimi offendono Dio e sono perdonati, allora il perdono ha segnato per sempre la storia. Perdonare, perdonare sempre, perdonare tutto. Questo fa Dio per noi. Questo è la Redenzione.

Signore, donaci un cuore umile e contrito. Fa che sappiamo versare lacrime per le nostre colpe, per ritornare al tuo amorevole abbraccio ogni volta che ti abbiamo voltato le spalle. Fa che impariamo da Pietro a non ritenere per scontata la nostra fede né a presumere di essere migliori degli altri. Aiutaci a conoscere noi stessi come siamo veramente, fragili, peccatori, costantemente bisognosi del tuo perdono. A te, Gesù, che guardi l’amico con volto sereno, la lode e la gloria con il Padre e con lo Spirito, nei secoli eterni. Amen. Padre nostro

 

QUINTA STAZIONE

Gesù è giudicato da Pilato

Adoramus te, Christe, et benedicimus tibi

Quia per sanctam crucem tuam redemisti mundum

Dal Vangelo secondo Marco 15, 14-15

La folla gridò più forte:  “Crocifiggilo!”. E Pilato, volendo dar soddisfazione alla moltitudine, rilasciò loro Barabba e, dopo aver fatto flagellare Gesù, lo consegnò perché fosse crocifisso.

Siamo noi, quei cittadini di Gerusalemme. Siamo l’opinione pubblica, la maggioranza elettorale che chiede sicurezza al prezzo del massacro di qualcuno, del diverso. E sempre del più debole. “Sia crocifisso” (Mt 27, 22).  Oppure “pene più severe”. Oppure “vanno messi in galera e va buttata via la chiave”. Siamo noi Lamech che uccide un uomo per una propria scalfittura, un ragazzo per un proprio livido (Gen. 4, 23). E il potere alimenta volentieri una ferocia che non lo tocca e che, anzi, spesso lo sostiene. È nella nostra epoca, nelle nostre città che torna a farsi strada la brama del linciaggio, la voglia di sangue. Ma al contrario di Lamech, noi ci assolviamo sempre. Le nostre colpe, i nostri reati, i nostri delitti hanno sempre qualche giustificazione. Dall’adulterio all’evasione fiscale, dalla maldicenza all’inganno. Fino ai più gravi, fino ai peccati le cui vittime chiedono vendetta al cospetto di Dio. Gli atti sessuali contro natura, la pedofilia, il turismo sessuale ai danni di quegli stessi stranieri che non vogliamo in casa. L’omicidio volontario, compresa la guerra. Il togliere la giusta mercede al lavoratore, con salari insufficienti, con lavori precari, senza garanzie di futuro. L’oppressione del povero, lo scandalo della fame dei quattro quinti dell’umanità che paga l’opulenza del Nord ricco del mondo.

Signore Gesù, liberaci dall’ipocrisia e dall’indifferenza, dalla tentazione di lavarci le mani di fronte all’ingiustizia. Concedici l’umiltà necessaria per riconoscere i nostri errori. Insegnaci a rifiutare qualsiasi compromesso con l’ingiustizia e la menzogna. Aiutaci a fare silenzio dentro di noi per ascoltare il grido di coloro che soffrono. Illumina coloro che cercano sempre una giustificazione alle proprie colpe. A tutti noi, Signore che versasti il tuo sangue come prezzo della nostra libertà, dona la tua voce, perché la leviamo in difesa degli oppressi, di quanti soffrono in silenzio, sì che nel mondo diventino realtà la pace, la giustizia e il perdono. A te, Gesù, il Condannato dal volto innocente, la lode pura e grata, con il Padre e con lo Spirito, nel tempo e nell’eternità. Amen. Padre nostro

 

SESTA STAZIONE

Gesù è flagellato e coronato di spine

Adoramus te, Christe, et benedicimus tibi

Quia per sanctam crucem tuam redemisti mundum

Dal Vangelo secondo Marco 15, 17-19

I soldati lo rivestirono di porpora e, dopo aver intrecciato una corona di spine, gliela misero sul capo. Cominciarono poi a salutarlo: “Salve, re dei Giudei!”. E gli percuotevano il capo con una canna, gli sputavano addosso e, piegando le ginocchia, si prostravano a lui.

Gli uomini si burlano delle loro vittime prima di torturarle. Una soldataglia irridente, magari convinta di esercitare un normale, allegro cameratismo, occupa un’ora d’attesa con uno scherno feroce. Ma sono poi tanto da condannare? O dobbiamo tener conto che sono un gruppo di allegri camerati, che scacciano un’ora di noia? Che male c’è in uno scherzo da caserma? E noi? Anche noi viviamo in situazioni tese. Anche noi ci rassicuriamo sentendoci gruppo. E se poi il gruppo è branco, oppure ronda, bisogna considerare che tutto sommato sono bravi ragazzi, brave persone. E poi, in ultima analisi, mica se la prendono con noi. Mica siamo barboni o extracomunitari o drogati o gentaglia dei centri sociali. Noi siamo quelli che Cristo lo incoronano d’oro, mica di spine. E allora riflettiamo su questa scena. Tutti, consciamente o inconsciamente, aspettiamo favori, potere, successo, ricchezze. Tutti, se non altro per omissione d’amore, arrechiamo dolore agli altri, ai più deboli, perfino ai non nati. Tutti ignoriamo o non curiamo i segni dei tempi, persino quelli di una natura sempre più devastata. Gesù agli sputi e all’irrisione risponde con la mansuetudine e il silenzio. Non c’è né biasimo né rancore. Un uomo soffre dolori indicibili. Quei dolori lo incoronano. Cerchiamo di imparare sopportare i nostri, a perdonare chi ce li infligge e avremo parte nel Regno.

O Gesù, nostro Re, perdona la nostra incoerenza:  piangiamo il tuo dolore, e colpiamo gli altri per far prevalere il nostro egoismo. Sii per noi, smarriti, guida sicura, per noi, deboli, fortezza nella prova, per noi, volubili, fermezza nella sequela. Fa che la violenza degli uomini sia vinta dalla tua mitezza e la sofferenza incomprensibile, accolta nella fede, divenga strumento di pace e di salvezza. A te, Gesù, Re coronato di spine, dal volto mite e pacifico, l’onore e la gloria, con il Padre e con lo Spirito,
nel tempo effimero e nel giorno senza fine. Amen. Padre nostro

 

SETTIMA STAZIONE 

Gesù è caricato della Croce

Adoramus te, Christe, et benedicimus tibi

Quia per sanctam crucem tuam redemisti mundum

Dal Vangelo secondo Marco 15, 20

Dopo averlo schernito, lo spogliarono della porpora e gli rimisero le sue vesti, poi lo condussero fuori per crocifiggerlo.

Scandalo. Stoltezza. La morte di croce è paradosso e contraddizione. È una morte orribile e vergognosa. Ma con quella croce Gesù entra nell’intimità dell’uomo, nella dimensione umana dello strazio. Proprio con quella morte violenta l’innocente entra nei nostri cuori. È difficile portare questa croce del paradosso nel mondo contemporaneo, dominato dal potere economico, politico, militare, dal terrorismo in nome della “giustizia” e della “difesa” dei poveri, dalla guerra come strumento per “esportare democrazia”. Costruiamo e subiamo messaggi di violenza e di odio. Siamo noi la croce di Cristo. E lui la prende sulle spalle. Per l’umanità sofferente, per le vittime della violenza e dell’ingiustizia, ma anche per i colpevoli, per tutti noi Gesù porta la croce. La condanna dell’uomo si fa misericordia di Dio. Lasciamo che quella misericordia irrompa nei nostri cuori impietriti e li faccia di carne.

Signore, donaci la forza e il coraggio per condividere la tua croce e le tue sofferenze nella vita quotidiana e nell’impegno professionale. Infondi in noi lo spirito di servizio e di sacrificio, perché aspiriamo non al potere e alla gloria, ma a divenire strumento di solidarietà e di pace, per coloro che vengono schiacciati dalla violenza e dall’ingiustizia dei potenti del mondo. A te, Gesù, carico della croce, dal volto stanco, il nostro saluto pieno di riconoscente stupore, con il Padre e con lo Spirito, ora e nei secoli dei secoli. Amen.  Padre nostro

OTTAVA STAZIONE

Gesù è aiutato dal Cireneo a portare la Croce

Adoramus te, Christe, et benedicimus tibi

Quia per sanctam crucem tuam redemisti mundum

Dal Vangelo secondo Marco 15, 21

Allora costrinsero un tale che passava, un certo Simone di Cirene che veniva dalla campagna, padre di Alessandro e Rufo, a portare la croce.

Stava entrando a Gerusalemme per suoi affari o forse per celebrarvi la Pasqua e si trovò coinvolto. In una via stretta e affollata
ci sono  soldati, donne che piangono, alcuni fanatici che si nutrono della brama del linciaggio, della voglia di sangue, come accade tante volte anche oggi. E c’è un condannato che non ha più le forze per portare sulle spalle il legno della vergogna. I soldati cercano qualcuno che tolga da lui questo peso.
Non lo fanno per pietà:  devono rispettare l’ora dell’esecuzione.
Scelgono il primo che capita, perché appare abbastanza robusto. Un uomo che veniva dai campi entrò in Gerusalemme. Ci ha guadagnato: cinque minuti nella storia della salvezza, una frase nel Vangelo. Ha conosciuto gratuitamente il peso della croce. Ecco svelato il mistero. La croce è troppo pesante per Dio
che si è fatto uomo. Gesù ha bisogno di solidarietà e chiede che essa sia data ai Suoi fratelli. Ci è stato detto: “Portate i pesi gli uni degli altri” (Gal 6, 2). E noi? Simone di Cirene ci ricorda che Cristo ci aspetta lungo la strada, sul pianerottolo, nell’ospedale, nel carcere, nelle periferie delle nostre città. Si: l’uomo ha bisogno di solidarietà. Non solo di riceverla, ma anche di darla.

Signore, tu dicesti:  “Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua” (Mc 8, 34). Come posso farlo?
Insegnamelo tu, e con la tua grazia vinci in me la paura dell’odio altrui,
la paura del dolore, la paura di una morte solitaria, la paura della paura.
Signore, abbi pietà della mia debolezza. A te, Gesù, accasciato dalla fatica, il volto segnato dalla stanchezza, il nostro amore solidale e grato, con il Padre e con lo Spirito, con i quali sei una cosa sola, nel tempo che passa e nell’eternità immutabile. Amen.  Padre nostro

 

NONA STAZIONE 

Gesù incontra le donne di Gerusalemme

Adoramus te, Christe, et benedicimus tibi

Quia per sanctam crucem tuam redemisti mundum

Dal Vangelo secondo Luca 23, 27-28.31

Lo seguiva una gran folla di popolo e di donne che si battevano il petto e facevano lamenti su di lui. Ma Gesù, voltandosi verso le donne, disse: “Figlie di Gerusalemme, non piangete su di me, ma piangete su voi stesse e sui vostri figli. Perché se trattano così il legno verde, che avverrà del legno secco?”.

Il pianto delle donne inonda di pietà la strada del Condannato. Le donne non hanno gesti di scherno, né curiosità morbose, né la paura di tanti amici che non osano mostrarsi e si nascondono tra la folla benpensante. Le donne, lungo il Calvario e lungo la storia dell’uomo, hanno le lacrime. Sull’ingiustizia e sulla sofferenza, sull’innocente assassinato, sulla società complice o distratta, sulla Chiesa stessa – in quell’ora e tante volte latitante – si spargono le lacrime delle donne. Non sanno che in cambio delle loro lacrime, riceveranno la profezia tremenda del tempo che verrà. Non piangete su di me. Risparmiate il vostro pianto per gli anni e i giorni avvenire, perché, se trattano così l’Innocente, che sarà di voi e dei vostri figli? Gesù conosce la risposta alla domanda che rivolge alle donne di Gerusalemme. Carico della croce, barcolla sotto il peso del peccato e del dolore degli uomini, che ha voluto come fratelli. Sa già quanto è lunga nella storia la via dolorosa che porta ai calvari del mondo. Il Signore della storia le richiama all’unico pianto che valga: quello sull’umanità dolente. Solo quel Dio dolente può riscattare le ore cupe che incombono sul mondo, le ore  fatte di violenza in cui tanti uomini, tanti maschi, si vietano il pensiero della pace, il tepore di una carezza. Il pianto però non basta. Il pianto deve tracimare in amore che educa, in fortezza che guida, in severità che corregge, in dialogo che costruisce, in presenza che parla. Per questo, perché le donne hanno questa forza, in cambio delle loro lacrime possono ascoltare la profezia tremenda del tempo che verrà. Perché le donne sono argine alla violenza dei maschi, sono speranza e certezza. Perché il pianto delle donne irriga d’amore anche la storia più inaridita. Perché il Dio nato da donna benedice attraverso le donne la speranza dell’uomo.

 

Signore Gesù Cristo, tu che conosci la profondità del nostro cuore, la capacità di bene e di male che è in ogni uomo, insegnaci a perdonare
e a chiedere perdono, ad avere pietà di noi stessi e degli altri. Ricordati di Gerusalemme, benedetta dal tuo amore, dilaniata dall’odio degli uomini. Dona agli uomini e alle donne di quella Terra Santa pace e risurrezione. A te, Gesù,
nel cui volto risplende la luce del Padre e la tenerezza della Madre,
la lode e la gloria con l’eterna Luce e l’eterno Amore, nel tempo dell’attesa e nel compimento eterno. Amen.  Padre nostro

 

DECIMA STAZIONE 

Gesù è crocifisso

Adoramus te, Christe, et benedicimus tibi

Quia per sanctam crucem tuam redemisti mundum

Dal Vangelo secondo Marco 15, 24

Poi lo crocifissero e si divisero le sue vesti, tirando a sorte su di esse quello che ciascuno dovesse prendere.

Quelle mani che hanno benedetto tutti ora sono inchiodate al patibolo. Quei piedi che hanno percorso le vie della storia per portare amore e speranza ora sono attaccati al palo. Quel corpo veste la croce. Quel corpo è nudo di tutto, fuorché del peccato del mondo. Risorgerà. Nella Resurrezione generazioni e generazioni comprenderanno il valore salvifico non della sofferenza in sé, ma della scelta dell’amore. Lo comprenderanno, lo vivranno, seguiranno il Redentore nelle stesse, radicali esperienze d’amore. Completeranno nelle loro carni quello che manca alla passione di Cristo. Anche oggi sanguinano le piaghe prodotte dai chiodi dell’ingiustizia e dell’odio, della menzogna e dell’incuria dell’uomo. Anche oggi il Cristo è crocifisso in milioni di suoi fratelli. E tutti Gli chiediamo perché. Tutti lo sfidiamo a scendere da quella croce, come Satana nel deserto, come quelli che lo schernivano sul Calvario. Egli ci dice che dalla croce non è sceso perché altrimenti avrebbe consacrato la forza, il potere, come unici signori del mondo. Ma il mondo non sarebbe cambiato, perché l’amore è l’unica forza che può farlo.

Signore Gesù, inchiodato sul legno per amor nostro, donaci la tua libertà. Insegnaci a vincere la paura della sofferenza con la forza che scaturisce dalla tua croce. Facci penetrare in questo mistero di amore, che trasforma in momenti di grazia anche le umili vicende di ogni giorno. Gesù, innalzato sulla croce, attira a te quanti cercano il tuo volto; aiuta quanti partecipano alle tue sofferenze a scoprire il senso della loro misteriosa chiamata a condividere la tua passione e il dolore del mondo. A te, Gesù, Crocifisso, sul cui volto splende la misericordia, la nostra adorazione memore e grata con il Padre e con lo Spirito, oggi e nei secoli eterni. Amen. Padre nostro

 

UNDICESIMA STAZIONE

Gesù promette il suo Regno al buon ladrone

Adoramus te, Christe, et benedicimus tibi

Quia per sanctam crucem tuam redemisti mundum

Dal Vangelo secondo Luca 23, 39-43

Uno dei malfattori appesi alla croce lo insultava:  “Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e anche noi!”. Ma l’altro lo rimproverava: “Neanche tu hai timore di Dio, benché condannato alla stessa pena? Noi giustamente, perché riceviamo il giusto per le nostre azioni, egli invece non ha fatto nulla di male”. E aggiunse:  “Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno”. Gli rispose:  “In verità ti dico, oggi sarai con me nel paradiso”.

Non c’e parola più consolante di questa: “Oggi sarai con me nel paradiso” (Lc 23, 43). E ancora una volta è offerta non a un sapiente, ma a un umile, anzi a un malfattore. La saggezza popolare lo chiama da sempre “il buon ladrone”. Buono un ladro, forse un assassino? Si: è buono. Perché misura se stesso con l’innocenza torturata. Perché ha ascoltato le parole di perdono per coloro che crocifiggono tutti e tre. Perché capisce – forse per primo – di quale Regno chiede di avere parte. Un sentimento di solidarietà e un grido d’aiuto sono bastati a salvarlo. Si: è buono e ci è d’esempio. Quel ladrone ci rappresenta tutti, ci insegna che il Regno predicato da Gesù non è difficile da raggiungere, che appartiene a chiunque lo invochi con umiltà e fiducia.

Signore Gesù, che hai promesso il paradiso al malfattore che ti parlava dalla croce accanto alla tua, ricordati anche di noi, ora che sei nel tuo Regno. Fa giungere, consolante, la tua promessa di vita eterna e di eterno amore
ad ogni donna e ad ogni uomo che affronta l’evento della morte. A te, Gesù,
il Condannato dal volto accogliente, la lode e il ringraziamento perenne,
con il Padre e con lo Spirito, oggi e nei secoli eterni. Amen.  Padre nostro

 

DODICESIMA STAZIONE 

Gesù in Croce, la Madre e il Discepolo

Adoramus te, Christe, et benedicimus tibi

Quia per sanctam crucem tuam redemisti mundum

Dal Vangelo secondo Giovanni 19, 26-27

In quell’ora, Gesù vedendo la madre e lì accanto a lei il discepolo che egli amava, disse alla madre:  “Donna, ecco il tuo figlio!”. Poi disse al discepolo:  “Ecco la tua madre!”. E da quel momento il discepolo la prese nella sua casa.

La spada annunciata da Simeone (Lc, 2, 35) l’ha trafitta.  Maria è ritta ai piedi della Croce; il discepolo più giovane sta accanto a lei. In mezzo allo strepito dei soldati e della folla, levano entrambi lo sguardo verso Cristo. E forse Maria alza le mani per raccogliere il sangue che cola dal legno, linfa dell’albero della vita. Certo le sue lacrime irrigano la terra, dove troppe madri depongono i propri figli. Fin dall’inizio aveva meditato nel suo cuore, nel silenzio e nell’abbandono, nella pace e nella fiducia ciò che ora vede e ascolta. Il “fiat” della fanciulla di Nazareth ora si unisce al “fiat”  del frutto del suo ventre. Scelta per dare la vita a un Figlio che vedrà morire, Maria è Corredentrice per quel “fiat” e per il “fiat” di Suo Figlio nel Getsemani. Vive lo strazio atroce di consegnare alla morte la vita che aveva accolto, nutrito, permesso. In quest’ora, torna a offrire al mondo il Figlio nel modo più lacerante. Ma sa che quella morte non è vincitrice. Sa che il moribondo affida l’uno all’altro Lei e il discepolo che ama. Ma sa che è il Risorto ad affidare Lei a tutti e tutti a Lei. Certo, da quell’istante, Giovanni accoglie Maria nella dimora del cuore e nella sua vita, e la forza dell’Amore si diffonde in lui. Egli diventa, nella Chiesa, il testimone della luce e con il suo Vangelo rivela l’Amore del Salvatore. Ma Giovanni è scelto non perché è lui ad amare, ma perché è lui ad essere amato. Ricordiamocene, quando dubitiamo di noi stessi, per imparare a non dubitare dell’Amore. E anche noi sapremo farci discepoli che accolgono e testimoniano.

Gesù, che dalla Croce volgi lo sguardo alla Madre e al Discepolo, donaci, in mezzo alle sofferenze, l’audacia e la gioia di accoglierti e di seguirti con fiducioso abbandono. Cristo, sorgente della vita, di ogni grazia e di ogni bellezza, donaci di contemplare il tuo volto sorridente, volto di chi salva il mondo e lo conduce verso il Padre. Signore, a te sale la nostra lode, guidata dalla Chiesa e dalla tua Madre: concedici di scorgere nella follia della Croce la promessa della nostra risurrezione. A te, Gesù, il cui volto risplende nell’ora della tenebra, come volto di Maestro, di Figlio, di Amico, il nostro amore e la nostra riconoscenza, con il Padre e con lo Spirito, nel tempo che fugge e nella stabile eternità. Amen.

Padre Nostro

 

TREDICESIMA STAZIONE 

 

Gesù muore sulla Croce

Adoramus te, Christe, et benedicimus tibi

Quia per sanctam crucem tuam redemisti mundum

Dal Vangelo secondo Marco 15, 34.36-37

Alle tre del pomeriggio Gesù gridò con voce forte:  Eloì, Eloì, lemà sabactàni?, che significa: Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato? Uno corse a inzuppare di aceto una spugna e, postala su una canna, gli dava da bere, dicendo: “Aspettate, vediamo se viene Elia a toglierlo dalla croce”. Ma Gesù, dando un forte grido, spirò.

Muore come uno di noi, nell’impotenza. Muore dopo la notte nel Getsemani, la passione, la via della croce, le tre ore inchiodato al patibolo, le tre ore dell’agonia del Padre nella mente del Figlio. Ma muore pregando. Il Salmo del Servo di  Dio straziato è l’ultima parola intelligibile prima che l’agonia si completi. Qualcuno pensa ancora a qualche straordinario portento. Qualcuno, forse, comprende quel citare le scritture e già pensa ad attivarsi per far sorvegliare quel corpo. No: alla fine Gesù non si sente abbandonato. Dichiara ancora che quella morte è il progetto d’amore del Padre. Dalla croce, dal momento in cui si spezza la fragile umanità che Dio ha voluto assumere, incomincia l’inondazione dell’amore. Quella morte è il dono che impedisce alla nostra vita di essere priva di speranza, che porta luce nelle tenebre della disperazione, che consola il dolore, che apre l’eternità.

Grazie Gesù, per aver vinto la nostra morte, con la tua morte: fa’ che le croci di quanti, come te, muoiono per mano di altri uomini, si trasformino in alberi della vita. Grazie Gesù, per aver fatto della croce, luogo di sofferenza e di morte, il segno della nostra riconciliazione con il Padre: fa che il tuo sacrificio asciughi tutte le lacrime che sono versate nel mondo, soprattutto quelle di chi, come tua Madre, porta la croce della morte di un innocente. A te, Gesù, il capo chinato sul legno e il volto ormai spento, la lode adorante e memore, nel giorno che tramonta e nel giorno della luce inestinguibile. Amen. Padre nostro

 

QUATTORDICESIMA STAZIONE

 

Gesù è deposto nel sepolcro

Adoramus te, Christe, et benedicimus tibi

Quia per sanctam crucem tuam redemisti mundum

Dal Vangelo secondo Marco 15, 46

Giuseppe d’Arimatea, comprato un lenzuolo, calò il corpo di Gesù giù dalla croce e, avvoltolo nel lenzuolo, lo depose in un sepolcro
scavato nella roccia. Poi fece rotolare un masso contro l’entrata del sepolcro.

Gesù è nel sepolcro. Tutto sembra finito. È difficile guardare lontano, scorgere la luce di un nuovo giorno dopo le tenebre che avevano avvolto la terra. Dopo il terribile tuono al momento della morte, il grande silenzio. La nostra vita  talvolta sembra un lungo e mesto Sabato Santo, un giorno non solo senza liturgia, ma senza Dio, senza speranza. Ma l’Amore ha sempre storia. Se Dio sembra ritrarsi è perché quella storia a volte è sotterranea, nascosta. I morti consegnati alla terra e i tanti che non hanno avuto neppure questo gesto d’omaggio non sono destinati all’oblio, al nulla. Il sepolcro non è l’ultima tappa. La fede è a volte una piccola lampada, ma rischiara la notte del mondo. È un’umile luce la nostra fede, ma si fonde con la luce eterna, col giorno del Risorto. Si, il Venerdì Santo è il giorno del buio; il Sabato Santo il giorno del vuoto,dello smarrimento, della paura di quando tutto appare finito, senza futuro. Si il Sabato santo sembra l’ultimo giorno. Ma non lo è. Chi è nel buio della morte sarà restituito alla pienezza della luce. L’ultimo giorno è la Pasqua. O meglio è il primo dei giorni dei tempi nuovi, della Luce che si riaccende, dell’amore che vince.

Gesù, tu ti sei fatto il più piccolo fra gli uomini, ti sei lasciato cadere nella terra come un chicco di grano. Ora, da questo chicco è germogliato l’albero della Vita, che abbraccia l’universo. Signore, fa che, come le pie donne si recarono di buon mattino alla tua tomba con balsamo ed unguenti, anche noi veniamo incontro a te con gli aromi e i profumi del nostro povero amore. Gesù, nelle nostre chiese tu sei in attesa: aspetti trepido qualcuno che sappia farsi piccolo e umile come te nell’Eucaristia, adorarti e testimoniare il tuo amore davanti agli uomini, riconoscerti nel povero e nel sofferente. Fa che ognuno di noi diventi tuo adoratore e tuo testimone nel mistero del tabernacolo eucaristico e nel sacramento dell’uomo affamato, assetato, infermo. A te, Gesù, dal volto sereno nella rigida solennità della morte, il nostro amore e la nostra adorazione, in quest’ora serale e nel giorno che non conosce tramonto. Amen. Padre nostro

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