Il mese di gennaio freddo, ma con giornate molto luminose è caratterizzato da alcuni particolari momenti riservati al culto di Sant’Antonio Abate.
Infatti, dal pomeriggio del 16, c’è la tradizionale accensione dei falò nelle piazze dei paesi, la degustazione di ottimo cibo, i balli tradizionali, per arrivare arriva a notte inoltrata, festeggiando l’inizio del Carnevale.
Riti antichissimi che si svolgono in quasi tutta la nostra penisola in ricordo di Sant’Antonio Abate con valenze diverse, rispetto ai luoghi di riferimento.
Unico denominatore, la devozione per uno dei più illustri eremiti che la storia della Chiesa ricordi. Viene appellato in modi diversi, sempre riferiti alle sue peculiarità: sant’Antonio il Grande, sant’Antonio d’Egitto, sant’Antonio del Fuoco o sant’Antonio del Deserto.
Di origine egizia, nato a Coma, intorno al 251, da una famiglia di agricoltori.
Rimasto orfano, ben presto abbracciò l’esortazione evangelica “Se vuoi essere perfetto, va, vendi tutto quello che possiedi e dallo ai poveri”. E così fece: distribuì i beni ai poveri, affidò la sorella a una comunità femminile per abbracciare la vita solitaria, seguendo altri anacoreti nelle terre desertiche limitrofi, vivendo in preghiera, in povertà e in castità, per più di ottant’anni.
Nell’immagini sacre il Santo viene rappresentato con diversi animali domestici e un maiale, di cui è il protettore.
Durante la sua lunga vita (morì ultracentenario nel 356), i suoi discepoli tramandarono alla Chiesa ben 120 detti e 20 lettere e le sue reliquie iniziarono un lungo viaggio da Alessandria a Costantinopoli e in Francia, dove nell’XI secolo a Motte-Saint-Didier, fu costruita una chiesa in suo onore.
In una sua lettera si legge: “Chiedete con cuore sincero quel grande Spirito di fuoco che io stesso ho ricevuto, ed esso vi sarà dato”.
Ecco che, molti malati di ergotismo canceroso, causato dall’avvelenamento di un fungo presente nella segala, con la quale si preparava il pane e per il quale soffrivano di un forte bruciore, iniziarono a pregarlo e chiederne la guarigione.
Proprio in Francia, ai componenti di una Confraternita di religiosi, che avevano costruito un ospedale per accogliere gli ammalati, il Papa permise di allevare maiali per uso proprio.
I religiosi riuscirono ad usare anche il grasso dell’animale, per curare questa malattia, che venne chiamato “il male di Sant’ Antonio” e poi in seguito “fuoco di Sant’ Antonio”, denominato dalla medicina herpes zoster.
Da Pordenone ad Agrigento per approdare a Mamoiada in Sardegna, i riti si susseguiranno dal 16 al 20 gennaio, per ricordare questa figura che ancora oggi lascia aperte numerose interpretazioni sul suo operato.
A Castel d’Asso don Angelo Massi ha impartito la tradizionale benedizione degli animali, in occasione di S Antonio Abate, domenica 20 Gennaio, dopo la celebrazione della S. Messa festiva delle ore 10:00.