A volte può bastare poco a riprendere un po’ di quella fiducia che questa pandemia sembra averci tolto.  Per esempio una zappa e un rastrello che si possono usare di nuovo. È il caso dei beneficiari del progetto Orti Solidali della Caritas diocesana di Viterbo, avviato quattro anni fa e forzatamente interrotto dalle prime misure governative di contrasto all’epidemia. Non essendo questi orti da considerare parte delle filiere agricole commerciali, ovviamente escluse dal blocco delle attività produttive, gli assegnatari rientravano tra la stragrande maggioranza degli italiani ai quali è vietato muoversi fuori casa. Ma una settimana fa, il 15 aprile,  Regione Lazio ha emanato l’ordinanza che autorizza, sempre nel rispetto delle misure di sicurezza contro il Covid-19 , gli spostamenti all’interno del comune di residenza o di un comune limitrofo per lo svolgimento di attività agricole in forma privata.

E così zappe e rastrelli sono tornati nei cinqunta lotti, divisi in circa novemila metri quadrati del terreno, ottenuto in comodato dal Comune di Viterbo, nel quartiere di Santa Barbara, alla periferia nord della città, dove la Caritas ha avviato il progetto.

Dei prodotti degli orti solidali beneficiano direttamente centocinquanta persone e indirettamente un migliaio,  attraverso donazioni, scambi e condivisione. Sembrerebbe poco, se si pensa che il solo quartiere di Santa Barbara ha circa quindicimila abitanti. E invece è moltissimo. Il progetto, pensato e curato da Francesca Durastanti – che non a caso dopo la laurea in Agraria ha conseguito un master in Agricoltura etica e solidale  – ha consentito a persone in difficoltà, magari per aver perso il lavoro, magari senza fiducia di potersi rimettere in gioco,  magari precipitate in un isolamento sociale doloroso, di trovare una dimensione serena, un senso alle proprie giornate.

Fare comunità, perchè il progetto questo favorisce, e persino un servizio civile, se non altro valorizzando un terreno lasciato all’abbandono.

Di più: ricorda Durastanti che  se gli Orti Solidali «nei primi quattro anni di attività sono stati anche un polo di attività didattica, culturale, di aggregazione sociale»,  in questa emergenza causata dal Covid-19 il fatto di averli potuti riaprire rappresenta «un sollievo per il benessere psichico, fisico ed anche economico» per quanti li curano e per le loro famiglie.

Sì, gli Orti Solidali sono una gran bella realtà diocesana, luoghi di comportamenti e idee che migliorano la qualità della vita. Del resto, vale anche per quanti l’orto lo hanno nel giardino di casa. Forse in questo forzato isolamento imposto dall’epidemia li ha aiutati non solo a procurarsi verdure, ma a riscoprire, guardando fianco a fianco un fiore e un ortaggio, il rapporto irrinunciabile tra l’uomo, il lavoro e la natura.

 

Foto archivio diocesano

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