Questi giorni di festività che si avviano a conclusione hanno visto famiglie riunite con maggiore frequenza e intensità, che non sempre tuttavia sono state e sono sinonimo di riflessione profonda sullo stile e sulla convinzione di vivere i rapporti familiari in spirito evangelico. Proprio su questo aspetto si è concentrato il vescovo di Viterbo, Orazio Francesco Piazza in una sua recente omelia. L’occasione è stata la festa della Santa Famiglia dello scorso 30 dicembre che il vescovo ha voluto solennizzare la nell’omonima parrocchia alla periferia della città. Il calore e l’entusiasmo della fervorosa comunità locale ha colpito il vescovo che ha infatti incominciato la sua omelia sull’emozione dell’alleluja cantato dalla locale Schola cantorum «che ci ha trasmesso – ha detto- gioia, allegria, entusiasmo. Uno dei tanti significati dell’alleluia è proprio il senso della benedizione di Dio che scende nella vita dell’uomo, perché l’uomo sorride, esplode in una sorta di umanità rinnovata ed io vorrei proprio percorrere questo sentiero. Fermiamoci a questo sentiero, contemplando la Santa Famiglia. Vorrei che parlando scendessimo con i piedi per terra».
E ha aggiunto che “le famiglie, anche quella sacerdotale a cui mi rivolgo e di cui faccio parte, vivono gli impegni della vita familiare tra le vicende quotidiane dove non sempre la direzione familiare con i legami, i vincoli, le condizioni di aggregazione sono facili e quindi … danno un’idea dell’unione della condivisione che non sempre noi troviamo in queste forme di espressione. Ci sono contrasti, contraddizioni. Tanto che oggi facilmente …. questi vincoli si tagliano, si interrompono quando invece dovremmo guardare sotto un’altra prospettiva: quella dell’alleluja dove noi guardiamo con gli occhi di Dio la nostra realtà per quanto sia difficile e anche contraddittoria, addirittura lacerante, talvolta insopportabile. Guardiamo il senso della gioia che vogliamo dare nella nostra vita. Non a caso la liturgia ha iniziato con la Colletta molto bella che voglio richiamarvi perché qui ci sono due parole importanti. Per capire come Dio diventa benedizione che dona una prospettiva nuova da cui la gioia malgrado le difficoltà che ci circondano, puoi cambiare la vita, puoi trasformarla. Si capisce che è modello di vita. Sono parole “modello di vita”, la vita è la vita, la vostra vita, la mia vita, la nostra vita fratelli sacerdoti».
Tutto questo, ha sottolineato, «non è un sogno è la realtà, è la quotidianità, e questa quotidianità il Vangelo, tanto per toglierci ogni dubbio, ci fa vedere come questa coppia che ha avuto un bambino cioè il modo come è avvenuto: ecco non è proprio nella norma, nella normalità: è già tutto bello agitato. Ci sono tante situazioni difficili da capire, difficili da accettare proprio perché incomprensibili, difficili da far rientrare nei modelli nel nostro modo abituale di vedere le cose. E non è finita questa ondata emotiva che ha travolto la vita di questi due, di queste due persone: Per Giuseppe più avanti in età di questa giovane ragazza Maria, con la nascita di questo bambino interviene una realtà ancora più dura. Scusate: noi lo leggiamo con facilità: “Prese il bambino ed andò in Egitto”. Beh vedete un po’: la cosa ci fa pensare cosa sia fuggire da una guerra, fuggire per paura di una realtà che veramente mette in discussione la nostra vita. Paura, incertezza, ansia, tutelare questa ragazza che ha appena avuto questo figlio, tutelare la loro vita, tutelare la vita di “quel” figlio. Cambia tutta l’esistenza, cambia tutto il modello in cui si poteva esprimere la vita di questa famiglia. Dovevano tornare a casa, riprendere nel loro gruppo familiare, il cammino che abitualmente avrebbe segnato il tempo della loro vita».
Di conseguenza, questa famiglia davanti ai vostri occhi è il modello di vita, non significa che noi dobbiamo vivere la vita che hanno fatto loro, dobbiamo vivere la nostra vita, quella che ognuno di noi vive in famiglia. Io mi fermerei qua per due o tre minuti perché ognuno di noi richiami la propria vita. Pensiamoci; io sono tornato proprio questa mattina da casa e non è che ho trovato gioie e fiori: però mi sono sentito toccato perché quei problemi sono diventati miei, quelle gioie sono diventate le mie. Io mi sono sentito parte di quel corpo che viveva la sua vita. E io lo leggo come lo esprime Paolo in questo meraviglioso passaggio che però è realizzato in quella parola che noi utilizziamo facilmente più come atteggiamento sostitutivo dei problemi sociali: la Carità, il fare la carità. No, è la condizione di dono, dalla premessa al dono. Quando può diventare modello per noi questa santa famiglia? quando percepiamo che ognuno di noi entro il ruolo che vive in ciò che fa in quel momento diventa dono per chi gli sta accanto? È facile dire: chi sta accanto genera problemi, hai voglia e chi non ha problemi da chi gli sta accanto. Anche questo genera problemi. È più pratico generare problemi. Stare vicino è difficile fratelli carissimi. Non c’è mistero più grande che mettere insieme due persone. Questo è il grande mistero della nostra vita».
Ed ha concluso: «Ora se questa congiunzione è senza premessa, allora si scatenano tutte quelle condizioni che rendono impossibile quel modello di vita e noi agiamo al contrario di tutte quelle belle parole che abbiamo sentito: tenerezza, bontà, benevolenza, sopportazione, pazienza, perdono.”
Una conclusione che a noi di Sosta e Ripresa sembra riecheggiare le parole della nostra fondatrice nella preghiera alla Vergine: “Maria, ottienici di muovere la pietra che opprime la polla del cuore, di rompere la sterile zolla del nostro egoismo, di far sì che la presenza della Vita in noi diventi prorompente e si espanda e trascini.” (dagli Scritti di Tommasa Alfieri: Uno sguardo che accarezza la memoria. Pag. 455 ed.: Amici della Familia Christi. Viterbo 2010)
La festa si è conclusa con un’agape fraterna di 350 persone il cui ricavo è stato devoluto alla Casa Famiglia.
Foto di Mariella Zadro

Editore e Direttore Editoriale
Mario Mancini, nato in Roma nel 1943, dopo la laurea in scienze geologiche, con tesi in geofisica, nel 1967 e un anno di insegnamento della matematica in un istituto tecnico industriale romano, svolge per un quinquennio la sua professione di geofisico e sismologo prevalentemente all’estero, in particolare in Papua Nuova Guinea presso il Rabaul Central Volcanological Observatory e in Australia nella sezione aviotrasportata a Canberra, in entrambi i casi per la BMR Australia, intervallando le due esperienze con un viaggio di studio in Giappone nell’estate del 1970.
Rientrato in Italia nel 1972, si impiega come geofisico presso la CMP di Roma per la quale lavora per sei anni, con diversi incarichi in Italia e all’estero.
Fin da liceale, nel 1959, aveva conosciuto Tommasa Alfieri e l’Opera Familia Christi da lei fondata. La figura e la spiritualità della Signorina Masa, come i suoi discepoli chiamavano la Alfieri, resteranno per Mancini un fondamentale riferimento per tutta la vita. Laico consacrato nel gruppo maschile dell’opera già dal 1974, nel 1979 fa la scelta di dedicarsi completamente all’Opera e va a vivere nell’eremo di Sant’Antonio alla Palanzana.
Alla morte della fondatrice, nel 2000, l’intero patrimonio dell’Opera passa per testamento all’associazione Vittorio e Tommasina Alfieri, all’uopo voluta dalla stessa Alfieri e della quale Mancini era stato tra i fondatori.
Per accordi associativi, più tardi violati da persone riuscite ad assumere il controllo dell’associazione, Mancini resta all’Eremo, unica persona a risiedervi in permanenza e a occuparsene.
La nuova gestione dell’associazione, decisa a trasformare la Familia Christi da istituzione prettamente laicale e una confraternita sacerdotale anticonciliare, nel 2005 convince Mancini a dimettersi dall’associazione stessa, in cambio della promessa, purtroppo mai ratificata legalmente, di lasciargli l’Eremo.
Fino fino al 2012, questo luogo, sotto la conduzione di Mancini, che sempre nel 2005 ha fondato l’associazione Amici della Familia Christi e ha registrato presso il Tribunale di Viterbo la testata Sosta e Ripresa, anch’essa fondata da Tommasa Alfieri e della quale Mancini è direttore editoriale, svolge un prezioso compito di Centro di spiritualità e di apertura ecumenica e interreligiosa.
Nel 2012 la confraternita appropriatasi del nome di Familia Christi (poi sciolata dalla Santa Sede con riduzione allo stato laicale di tutti i suoi esponenti) in violazione degli accordi presi a suo tempo ottiene dal Tribunale la restituzione dell’Eremo.
Mancini resta a Viterbo e prosegue il suo impegno ecclesiale in vari uffici diocesani e nel comitato regionale per l’ecumenismo ed il dialogo interreligioso.