Quella del titolo è parte di una frase, o meglio di una preghiera, di don Gianni Carparelli durante una nuova presentazione del suo libro, in seconda edizione, “Don Dante Bernini: padre, maestro e luce” (Nuove Edizioni Biemme, 2024), sul prelato viterbese, (1922 – 2019), che fu vescovo delle diocesi di Velletri-Segni e di Albano, vicepresidente della Commissione delle conferenze episcopali della comunità europea, rappresentante della CEI al consiglio di Europa per la pace, sostenitore di varie iniziative missionarie in Congo e Costa d’Avorio. Appunto: “Che don Dante ci aiuti a coltivare la Chiesa di Dio, la nostra Chiesa. Noi le piante e l’erba, noi il grano, noi i fiori… noi siamo la vanga e i mezzi agricoli”.
L’autore più che un alunno di Bernini, suo insegnante di Fisica e Matematica nel seminario diocesano di Viterbo, se ne dichiara un discepolo, a motivo della sua spiritualità concreta e aperta ai nuovi percorsi conciliari, che avrebbe ritrovato, matura e accattivante, nell’amichevole frequentazione con il presule dopo che questi si ritirò nel borgo natale de La Quercia, alle porte di Viterbo, dopo una vita ministeriale ricca, intensa, feconda e in profonda sintonia con Cristo e la Chiesa. Testimonianze e ricordi di e su Bernini l’autore aveva riportato anche in un suo precedete libro, “L’ottavo Giorno”.
L’incontro, svolto il 20 aprile nella sala del Palazzo Papale di Viterbo, grazie alla determinante organizzazione della Università Popolare Cattolica: “Eustacchio Montemurro – Teresa D’Ippolito” (Portici), col patrocinio della diocesi di Viterbo, ha avuto il suo momento più intenso proprio nella proiezione di un breve filmato su don Dante con una registrazione carpita, quasi rubata, della sua ultima omelia, dal suo letto di morte, nella sua stanzina con don Gianni celebrante la Messa alla presenza di pochi suoi ex-fucini: un filo di voce ed una potenza di intensità con la quale proclamava la sua Fede e la Speranza. Questo, nulla togliendo alle parole dei vari presenti chiamati a intervenire da Wanda Cherubini, presidente della sezione viterbese dell’Ucsi, incaricata di moderare l’incontro, da quelle forbite e illuminanti dei cardinali Francesco Monterisi e Fernando Filoni e del vescovo di Viterbo Orazio Francesco Piazza, a quelle dotte e nostalgiche degli ex alunni di don Dante, i professori Dario Vitali e Aurelio Rizzacasa e appunto don Gianni, a quelle ammirate e deferenti del Rettore dell’università Ciro Romano, che conclusione della serata ha consegnato un attestato alla memoria di monsignor Bernini come facente parte del Comitato di Onore dell’Università alla nipote del presule, Concetta.
Don Dante, nelle sue frequentazioni viterbesi aveva anche incrociato (ed ammirato) l’esperienza dell’Eremo S Antonio alla Palanzana, prima come vicario del vescovo di Viterbo Luigi Boccadoro alla fine degli anni ’60, ospite della professoressa Tommasa Alfieri, poi da vescovo emerito nei primi anni 2000 quando il vescovo Lorenzo Chiarinelli aveva incoraggiato chi traccia queste righe nell’impegno a rendere l’Eremo un luogo di spiritualità e di accoglienza.
Alla pag 41 del libro (Ed. Nuove Edizioni Biemme, 2024) don Gianni ha messo una foto di don Dante giovane sacerdote: se un’immagine parla, quella lo fa per chi lo ricorda e specialmente per chi non lo ha conosciuto personalmente.
Editore e Direttore Editoriale
Mario Mancini, nato in Roma nel 1943, dopo la laurea in scienze geologiche, con tesi in geofisica, nel 1967 e un anno di insegnamento della matematica in un istituto tecnico industriale romano, svolge per un quinquennio la sua professione di geofisico e sismologo prevalentemente all’estero, in particolare in Papua Nuova Guinea presso il Rabaul Central Volcanological Observatory e in Australia nella sezione aviotrasportata a Canberra, in entrambi i casi per la BMR Australia, intervallando le due esperienze con un viaggio di studio in Giappone nell’estate del 1970.
Rientrato in Italia nel 1972, si impiega come geofisico presso la CMP di Roma per la quale lavora per sei anni, con diversi incarichi in Italia e all’estero.
Fin da liceale, nel 1959, aveva conosciuto Tommasa Alfieri e l’Opera Familia Christi da lei fondata. La figura e la spiritualità della Signorina Masa, come i suoi discepoli chiamavano la Alfieri, resteranno per Mancini un fondamentale riferimento per tutta la vita. Laico consacrato nel gruppo maschile dell’opera già dal 1974, nel 1979 fa la scelta di dedicarsi completamente all’Opera e va a vivere nell’eremo di Sant’Antonio alla Palanzana.
Alla morte della fondatrice, nel 2000, l’intero patrimonio dell’Opera passa per testamento all’associazione Vittorio e Tommasina Alfieri, all’uopo voluta dalla stessa Alfieri e della quale Mancini era stato tra i fondatori.
Per accordi associativi, più tardi violati da persone riuscite ad assumere il controllo dell’associazione, Mancini resta all’Eremo, unica persona a risiedervi in permanenza e a occuparsene.
La nuova gestione dell’associazione, decisa a trasformare la Familia Christi da istituzione prettamente laicale e una confraternita sacerdotale anticonciliare, nel 2005 convince Mancini a dimettersi dall’associazione stessa, in cambio della promessa, purtroppo mai ratificata legalmente, di lasciargli l’Eremo.
Fino fino al 2012, questo luogo, sotto la conduzione di Mancini, che sempre nel 2005 ha fondato l’associazione Amici della Familia Christi e ha registrato presso il Tribunale di Viterbo la testata Sosta e Ripresa, anch’essa fondata da Tommasa Alfieri e della quale Mancini è direttore editoriale, svolge un prezioso compito di Centro di spiritualità e di apertura ecumenica e interreligiosa.
Nel 2012 la confraternita appropriatasi del nome di Familia Christi (poi sciolata dalla Santa Sede con riduzione allo stato laicale di tutti i suoi esponenti) in violazione degli accordi presi a suo tempo ottiene dal Tribunale la restituzione dell’Eremo.
Mancini resta a Viterbo e prosegue il suo impegno ecclesiale in vari uffici diocesani e nel comitato regionale per l’ecumenismo ed il dialogo interreligioso.