NOTA DELLA DIREZIONE
Riceviamo e volentieri pubblichiamo, nella convinzione di rendere un servizio ai lettori, questa testimonianza personale, prima ancora che un articolo, su come la preghiera sia capace di dare forza e serenità, pace interiore, anche nei periodi più penosi, come può essere un ricovero ospedaliero. L’autrice, vive a Viterbo, è socia dell’associazione intitolata al beato Domenico Bàrberi che edita questo giornale, e ha già scritto su queste pagine. Ha vissuto e si avvia a concludere positivamente l’esperienza che racconta in un ospedale di Vicenza. Aggiungiamo a quanto scrive ella stessa, che la lontananza da casa non ha le ha impedito di partecipare alla parte più importante della vita associativa, la preghiera comunitaria, in particolare quella del Rosario sulla chat dell’associazione. Colpisce nella conclusione, la dolcezza del modo in cui la preghiera di ringraziamento si rivolge a Gesù e alla Sacra famiglia: “Grazie a te, alla tua mamma e al tuo papà”.
Nella vita di molti di noi – verrebbe da dire tutti o quasi – capita di subire un intervento chirurgico o comunque di essere ricoverati in ospedale per un periodo più o meno lungo.
Sconvolgimento di vita quotidiana, orari diversi, abitudini nuove, convivenza stretta con persone sconosciute, solitudine, tempo che non passa mai ed è scandito dal via vai di infermieri, medici, assistenti sanitari, pasti “ospedalieri”… nemmeno riesci a leggere il libro che tuo figlio Andrea ti ha portato e che racconta di un cane cieco che ha trovato chi lo ha adottato. In questo vuoto mentale ti viene spontaneo chiudere gli occhi e lasciarti scivolare dolcemente con il pensiero verso colui che, sai, ti è sempre vicino, senza farsi sentire, e ti può aiutare. In questo tuo piccolo mondo silenzioso ti senti avvolgere da un caldo scialle consolatorio.
La sua presenza entra nel tuo cuore e un timido sorriso appare sulle tue labbra. Non sei più sola, una leggera forza interiore si fa spazio e spontaneo arriva il desiderio di alzarti, con le dovute cautele, dal tuo letto ed aiutare le “tre ragazze” novantenni compagne di stanza. Trovi il tempo, tra un via vai e l’altro del personale ospedaliero che ti assiste, di pregare, un’ave Maria, un padre nostro, un angelo custode, un eterno riposo, un salve regina e poi ricominci il susseguirsi delle preghiere.
Ora dopo ora la forza, quella determinazione che sembrava sparita fra dolore, immobilità, flebo, prelievi….riappare. La forza della preghiera diventa la forza della vita.
Ancora una volta, come oramai tante e ancora tante volte, è la preghiera che ti aiuta a sopportare serenamente il dolore, le difficoltà, i disagi, le notti insonni perché la vecchina di nome Santina dorme beata tutto il giorno, ma allo spegnersi delle luci alle 20 si sveglia e inizia a parlare, mai sottovoce: chiama la sua mamma, i figli, le nuore, i nipoti, vuole scendere dal letto e andare a casa. E avanti così sino allo spuntare del nuovo giorno, quando lei si addormenta.
Ma nell’ospedale inizia il via vai del personale per cui, il libro resta nel comodino, i pensieri si annebbiano dalla stanchezza. Ma il cuore non dorme, ti suggerisce…. prega con gli occhi chiusi, così ti riposi un po’… Preghi e più preghi più la preghiera si fa dolce e l’aiuto che ricevi è immenso. La dolcezza di quell’abbraccio ti ricolma di pace e di serenità.
Il ricordo più bello? Una tirocinante infermiera etiope che ti dice: “tu sei una brava compagna di stanza”.
Grazie Gesù mio che in tutti questi anni della mia vita, tra un su e tanti giù, non mi hai mai lasciata sola e hai fatto sentire la tua presenza protettiva alle mie spalle. Grazie a te, alla tua mamma ed al tuo papà.
Foto tratta dal web