Il primo testo di Tommasa Alfieri che presentiamo, per meglio comprendere il senso e  lo stile del suo magistero, è datato  22 febbraio 1953.

È una trascrizione di cui non abbiamo più la registrazione ma, come di altre trascrizioni, abbiamo un’intestazione e il riferimento del nastro: Bob. TR1 Lato 1 e il titolo Riunione del 22.2.1953 La Fede pura. Troveremo intestazioni del genere per la gran parte di questi documenti. Riportiamo il testo iniziale per dare un’immediata idea della natura di questi testi, rivelando allo stesso tempo i limiti e il fascino della loro forma:

«… in pratica, nei riguardi della povertà, cioè una riunione nella quale…

(registrazione interrotta)

… delle riunioni di formazione e quindi di preghiera.

Noi, anche questa volta, rinnoviamo le nostre disposizioni interiori, perché la meditazione comune che facciamo sia utile.

Sia del tempo che resta… del tempo che passa, in questo quadrimestre, le nostre disposizioni interiori sono queste: domandare e cercare. Domandare, chiedere al Signore la grazia di una fede profonda, che vada alle radici della vita, dato che la fede noi l’abbiamo già; questo immenso dono lo abbiamo già ricevuto; ma di una fede che passi gli strati duri delle cose terrene e permeando tutto, … arriva alle radici della vita. E questo lo può fare solo il Signore. Se Egli ci da il dono, Egli solo può avere la misericordia di portare il dono alla sua compiutezza. E, d’altra parte, cercare, poiché questi sono i due momenti che noi sappiamo di dover sempre fare: cercare con le nostre possibilità l’annuncio e l’approfondimento della nostra fede. Chiedere e cercare… per l’equilibrio della condizione dell’anima di…».

Come già dicevamo si tratta di registrazioni di incontri, di riunioni di formazione in cui Tommasa Alfieri raduna le persone che hanno aderito all’Opera (in tal caso si tratta già della Familia Christi), per guidare la vita comunitaria e spirituale attraverso la trasmissione dei valori fondamentali che la devono ispirare. Questa prima pagina della trascrizione ci dice ancora poco del contenuto del testo – dedicato come vedremo alla fede pura – ma ha molto da dire sulla natura dei testi a cui è consegnata la memoria degli insegnamenti di Alfieri. Il reticolo frammentato dei pensieri e le interruzioni non deve impressionare troppo il lettore quanto alla sostanza dei testi la cui comprensione è in realtà accessibile e facile perché ricalca scambi fraterni semplici ed essenziali, guidati dalla presenza costante della voce di Alfieri che risponde agli interrrogativi e allarga il discorso con le sue riflessioni. Il pensiero di Alfieri è profondo ma non speculativo e volto a chiarire questioni pratiche di vita interiore, attraverso un piglio diretto e concreto.

È difficile che questa donna crei nei suoi dialoghi fraintendimenti nella comunicazione, il suo carattere volitivo, la sua autorevolezza morale, la sua lucidità di lettura della realtà sono elementi che emergono bene nella filigrana di questi testi aiutandone la comprensione in questo ritmo frastagliato di frasi talvolta tagliate e di pensieri sospesi. Questi incontri non sono tanto delle lezioni nel senso proprio – anche se si tratterà anche di questo – bensì degli “intrattenimenti” comunitari, in cui chi anima l’incontro tiene al confronto e al dialogo continuo con i partecipanti. Le difficoltà di lettura (e di ascolto, evidentemente) vengono dalla pluralità di presenze che animano, seppur in modo discreto, talvolta invisibile, queste «riunioni».

Quanto alla natura più specifica dell’incontro si parla di «meditazione». E si parla, con toni forse un po’ scolastici (è bene ricordarsi che Alfieri faceva di professione l’insegnante) di «quadrimestre», probabilmente un modo per interpretare il tempo formativo che in quel periodo dava al lavoro nell’Opera. La meditazione avrà come tema la fede, e comincia con un preludio, cioè «domandare e cercare», due parole che sembrano in realtà rievocare il benedettino ora et labora e danno le giuste disposizioni con cui cominciare l’itinerario – non solo quello dell’incontro ma quello personale che spetterà a chi ascolta nella propria vita. Il «domandare» o «chiedere» il dono di «una fede profonda» richiama anche la «grazia da chiedere» degli Esercizi Spirituali di Ignazio di Loyola, uno dei preludi costanti alle pratiche di preghiera proposte dal libretto del fondatore della Compagnia di Gesù. Si tratta di entrare nel rapporto con Dio con vivo desiderio di un progresso personale.

L’intento della professoressa Alfieri è quindi quello di approfondire la fede delle aderenti all’Opera (in questo periodo erano solo donne). Per questo si servirà degli strumenti della lectio divina – «Penso che abbiate cercato nel Vangelo di Matteo, come eravamo rimasti d’accordo, i passi nei quali il Signore richiama alla fede oppure loda per la fede…» – e dell’esame di coscienza – «Anzi, proporrei di vedere un pochino di che cosa i nostri difetti partecipano di una mancanza di fede. Penso che potrebbe essere un ottimo esame, magari anche prendendone uno, più evidente, più importante, se si può dire così, dato che tanti difetti hanno la loro importanza».

Il procedere del discorso è ordinato e metodico: per prima cosa occorrerà chiarire che cos’è la fede e perché è così importante trattarla. Per Alfieri nulla va dato per scontato nella formazione, perché si tratta di costruire le motivazioni fondamentali su cui si reggerà l’edificio spirituale personale e comunitario. La prima cosa quindi è chiarire cosa la fede non è e cosa invece è. La prima virtù teologale non è qualcosa che si possiede, contrariamente a quanto darebbe a intendere il linguaggio comune – anche per noi oggi:

«Noi abbiamo un doppio, triplo, quadruplo dovere, in quanto siamo battezzati, siamo cresimati nella fede, siamo chiamati […] Qualche volta facciamo come chi possiede un oggetto molto bello, lo tiene lì, lo va a spolverare e lo mette in luce e ne sente quasi la gioia del possesso; sente che la sua casa è ricca perché ha quell’oggetto di gran valore. […] Ma la fede non è un oggetto, neanche il più prezioso.»

La fede è invece un movimento e allo stesso tempo la condizione di questo movimento spirituale che porta a vivere la relazione con Gesù:

«Eppure è dalla nostra fede che parte la nostra andata verso Gesù. Per seguire Nostro Signore bisogna fare un grande atto di fede, perenne».

Questo aspetto preme particolarmente ad Alfieri che cerca di far comprendere come la fede cada non tanto sotto il regime dell’avere ma decisamente sotto quello dell’essere. Per questo usa una metafora curiosa per spiegare questa differenza essenziale, quella del vagone del treno:

«Ricordiamo un po’… catalogo di peccati contro la fede; sentiamo che, nella grazia del Signore, noi non siamo né eretici né apostati; ci sembra che, ad un certo momento, che il fatto della nostra fede è un buon vagone messo sopra ad un binario, che sta lì senza scontri, senza deragliamenti e cammina. Ma la fede non è un vagone sopra ad un binario. La fede è il fuoco che il Signore è venuto a portare sulla terra [il corsivo è mio, n.d.r.].  È un andare semplice a Gesù Cristo, passando attraverso tutto e attraverso tutti, per andare a Lui».

Alfieri per spiegare questo movimento si avvale a questo punto di alcuni passi evangelici che cita ora liberamente di passaggio, ora per soffermarcisi in modo più analitico. Tra tutti, viene data particolare attenzione al passo della tempesta sedata, Matteo 8,23-27.

Ne parleremo nel prossimo articolo. (Continua)

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