Una rapsodica silloge di luoghi biografico-spirituali alfieriani

Introduzione. Nella mia Postfazione del libro di E. C. Prandi, Dove c’è l’ essenziale. Gli insegnamenti spirituali di Tommasa Alfieri, Marcianum, Venezia 2024, giustifico storicamente, spiritualmente e editorialmente la mia presenza nell’evento di questa pubblicazione. Infine, offro un succinto profilo specificamente spiritual-teologico di Tommasa Alfieri. In questo articolo, presento una rapsodica silloge di luoghi biografico-spirituali alfieriani, composta nella sedimentazione della mia lettura passata dei testi essenzialmente presentati – oggi – dal prof. Prandi.

Miei elementi auto-biografici di contestualizzazione del mio articolo. Conosco l’Associazione Amici della Familia Christi dal 2012. Dopo un incontro quasi fortuito e provvidenziale, mi fu chiesto di presiedere l’Eucarestia domenicale per la comunità e di offrire punti di meditazione. Mi fu capitato, poi, di imbattermi in alcuni testi di Tommasa Alfieri. Da subito, fui attratto dalla scrittura di questa donna, dal contenuto dei suoi discorsi; tanto che ritenni necessario testimoniare il mio stupore personale: il mio incanto nel leggere le sue parole. Nello specifico, Mario Mancini mi affidò delle sbobinature di registrazioni di riunioni dei membri dell’Opera presiedute da Tommasa: dal 1953 fino alla fine degli anni ’70. Le sbobinature erano su fogli dattiloscritti. Quelle da me ricevute riguardavano soltanto una parte delle registrazioni: molte altre attendevano ancora di essere realizzate. Da qui, il mio invito pressante a procedere.

Fenomenologia degli incontri dell’Opera. Nelle registrazioni, si tratta di incontri in cui Tommasa – anzitutto – offre punti di meditazione a coloro che sono consacrati nell’Opera. Talvolta si commentano alcuni passi del Regolamento, talaltra ci si sofferma su alcuni valori cardine dell’Opera. Gli stessi giovani consacrati attendono chiarificazioni ulteriori su quanto la «signorina» ha esposto e su posizioni da assumere in casi concreti. Normalmente, chiudendo il suo intervento in modo debolmente riassuntivo, invita ad una discussione umile. Vale a dire, non si discute in qualsiasi modo – secondo la signorina –; bisogna essere adatti a discutere; bisogna avere una formazione previa alla discussione: quindi, di fatto, bisogna guidare la discussione, per evitare che deragli… Tutto ciò dice che la conditio sine qua non della discussione è l’umiltà. Al termine dell’incontro, sicuramente – ci sono delle note di registrazione che dicono l’umore dei partecipanti –, Tommasa ha lasciato nei cuori di chi ascolta una provocazione intenzionalmente e assolutamente in-discutibile (…). Questo fa parte del carattere dell’Alfieri. Chi si alza da quella sedia ha ricevuto un colpo deciso. Questo schema è presente in quasi tutti gli interventi. Si tratta perciò, a mio modesto avviso, di una metodologia didattica.

L’antropologia esistenziale. Tommasa aveva maturato una propria concezione dell’uomo: si capisce – leggendo questi interventi nel corso di circa venti anni –, che lei si era fatta un’idea ben precisa di come l’essere umano è fatto, dal punto di vista spirituale. Le fonti sono plurime: cultura, studio, meditazione, conoscenza delle persone in carne ed ossa. Quest’ultima è una parte consistente della maturazione di Tommasa. Il mistero della libertà appassiona Tommasa. Direi che la formazione dei membri all’Opera si gioca tutta qui, in questo punto. Il primato esistenziale è la Grazia che chiama. Da qui, la risposta libera dell’uomo. Da qui, ancora, la domanda: cosa fare per prepararci a cor-rispondere? È qui, propriamente, che Tommasa è maestra spirituale: di un realismo pratico-tragico tutto femminile, che non dimentica mai l’uomo concreto nelle sue molteplici espressioni della vita. Tommasa ha uno sguardo molto chiaro sulle ambiguità della vita umana. E ciò che emerge, anche, – talvolta esplicitato da lei – è che queste ambiguità non costituiscono soltanto per lei motivo di denuncia, bensì sono riconoscibili nella sua stessa persona: alle quali, ha cercato di dare una risposta lungo tutta la vita, attingendone forza per persuadere.

L’importanza della relazione spirituale. Espressione di questo realismo è l’esemplificazione frequente di casi esistenziali, attraverso la narrazione di esperienze e di colloqui con consulenti spirituali o con persone da lei spiritualmente dirette. Tommasa spesso narra colloqui che mostrano l’attenzione alla particolarità del contesto esistenziale personale. Quando vuol ribadire la sua tesi e persuadere gli altri, allora, risfodera questi esempi che trae dalla propria attività di direzione spirituale. La relazione spirituale implica attenzione alla vita di un’anima: la persona non si lascia per nulla ridurre alla sua biografia. C’è un mistero, in quella persona, che è la sua anima; ed è questo mistero che – infine – deve essere esplorato, conosciuto: anche attraverso il profilo biografico… Dunque, attenzione alla vita di un’anima, ai dettagli della sua storia, della «storia di un’anima» (…): sensibilità per i suoi progressi; occhio per le potenzialità. Il punto più importante, per Tommasa, è cogliere le potenzialità della persona che ha davanti; quindi, mai pessimismo, assolutamente: ma non perché sia ottimista di principio – questo è troppo banale –, ma perché si è dinanzi al mistero di un’anima che vibra del divino…

L’apostolato di discernimento. E, dunque, è proprio qui che – per Tommasa – deve parlarsi di apostolato: nell’attenzione profusa alla vita di un’anima. Ciò si dà in una costante battaglia interiore, contro la mediocrità dello spirito. Non troveremo mai Tommasa serena, anche quando sta parlando della contemplazione: in corso, c’è sempre una battaglia. Nella trattazione di vari argomenti di formazione spirituale, l’Alfieri precisa sistematicamente: di continuo, precisa mentre argomenta; si ferma e precisa; onde – ecco il contesto della battaglia! – evitare fraintendimenti perniciosi, quasi prevenendo errori pericolosi fomentati da pretestuose interpretazioni. Cosa ciò significa? Tommasa, nel mentre sta parlando, mai (!) dimentica il contesto in cui si colloca il suo intervento: contesto non teoretico, ma storico-sociale ossia dalla società – che può essere il mondo – alla Chiesa, e alle persone che costituiscono una famiglia. Qui, precisa – di continuo –, per anzitempo evitare tutti gli ostacoli che si possono annidare nella comunicazione, e che sono sicuramente al servizio del maligno: suo compito principale non è intervenire a posteriori ossia a seguito del crollo, ma prevenire. E, per evitare tali errori, non teme di usare l’accetta e di troncare, immediatamente, ipotetiche propaggini infauste del suo discorso. Cioè si preoccupa di quali possano essere i fraintendimenti e, per evitare il loro accadere, taglia preventivamente alcune propaggini che – dal punto di vista logico – ci potrebbero essere. Quindi, si preoccupa della recezione del suo discorso… Combatte così, anzitempo, interpretazioni di comodo e grette. La vocazione fondamentale dell’Alfieri è spronare, scuotere, incitare, incoraggiare. Nel dialogo, Tommasa riconosce – immediatamente –, con giudizio sicuro, i punti di valore dell’altrui posizione: è un giudizio perspicace – non la troviamo mai in una situazione di incertezza. Li esplicita, li conferma e li rafforza, avvertendo dei pericoli di deviazione: magistrale bilanciamento!… Questo ha molto da dire a educatori, insegnanti e genitori: siamo capaci di esprimere un giudizio sicuro sui punti di valore dell’altro? Bene, ammesso che lo siamo, siamo altrettanto in grado – e sentiamo l’urgenza – di esplicitarli, di confermarli, di rafforzarli: avvertendo pericoli di deviazione? Tommasa era attenta al momento; pensava criticamente, senza mai sostituirsi alla scelta altrui: non manipolando mai (!), benché fosse consapevole del proprio ascendente sull’interlocutore.

Ermeneutica della Sacra Scrittura. Nei suoi discorsi, Tommasa cita e commenta la Sacra Scrittura in modo originale. Questa mi sembra una nota importante. Come direbbero i teologi, è una «ermeneutica» originale: che è guidata dal principio di spiegare nel modo più semplice possibile – direi che papa Francesco approverebbe…. A volte, racconta le storie – per esempio – del Vangelo, adattando il loro senso al contesto familiare dell’ascoltatore. Dunque, si domanda quale sia il contesto abituale dell’ascoltatore, interrogandosi – al contempo – sul modo di porgere la Parola di Dio in modo che lui possa recepire in maniera chiara e semplice il contenuto. Non è soltanto un’opera di traduzione, è un’ermeneutica della Sacra Scrittura. Tommasa fa ciò, attingendo dalla sua esperienza di insegnamento scolastico, ma anche in virtù della propria vita mistica. Di fatto, cita detti e storie di santi: spesso a mo’ di fioretti. Non va mai a trattare approfonditamente da un punto di vista speculativo la dottrina spirituale di questo o quel santo. Di continuo, cita Agostino, Bonaventura, Teresa D’Avila, Paolo della Croce, Teresa di Lisieux, ma il senso è sempre pedagogico ossia far capire meglio il senso della Parola di Dio. Infine, usa immagini e metafore a precisare concetti e a dare definizioni.

Il dramma del mondo e la coscienza della figliolanza divina. Tommasa è un’esperta in umanità: oltre che nell’esplicazione di concetti e di definizioni. Per Tommasa, la fede deve incarnarsi, essere messa alla prova e maturare. La fede necessaria è quella che consente il dono della vita, non è una fede astratta; la fede autentica, quando rende possibile il dono della vita, è – dice Tommasa – un «contratto senza clausole». In questa visione di fede, Tommasa presenta il dramma del mondo attuale, la sua crisi – nel momento in cui sta parlando, è in Europa. Qui – e altrove – emerge il carisma profetico di Tommasa, quale intuizione dei segni dei tempi. Ecco, la visione sulla crisi di fede dell’Europa e dell’intero Occidente, affermata dal magistero pontificio negli ultimi decenni, per cui parliamo di una «nuova evangelizzazione»… Tommasa, nei suoi discorsi, già l’evidenzia negli anni ’50. Esattamente, il 22 febbraio del ’53, parla del dramma del mondo: la crisi dell’Europa – che è del mondo – dipende – secondo Tommasa – dal fatto che il sale evangelico è scipito; la barca è in tempesta, usando un’altra immagine evangelica. Tommasa dice: «Il problema non è la tempesta. Il problema è quello che gli apostoli dicono sulla barca in tempesta: “Siamo perduti!”. Questo è il problema!». Sempre nella stessa conversazione, Tommasa cita un’affermazione di una bambina di scuola elementare, – cos’è di più piccolo e apparentemente insignificante dell’incontro con una bambina?!… –, che sostiene che tutti gli esseri umani sono figli di Dio, tutti! Detto così, oggi sembrerebbe cosa abbastanza scontata, ma nel contesto dottrinale dell’epoca non lo era affatto. La bambina le domanda a riguardo degli ebrei al cospetto dei cristiani. Tommasa risponde, dopo aver fatto discernimento: «Anche gli ebrei sono figli di Dio. Tutti lo siamo: cambia solo la coscienza di esserlo». Questo mi sembra un punto importantissimo – soprattutto oggi – nel dialogo interreligioso e interculturale: «Ciò che cambia è solo la coscienza di esserlo»…

Attenzione e obbedienza nell’amore. Per Tommasa, l’attenzione ha capitale importanza. Nell’attenzione, c’è già tutto l’amore. Se tu sei in grado di fissare la tua attenzione alla volontà di Dio, dal di dentro della volontà di Dio, l’amore è già realizzato: tutto è fatto perché tutto – secondo Tommasa – scende come una cascata dalla vetta di un monte a valle. Ecco la Contemplatio ad Amorem di Sant’Ignazio di Loyola! Quindi, il problema della crisi del mondo è il difetto di attenzione: l’attenzione attuale – dice Tommasa – è di qualità bassa… – sembra inconsapevolmente citare il magistero di Simone Weil1… Tommasa cita, come esempio, la «piccola via» di Santa Teresa del Bambin Gesù del Volto Santo. Sì che, altrove, Teresa non le era simpatica: evidentemente, poiché all’epoca – anni ‘50 ossia prima della diffusa versione integrale dei suoi manoscritti – il modo di presentarla era deviato e deviante, per cui la devozione popolare la ricordava come la “piccola santa”. la santa bambina…  Ebbene, a proposito dell’obbedienza – dice Tommasa – l’immagine fondamentale è il Getsemani: l’obbedienza di Gesù al Padre. Tommasa dice: «Con questa obbedienza occorre fare grandi cose». Però – attenzione! –, anche qui, che cosa sono le «grandi cose»? Qual è il senso di questa grandezza? Le grandi cose sono grandi – dice Tommasa – per essenza, vale a dire piccoli atti che richiedono un grande coraggio: quindi, grandi cose non perché sono fatte da una cattedra su un palco, in grande evidenza, ma perché piccole cose fatte con un grande animo e con molta umiltà. Da qui, la citazione di Teresa (e di Sant’Ignazio)… L’adagio omnia possibilia sunt credenti è fondamentale per Tommasa: ciò che importa – qui – è che, se tu hai fede, puoi fare tutto; la grandezza è dettata dal tuo cuore. Per far questo – attenzione! –, occorre l’ascesi, ossia abituare la volontà a resistere all’abbraccio del piacere. Occorre – dice Tommasa – «un processo sospensivo della maturità»: rispetto all’inclinazione al piacere. La sospensione ti dà lo spazio del discernimento e dell’esplicazione della giusta volontà secondo Dio. Come deve essere questa volontà? Tommasa la descrive, anzitutto, in termini negativi: non una volontà rinunciataria, non una volontà impaziente – perché i tempi sono dettati da Dio –, non una volontà impositiva o costrittiva, non una volontà ingiusta – che significa: due pesi, due misure… –; se si è sicuri di avere questo tipo di volontà – ossia: non…, non…, non… –, si avrà la volontà giusta, secondo Dio. L’altra caratteristica della volontà giusta è la prontezza a fare qualsiasi cosa, a essere pronti a tutto: fino alla croce (!).

Tommasa bimba con il povero. Chiudo, leggendo un suo episodio autobiografico che fa – nuovamente – pensare a Teresa di Lisieux. Dice l’origine di questo stile “assoluto” di questa donna. Tommasa bimba – sei anni – incontra, con il papà, un povero. Tommasa adulta racconta: «Un giorno, […] passando per andare a Messa, […] dissi: “Papà, c’è quel povero”. “Che?”. [Dico:] “Chiede l’elemosina. Quel vecchietto… Sì, vorrei farla”. “Ottimo, figlia mia. Bisogna far sempre l’elemosina”. Ha preso, ha tirato fuori…; e mi ha dato – mi ricordo – quelle monetone che voi non potete neanche conoscere – soldoni così, che erano belli grossi –, e, poi – erano abbastanza! –, sono andata di corsa – mi vedo, ancora, andare là – e mettere… E questo mi fa: “Grazie, bambina!”. E io gli ho detto: “Prego, prego!”. Ero molto commossa. Poi, quando si è trattato di pagarmi il gelatino domenicale, mio padre non si è diretto dal gelataio. Allora, io – molto guardinga – gli ho detto: “Scusami tanto, papà: forse hai dimenticato che oggi è domenica”. Mi ha risposto: “No, non ho dimenticato. Ma non ho i denari, piccina mia”. “Ah!” – dico – “Non hai i denari?”. “Non ce li ho: li abbiamo dati a quell’uomo…”. “E non ne hai altri?”. La domenica seguente, ripassammo, e l’omino c’era. Mi ricordo che mi dissi: “Adesso, mi conviene far finta di non vederlo”. Mio padre, invece di camminare per così, andò proprio di filato: che c’andammo a sbattere contro… “Io – mi dissi –, se lo vuol fare papà, per conto suo, io non dico niente”. Mi ricordo che mi guardò e mi disse “C’è l’omino”. Dico: “Sì”. “Allora, tu gli devi dare i denari. No?”. “Sì, sì”. E mi diede i denari. Io glieli diedi. E quello mi disse: “Grazie!”. Io gli dissi: “Prego”. Siccome mi vide che ero rimasta un po’ così… – mi ricordo ancora –, al ritorno, mi disse: “Vedi, piccola mia, quello che si dà lo si paga, e basta”». Questo «[…] e basta» – ai miei occhi – fa rima con la fine del Suscipe di Sant’Ignazio: è una chiusa di compimento e di salvezza, ossia è Grazia2

P. Fausto Gianfreda S.J.

1 Cf. F. GIANFREDA, Il Graal di Simone Weil, Pazzini, Villa Verucchio 2012

2 Cf. F. GIANFREDA, Verso l’infanzia spirituale. L’itinerario esistenziale-ermeneutico di Pietro Favre in riferimento
alla Contemplatio ad amorem di Ignazio di Loyola, Pazzini, Villa Verucchio 2023.

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