Proprio nella notte del 12 Febbraio 1891, seguente lo Yom Kippur, grande festività ebraica, la casa dei signori Stein fu rallegrata dalla nascita dell’11esimo figlio: una bambina cui fu dato il nome di Edith.
Con tutti quei bambini per casa, felicità ed allegria albergavano in quella famiglia tedesca di fede ebraica, residente a Breslavia. Appena due anni dopo quel felice evento, il dolore bussava a quella porta: l’operoso commerciante di legname Sigfried, capofamiglia, moriva a soli 50 anni, lasciando la numerosissima famiglia nella quasi indigenza cui pose rimedio la moglie Augusta, donna forte e determinata che riuscì a tirare avanti e a far studiare tutti quei ragazzi. Edith soprattutto riportava ottimi risultati a scuola ed anno dopo anno la sete di verità che animava il suo cuore l’aveva incanalata verso lo studio della filosofia. Ebbe la fortuna di incontrare dei veri maestri nel campo filosofico quali: Reinach ed Huserl con i quali collaborò come assistente nelle aule universitarie di Gottinga. Intanto in Europa scoppiava la prima guerra mondiale. Edith fece ritorno a Breslavia e qui gettò da parte i libri e si trasformò in solerte infermiera. Come tale fu mandata a lavorare negli ospedaletti da campo sui monti Carpazi. Pur lavorando alacremente in ospedale dove le era stato affidato il reparto dei malati di tifo, il suo cuore era sempre più attratto dai frutti dell’intelletto, della ragione, della scienza. La sua usuale irrequietezza era dovuta alla ricerca della verità che ora le appariva e poi le sfuggiva specialmente da quando in ospedale aveva visto tanto dolore fisico e morale e si era posta numerose domande su questioni religiose, sulla sua fede svanita, su Dio. questo era il punto: quale Dio? quello di Mosè, di Abramo, di Isacco, di Israele o quello della Croce, del Dolore, della Risurrezione?

Riprese in mano i libri e, nonostante la guerra e gli impegni con questa connessi, si laureò col massimo dei voti in Filosofia a Friburgo. Vi furono 3 esperienze risolutive per il suo approdo al Cristianesimo: si recò a far visita alla vedova del filosofo Reinarch, morto in guerra. Vedendo la serenità di quella donna e la fed che la animava Edith, fu colpita profondamente: sì, solo la Croce poteva darle quella forza che traluceva dai suoi occhi parlando di Gesù. Accadde poi che una mattina presto passò dinanzi al Duomo di Friburgo e si imbattè in una piccola donna che si affrettava, con la sua cesta della spesa in mano, verso l’entrata della grande Chiesa. Edith si mise a riflettere: che si va a fare in Chiesa a quest’ora? Non c’è alcun servizio sacro, Messa, Battesimo. Che si va a fare? Ed una voce dentro di sé le rispose:”Si va a parlare con Gesù, Lui è lì che ci aspetta sempre, ci chiama, vuole incontrarci ….” La sua mente speculative era sempre in tumulto ed ogni occasione sembrava invitarla a passi decisivi. L’esperienza che dette la spinta finale ai suoi tentennamenti fu apparentemente ancora una volta il caso: stava uscendo da una biblioteca pubblica quando le venne in mente di prendere un libro, un libro qualunque. Tirò giù il libro dallo scaffale, era l’autobiografia di S. Teresa d’Avila. Passò la notte a leggere quel volumetto ed arrivò così all’ultima pagina. Anche Teresa era dunque pervenuta alla verità dopo tante sofferenze. Chiudendo il libro aveva esclamato, guardando la luce dell’alba che ora filtrava dalla finestra “questa è la Verità”. Edith amava disperatamente la sua gente ebraica che era nel mezzo di una bufera spaventosa, ma sentiva di dover fare ancora del cammino fuori dall’ebraismo.
Comprò un Catechismo e si mise a studiarlo poi per la prima volta volle assistere alla celebrazione della Messa, alla fine si affrettò a raggiungere in Sagrestia il sacerdote al quale chiese di essere battezzata. Il povero prete pensò che la donna fosse fuori di testa, allora Edith chiese di essere interrogata. Lo stupore del sacerdote crebbe quando sentì che la donna rispondeva serenamente a tutte le domande. Ricevette il Battesimo ed uscì dalla Chiesa sentendosi leggera e stranamente protetta anche se mai poteva scacciare dal fondo del cuore il pensiero per il suo popolo che stava affrontando la Croce. Intanto ebbe la fortuna di conoscere personalità nel campo della scienza e della Fede come: Max Scheler, Maritein, Heidegger e da questi incontri usciva rafforzata nella soluzione del suo antico cruccio: Scienza e Fede sono in contrasto oppure l’una aiuta l’altra e l’unità delle due strade postano alla verità? La preghiera ora non l’abbandonava mai e ne traeva forza per affrontare tutti gli spostamenti di residenza che le leggi razziali le imponevano. Infine fu costretta anche a lasciare la sua professione di docente universitaria.

Intanto erano incominciate le deportazioni dai vari paesi europei verso i numerosi campi di concentramento sorti in fretta in Germania e un po’ dopo, già in vista della seconda guerra mondiale, in altri paesi in accordo con la politica tedesca.
Da quella donna solerte che era scrisse al Papa Pio XI ed all’ex Nunzio in Germania Cardinal Pacelli, futuro Papa Pio XII, chiedendo di denunziare al mondo le persecuzioni che erano esercitate contro gli ebrei.
Ormai privata da una occupazione pubblica Edith si dedicò allo studio di scritti di carattere spirituale come: “La scienza della Croce “ di S Giovanni della Croce. Questo simbolo della Cristianità era ormai il sigillo della sua anima. La sua convinzione era che la Croce la chiamasse ad offrire la sua esistenza in Convento anche in espiazione per il popolo ebraico il cui destino pensava che fosse anche quello preparato da Dio per lei. Decise dunque di entrare nel convento delle carmelitane di Colonia, però non prima di aver salutato i suoi familiari. Si recò dunque a Breslavia dove trovò la famiglia tutta rattristata dalla sua decisione di chiudersi in Convento. Qui infatti fece il suo ingresso il 14 ottobre 1933. La madre non rispose mai alle sue lettere, solo in punto di morte volle inviale un breve saluto. Anche in Convento si sentiva braccata e la stessa Superiora del Monastero temeva che la sua presenza potesse nuocere alle altre consorelle, così decise di trasferirla fuori della Germania. Nella notte di Capodanno del 1939 Suor Teresa Benedetta -questo il suo nome da religiosa- fu accompagnata al confine con i Paesi Bassi e da lì raggiunse Echt in Olanda. Qui volle scrivere il suo testamento spirituale nel quale dichiarava: “Già ora accetto con gioia la morte che Dio mi ha destinato. Io prego il Signore che accetti la mia vita e la mia morte in modo che il Signore venga riconosciuto dai suoi e che il suo regno venga per la salvezza della Germania e la pace del mondo”. Il cordone ombelicale che la legava al suo popolo non era tagliato: sì era felice di essere Cristiana Cattolica, ma anche fiera di essere ebrea come i suoi genitori. Questa doppia appartenenza ora la sentiva nel profondo dell’anima.
Il 20 Luglio 1942 i Vescovi olandesi decisero di far leggere pubblicamente in tutte le Chiese la denuncia delle deportazioni e delle persecuzioni perpetrate contro gli ebrei. Fino a quel momento gli ebrei convertiti al cattolicesimo erano stati risparmiati da deportazioni ed altro. Quella condanna pubblica nelle Chiese olandesi mise tutti gli Ebrei sotto la mannaia nazista.
Ormai tutti correvano gli stessi rischi e la paura attanagliava il cuore di tutta l’Europa.
Il 2 Agosto 1942 Suor Teresa Benedetta e sua sorella Suor Rosa (anch’ella suora carmelitana) venivano arrestate dalla Gestapo. Edith disse s Rossa: “Vieni andiamo per il nostro popolo”. Era giunto il momento del Calvario, dell’immolazione.
Arrivate con gli altri deportati ad Auschwitz, si ritrovarono immerse in un mondo di dolore, lamenti, pianti, urla di disperazione, grida di rivolta. Suor Teresa Benedetta si aggirava in mezzo a quella umanità angosciata dai secchi comandi brutali che rimbombavano ovunque e cercava di consolare ed aiutare specialmente i bambini che erano stati divisi dalle madri. Quanti, quanti bambini giacevano lì in terra,smarriti, con occhi inondati di lacrime e lo sguardo rivolto soltanto verso quei comandi arrochiti. Le due Suore lavorarono quella sera fino a che le luci non furono spente portando qualcosa da mangiare rimediata qua e là ai bambini. Così la vira andò avanti per una settimana fino al 9 agosto quando le due sorelle furono uccise, insieme ad altri deportati, con il gas.
Il Papa Giovanni Paolo II beatificò Suor Teresa Benedetta nel Duomo di Colonia il 1 Maggio 1987. A distanza di poco più di 10 anni, l’11 ottobre 1998, lo stesso Pontefice l’innalzò agli onori degli altari. Dal 1999 ha avuto il titolo di patrona di Europa insieme a Santa Caterina di Siena e Santa Brigida di Svezia. Questo titolo le è stato conferito sempre da Giovanni Paolo I