Quando la professoressa Alfieri fondò questa rivista, 52 anni fa, a noi apprendisti scrittori, consigliò di non scrivere mai in prima persona gli articoli: una sorta di stile redazionale.

Questa volta le emozioni mi spingono a fare eccezione: mi sorge prepotente alla mente il pensiero dello zio Federico. Lo zio che non ho mai conosciuto: io sono nato a settembre del 1943, mentre il mitico zio Federico fu “disperso” in Russia la vigilia di Natale del 1942.
Era sottotenente di artiglieria nell’ansa del Don quando l’ARMIR (acronimo per armata italiana in Russia, l’8ª armata dell’esercito italiano) fu travolta dalla controffensiva sovietica. Al momento della ritirata si attardò a smantellare il suo pezzo. Era in attesa della licenza per la nascita della sua bambina, quella stessa che poi incontrai frequentando lo stesso corso universitario. Nella mia giovinezza rappresentò un riferimento tra eroico e sfortunato, avulso da ogni altra considerazione ideologica. Me lo immaginavo: colpito, caduto, travolto dai cingoli dei carri armati.
Per tanti anni, quasi un secolo, le sue ossa (come quelle di altri milioni di morti) hanno poi fatto concime, triturate dai cingoli dei trattori, nelle distese dell’Ucraina Orientale, per far crescere il “pane” dell’umanità.
Oggi, 2022, altri cingoli di carri armati triturano quelle ceneri, altri cannoni arano quelle distese con l’odio e la violenza per far crescere la disumanità.
Oggi prego, perché in quella terra martoriata possa cadere un seme di pace, di fratellanza: adesso impossibili. Ma quel seme è indispensabile, deve maturare, deve marcire per dar vita ad un nuovo mondo. Non si può chiedere a quanti soffrono adesso le perdite di figli, di persone care, di ogni bene, non si può loro chiedere di nutrire questo seme; ma zio Federico: pensaci tu. Nostro Signore Gesù Cristo ci ha insegnato con la sua passione e morte che è necessario che il seme muoia per portare frutto e frutto abbondante, come si legge in Giovanni 12,24-26: “In verità, in verità io vi dico: se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto”.
Foto tratte dal web

Editore e Direttore Editoriale
Mario Mancini, nato in Roma nel 1943, dopo la laurea in scienze geologiche, con tesi in geofisica, nel 1967 e un anno di insegnamento della matematica in un istituto tecnico industriale romano, svolge per un quinquennio la sua professione di geofisico e sismologo prevalentemente all’estero, in particolare in Papua Nuova Guinea presso il Rabaul Central Volcanological Observatory e in Australia nella sezione aviotrasportata a Canberra, in entrambi i casi per la BMR Australia, intervallando le due esperienze con un viaggio di studio in Giappone nell’estate del 1970.
Rientrato in Italia nel 1972, si impiega come geofisico presso la CMP di Roma per la quale lavora per sei anni, con diversi incarichi in Italia e all’estero.
Fin da liceale, nel 1959, aveva conosciuto Tommasa Alfieri e l’Opera Familia Christi da lei fondata. La figura e la spiritualità della Signorina Masa, come i suoi discepoli chiamavano la Alfieri, resteranno per Mancini un fondamentale riferimento per tutta la vita. Laico consacrato nel gruppo maschile dell’opera già dal 1974, nel 1979 fa la scelta di dedicarsi completamente all’Opera e va a vivere nell’eremo di Sant’Antonio alla Palanzana.
Alla morte della fondatrice, nel 2000, l’intero patrimonio dell’Opera passa per testamento all’associazione Vittorio e Tommasina Alfieri, all’uopo voluta dalla stessa Alfieri e della quale Mancini era stato tra i fondatori.
Per accordi associativi, più tardi violati da persone riuscite ad assumere il controllo dell’associazione, Mancini resta all’Eremo, unica persona a risiedervi in permanenza e a occuparsene.
La nuova gestione dell’associazione, decisa a trasformare la Familia Christi da istituzione prettamente laicale e una confraternita sacerdotale anticonciliare, nel 2005 convince Mancini a dimettersi dall’associazione stessa, in cambio della promessa, purtroppo mai ratificata legalmente, di lasciargli l’Eremo.
Fino fino al 2012, questo luogo, sotto la conduzione di Mancini, che sempre nel 2005 ha fondato l’associazione Amici della Familia Christi e ha registrato presso il Tribunale di Viterbo la testata Sosta e Ripresa, anch’essa fondata da Tommasa Alfieri e della quale Mancini è direttore editoriale, svolge un prezioso compito di Centro di spiritualità e di apertura ecumenica e interreligiosa.
Nel 2012 la confraternita appropriatasi del nome di Familia Christi (poi sciolata dalla Santa Sede con riduzione allo stato laicale di tutti i suoi esponenti) in violazione degli accordi presi a suo tempo ottiene dal Tribunale la restituzione dell’Eremo.
Mancini resta a Viterbo e prosegue il suo impegno ecclesiale in vari uffici diocesani e nel comitato regionale per l’ecumenismo ed il dialogo interreligioso.