Da otto secoli il Presepio tramanda a ogni cultura e in ogni luogo l’immagine della nascita di Gesù. La prima volta fu un presepio vivente e a “inventarlo” fu Francesco d’Assisi. Tommaso da Celano così ne racconta la prima rappresentazione nel 1223: “… è degno di perenne memoria e di devota celebrazione quello che il Santo realizzò tre anni prima della sua morte, a Greccio, il giorno del Natale del Signore…”.

Francesco dà le istruzioni e entusiasma tutti all’idea. Così: “… giunge il giorno della letizia, il tempo dell’esultanza! per l’occasione sono qui convocati molti frati da varie parti; uomini e donne arrivano festanti dai casolari della regione, portando ciascuno secondo le sue possibilità, ceri e fiaccole per illuminare quella notte, nella quale si accese splendida nel cielo la stella che illuminò tutti i giorni e i tempi. Arriva alla fine Francesco: vede che tutto è predisposto secondo il suo desiderio, ed è raggiante di letizia. Ora si accomoda la greppia, vi si pone il fieno e si introducono il bue e l’asinello …”.
Greccio è divenuta come una nuova Betlemme. Francesco si è rivestito dei parametri diaconali perché era diacono, e canta con voce sonora il santo Vangelo e “… ogni volta che diceva “Bambino di Betlemme” o “Gesù”, passava la lingua sulle labbra, quasi a gustare e trattenere tutta la dolcezza di quelle parole”.
In questi otto secoli quella dolcezza quasi fanciullesca ha contagiato tutto il mondo cristiano e dal Canada all’Australia è una gara a ripresentare il presepio. È il segno più bello, più umano e spirituale allo stesso tempo, del mistero dell’Incarnazione. Di fronte a quella rappresentazione, per un momento cadono tutte le maschere che le persone indossano nel teatrino della vita. Di fronte alla banalizzazione ed alla commercializzazione delle “festività natalizie” in alcuni paesi di antica evangelizzazione, il Presepe mantiene il suo richiamo alla pace indifesa della vita che nasce.
Per questo 800° anniversario della “Prima” rappresentazione del presepio, una originale opera teatrale, scritta da Giancarlo Bruti ed eseguita dal suo gruppo di figuranti “La Contesa”, si è svolta nella duecentesca chiesa di Sant’Andrea a Viterbo, nella particolare cornice medievale dell’austero edificio in grezze pietre di peperino.
Gli artisti hanno rappresentato il clima conflittuale e litigioso della città all’epoca e come Santa Rosa da Viterbo, ispirata da san Francesco, riporti la serenità e la pace coinvolgendo tutti, nobili e villani, ad una rievocazione vivente della notte di Betlemme. Il fatto è dichiaratamente immaginario, ma fra tante fake news, guerre e violenze, è un richiamo di poesia al mistero cristiano della salvezza.
Video e foto a cura di Mariella Zadro

Editore e Direttore Editoriale
Mario Mancini, nato in Roma nel 1943, dopo la laurea in scienze geologiche, con tesi in geofisica, nel 1967 e un anno di insegnamento della matematica in un istituto tecnico industriale romano, svolge per un quinquennio la sua professione di geofisico e sismologo prevalentemente all’estero, in particolare in Papua Nuova Guinea presso il Rabaul Central Volcanological Observatory e in Australia nella sezione aviotrasportata a Canberra, in entrambi i casi per la BMR Australia, intervallando le due esperienze con un viaggio di studio in Giappone nell’estate del 1970.
Rientrato in Italia nel 1972, si impiega come geofisico presso la CMP di Roma per la quale lavora per sei anni, con diversi incarichi in Italia e all’estero.
Fin da liceale, nel 1959, aveva conosciuto Tommasa Alfieri e l’Opera Familia Christi da lei fondata. La figura e la spiritualità della Signorina Masa, come i suoi discepoli chiamavano la Alfieri, resteranno per Mancini un fondamentale riferimento per tutta la vita. Laico consacrato nel gruppo maschile dell’opera già dal 1974, nel 1979 fa la scelta di dedicarsi completamente all’Opera e va a vivere nell’eremo di Sant’Antonio alla Palanzana.
Alla morte della fondatrice, nel 2000, l’intero patrimonio dell’Opera passa per testamento all’associazione Vittorio e Tommasina Alfieri, all’uopo voluta dalla stessa Alfieri e della quale Mancini era stato tra i fondatori.
Per accordi associativi, più tardi violati da persone riuscite ad assumere il controllo dell’associazione, Mancini resta all’Eremo, unica persona a risiedervi in permanenza e a occuparsene.
La nuova gestione dell’associazione, decisa a trasformare la Familia Christi da istituzione prettamente laicale e una confraternita sacerdotale anticonciliare, nel 2005 convince Mancini a dimettersi dall’associazione stessa, in cambio della promessa, purtroppo mai ratificata legalmente, di lasciargli l’Eremo.
Fino fino al 2012, questo luogo, sotto la conduzione di Mancini, che sempre nel 2005 ha fondato l’associazione Amici della Familia Christi e ha registrato presso il Tribunale di Viterbo la testata Sosta e Ripresa, anch’essa fondata da Tommasa Alfieri e della quale Mancini è direttore editoriale, svolge un prezioso compito di Centro di spiritualità e di apertura ecumenica e interreligiosa.
Nel 2012 la confraternita appropriatasi del nome di Familia Christi (poi sciolata dalla Santa Sede con riduzione allo stato laicale di tutti i suoi esponenti) in violazione degli accordi presi a suo tempo ottiene dal Tribunale la restituzione dell’Eremo.
Mancini resta a Viterbo e prosegue il suo impegno ecclesiale in vari uffici diocesani e nel comitato regionale per l’ecumenismo ed il dialogo interreligioso.