Di Desmond Tutu, l’arcivescovo anglicano sudafricano che ha concluso domenica scorsa la sua laboriosa giornata terrena, si può dire ed è stato detto molto, per dare testimonianza alla sua storia intrecciata con la tragedia e con il riscatto del suo Paese. È stato “al servizio del Vangelo, attraverso la promozione dell’uguaglianza razziale e della riconciliazione nel suo Sud Africa”, afferma Papa Francesco in un telegramma di condoglianze, “affidandone l’anima alla amorevole misericordia di Dio, invocando le benedizioni divine di pace e di consolazione nel Signore Gesù su tutti coloro che piangono la sua scomparsa nella sicura e certa speranza della resurrezione”. Parole non certo “protocollari” di circostanza, quelle del Papa, che nell’enciclica Fratelli tutti aveva ricordato Tutu tra “i fratelli non cattolici” che lo avevano motivato “nella riflessione sulla fraternità universale”.
Di “una voce incrollabile per i senza voce”, ha parlato il segretario generale dell’Onu Antonio Guterres, e tante altri rappresentanti di istituzioni e di organizzazioni religiose e della società civile hanno ricordato la sua instancabile lotta non violenta contro il regime razzista, il suo sostegno al processo di riconciliazione nazionale nel suo Paese, la sua strenua difesa dei diritti umani, per citare le motivazioni che gli valsero il premio Nobel per la pace nel 1984, nove anni prima che l’uguale riconoscimento coronasse l’azione di Nelson Mandela (insieme all’allora presidente sudafricano Frederik de Klerk).

Di Mandela in carcere per decenni Tutu condivise la scelta dell’impegno senza violenza, del diritto capace di affermarsi senza ferocia. Nei periodi più bui del regime segregazionista organizzò marce pacifiche, chiese e ottenne le sanzioni internazionali contro quel regime. E certo non senza rischio personale. Per fare solo un esempio, alla notizia della sua morte il massimo rappresentante della Comunione anglicana, l’arcivescovo di Canterbury Justin Welby, nel definirlo “un grande guerriero per la giustizia che non ha mai smesso di combattere” e “un profeta e sacerdote, un uomo di parole e di azione, una persona che incarnava la speranza e la gioia che erano le fondamenta della sua vita” ne ha sottolineato anche “straordinario coraggio personale e audacia” ricordando che “quando la polizia fece irruzione nella cattedrale di Città del Capo li ha sfidati ballando lungo il corridoio”.
Poi con Mandela, ormai presidente del Sud Africa, Tutu condivise la scelta forse più importante e significativa, dando vita alla Commissione per la Verità e la Riconciliazione, l’esempio forse più importante nella storia di sforzo di una giustizia senza vendetta, di pacificazione senza ostinato rancore, mettendo in luce le atrocità commesse durante la repressione dei bianchi, ma allo stesso tempo cercando di favorire da una parte una forma di perdono e dall’altra la riparazione morale alle famiglie delle vittime.
Nello scrivere queste righe, cedo alla tentazione, di solito sbagliata per un giornalista che non dovrebbe parlare di sé, di aggiunge la mia voce a quelle delle tante persone che in queste ore lo ricordano. Ho incontrato Desmond Tutu più di una volta, quando ho riferito della sua partecipazione a incontri di preghiera e a iniziative per la pace, per lo sviluppo dell’Africa, per la promozione dei diritti umani, per la lotta contro la pena di morte. La prima volta fu nel 1988 quando inaugurò a Roma la “Tenda di Abramo”, la prima casa della Comunità di Sant’Egidio dedicata ai profughi. A colpirmi, ogni volta, era il sorriso che sempre accompagnava le sue parole. Del resto, diceva che anche Dio sorride quando gli uomini si comportano da fratelli amorevoli, quando costruiscono la pace.
Desmond Tutt era già da tempo nella storia e ora è con Dio. E forse è qualcosa più di una coincidenza il fatto che il suo ultimo congedo dagli uomini, il suo funerale. Si terrà il 1° gennaio, nella Giornata mondiale della pace.
Foto tratte dal web

Direttore Responsabile
Giornalista professionista, ha lasciato a fine febbraio del 2016, pochi giorni dopo il suo sessantesimo compleanno, L’Osservatore Romano, il giornale della Santa Sede, dove aveva svolto la sua professione negli ultimi trent’anni, occupandosi principalmente di politica internazionale, con particolare attenzione al Sud del mondo.
Ha incominciato la sua professione giornalistica nel 1973, diciassettenne, a L’Avanti, all’epoca quotidiano del Partito Socialista Italiano, con il Direttore Responsabile Franco Gerardi. Nello stesso periodo, fino al 1979, ha collaborato con la rivista Sipario e ha effettuato servizi per l’editrice di cinegiornali 7G.
Ha diretto negli anni 1979-1980 i programmi giornalistici di Radio Lazio, prima emittente radiofonica non pubblica a Roma, producendovi altresì i testi del programma di intrattenimento satirico Caramella.
Ha poi lavorato per l’agenzia di stampa ADISTA, collaborando contemporaneamente con giornali spagnoli e statunitensi.
Nel 1984 ha incominciato a lavorare per la stampa del Vaticano, prima alla Radio Vaticana, dove al lavoro propriamente giornalistico ha affiancato la realizzazione, con altri, di programmi di divulgazione culturale successivamente editi in volume.
All’inizio del 1986 è stato chiamato a L’Osservatore Romano, all’epoca diretto da Mario Agnes, dove si è occupato da prima di cronaca e politica romana e italiana. Successivamente è passato al servizio internazionale, come redattore, inviato e commentatore. La prima metà degli anni Novanta lo ha visto impegnato in prevalenza nel documentare i conflitti nei Balcani e negli anni successivi si è occupato soprattutto del Sud del mondo, in particolare dell’Africa, ma anche dell’America Latina.
Su L’Osservatore Romano ha firmato circa duemila articoli sull’edizione quotidiana e su quelle settimanali. Ha inoltre contribuito alla realizzazione di alcuni numeri de I quaderni de L’Osservatore Romano, collana editoriale sui principali temi di politica, di cultura e di dialogo internazionali.
Collabora con altre testate, cattoliche e non, e con programmi d’informazione radiofonica e televisiva.
È Direttore Responsabile, a titolo gratuito, della rivista Sosta e Ripresa.
Ha insegnato comunicazione e politica internazionale in scuole di giornalismo e ha tenuto master di secondo livello, come professore a contratto, in Università italiane. Ha tenuto corsi, seminari e conferenze in Italia e all’estero. Ha tenuto corsi sull’attività diplomatica della Santa Sede in istituti superiori di cultura in Italia.
È autore di saggi, romanzi, raccolte di poesie, diari di viaggio, testi teatrali. Sue opere sono riportate in antologie poetiche del Novecento.
È tra i fondatori dell’Associazione Amici di Padre Be’ e della Fondazione Padre Bellincampi ONLUS, che si occupano di assistenza all’infanzia, e dell’associazione L.A.W. Legal Aid Worldwide ONLUS, per la tutela giurisdizionale dei diritti dell’uomo. Ha partecipato a progetti sociali per la ricostruzione di Sarajevo. È stato promotore e sostenitore di un progetto di commercio equo e solidale realizzato in Argentina.