Il santuario di Gibilmanna, nel parco delle Madonie, le cosiddette “dolomiti siciliane”, Si affaccia sul mare e dalla sua altitudine di 800 metri ha visto sbarcare per secoli la storia sulla costa settentrionale dell’isola: da bizantini e arabi, normanni e angioini, spagnoli e garibaldini, tedeschi e americani. Il suo stesso nome viene interpretato differentemente a secondo l’etimo considerato: da Jubileum Magnum se si considera l’azione apostolica del Papa san Gregorio Magno, molto attivo anche in Sicilia, per i possedimenti materni nell’isola, dove era stata concessa un’indulgenza plenaria per la festa del santo Papa; oppure dall’arabo Gebel el man: “monte della Fede” durante i secoli della colonizzazione islamica.
Già dalla prima diffusione del cristianesimo su quelle montagne inaccessibili, vi si erano stabiliti degli eremiti che per contrastare i culti pagani avevano dedicato il pizzo della montagna a san Michele Arcangelo. Proprio per opera di Gregorio Magno, di formazione monastica, la frequentazione eremitica viene sostituita da una forma cenobitica che si estende con alterne fortune fino al 1535, quando agli inizi della riforma cappuccina il padre Sebastiano da Gratteri, sui resti del cenobio benedettino costruisce il primo convento cappuccino in Sicilia, secondo le più austere regole di povertà: sei piccolissime celle di rozze tavole con le porte così basse da doversi inchinare in segno di umiltà per accedervi.
La devozione mariana di fra’ Sebastiano è un’altra caratteristica cappuccina che, sviluppatasi nei secoli, ha fatto del santuario di Gibilmanna il più importante luogo di pellegrinaggio mariano in Sicilia. Ancora oggi, partendo prima delle luci dell’alba il 3 settembre, i fedeli della Diocesi di Cefalù si inerpicano a piedi per i monti delle Madonie per onorare la miracolosa statua della Madonna con Bambino. Sulla parete a fianco della Madonna di Gibilmanna è anche ricollocato un affresco di Madonna con bambino, in stile bizantino del XI secolo, recuperato dalla originaria chiesetta benedettina.
È la testimonianza di questa fede semplice che attraversa secoli e millenni, che infiamma i cuori dei fedeli a vivere ed operare in continuità con quel messaggio di amore espresso da queste opere d’arte.
Foto tratte dal web

Editore e Direttore Editoriale
Mario Mancini, nato in Roma nel 1943, dopo la laurea in scienze geologiche, con tesi in geofisica, nel 1967 e un anno di insegnamento della matematica in un istituto tecnico industriale romano, svolge per un quinquennio la sua professione di geofisico e sismologo prevalentemente all’estero, in particolare in Papua Nuova Guinea presso il Rabaul Central Volcanological Observatory e in Australia nella sezione aviotrasportata a Canberra, in entrambi i casi per la BMR Australia, intervallando le due esperienze con un viaggio di studio in Giappone nell’estate del 1970.
Rientrato in Italia nel 1972, si impiega come geofisico presso la CMP di Roma per la quale lavora per sei anni, con diversi incarichi in Italia e all’estero.
Fin da liceale, nel 1959, aveva conosciuto Tommasa Alfieri e l’Opera Familia Christi da lei fondata. La figura e la spiritualità della Signorina Masa, come i suoi discepoli chiamavano la Alfieri, resteranno per Mancini un fondamentale riferimento per tutta la vita. Laico consacrato nel gruppo maschile dell’opera già dal 1974, nel 1979 fa la scelta di dedicarsi completamente all’Opera e va a vivere nell’eremo di Sant’Antonio alla Palanzana.
Alla morte della fondatrice, nel 2000, l’intero patrimonio dell’Opera passa per testamento all’associazione Vittorio e Tommasina Alfieri, all’uopo voluta dalla stessa Alfieri e della quale Mancini era stato tra i fondatori.
Per accordi associativi, più tardi violati da persone riuscite ad assumere il controllo dell’associazione, Mancini resta all’Eremo, unica persona a risiedervi in permanenza e a occuparsene.
La nuova gestione dell’associazione, decisa a trasformare la Familia Christi da istituzione prettamente laicale e una confraternita sacerdotale anticonciliare, nel 2005 convince Mancini a dimettersi dall’associazione stessa, in cambio della promessa, purtroppo mai ratificata legalmente, di lasciargli l’Eremo.
Fino fino al 2012, questo luogo, sotto la conduzione di Mancini, che sempre nel 2005 ha fondato l’associazione Amici della Familia Christi e ha registrato presso il Tribunale di Viterbo la testata Sosta e Ripresa, anch’essa fondata da Tommasa Alfieri e della quale Mancini è direttore editoriale, svolge un prezioso compito di Centro di spiritualità e di apertura ecumenica e interreligiosa.
Nel 2012 la confraternita appropriatasi del nome di Familia Christi (poi sciolata dalla Santa Sede con riduzione allo stato laicale di tutti i suoi esponenti) in violazione degli accordi presi a suo tempo ottiene dal Tribunale la restituzione dell’Eremo.
Mancini resta a Viterbo e prosegue il suo impegno ecclesiale in vari uffici diocesani e nel comitato regionale per l’ecumenismo ed il dialogo interreligioso.