A cercare questa data dell’11 ottobre tra i numerosi siti che si occupano di anniversari, si ha una sensazione strana, almeno per un cattolico: il 60° anniversario dell’apertura del Concilio Vaticano II è preceduto sempre da una o più altre ricorrenze. Il che fa riflettere quanti si occupano di comunicazione e di informazione, soprattutto cattolica, su come la ormai predominante cacofonia di internet renda difficile al lettore – o comunque al fruitore di informazioni – farsi un’idea o meglio un’opinione documentata sul significato di quell’avvenimento.
Sessant’anni fa, il mondo viveva una situazione di tensione e di minaccia. La corsa alla produzione di armi nucleari, le crisi che accompagnarono i processi di decolonizzazione, la vicenda israelo-palestinese che già allora mostrava l’incancrenirsi di odio e violenza, facevano temere a molti, forse ai più, il pericolo imminente di un conflitto nucleare dalle conseguenze catastrofiche fino alla distruzione dell’umanità.

Il Concilio, il primo nella storia non dogmatico ma di impostazione pastorale dialogante, fu una ventata di ragionevolezza, un impegno sia di aggiornamento ecclesiale sia di confronto fraterno con identità religiose e concezioni sociali diversi, sia soprattutto l’affermazione di una speranza di pace.
Oggi sembriamo ricacciati in quell’epoca. Da mesi si assiste tra i protagonisti, più o meno rilevanti, dei confronti internazionali a un superficiale quanto inquietante ricorso a dichiarazioni che ipotizzano l’uso di armi atomiche. Rallentano nei fatti gli accordi sottoscritti tra le grandi potenze per il disarmo nucleare, mentre Paesi che armi atomiche non posseggono non fanno mistero di volersene dotare
Al tempo stesso, complice la crisi del gas e il rallentamento degli impegni per la transizione verso fonti energetiche non inquinanti, anche il dibattito sul nucleare civile si riaccende con altrettanta superficialità e piena incuria del principio di precauzione.
Nel Vicino e Medio Oriente, culla delle religioni abramitiche, si accentua la minaccia di nuove violenze, fino al divampare in altre guerre, delle crisi incancrenite da decenni.
Il sud devastato del mondo come sempre paga il costo più pesante. In Africa, da quella mediterranea a quella subsahariana, passando per il Sahel, uccidono non solo le guerre locali, ma anche d quelle combattute a decine di migliaia di chilometri, per esempio con la drastica riduzioni degli aiuti internazionali, conseguenza diretta dell’aumento delle spese militari. Nel Corno d’Africa, dove continuano ad arrivare armi e non grano, questo scandalo ha aggravato uno scenario già collassato dalla pandemia e dall’annosa siccità.
Gli appelli, il magistero della Chiesa è con Papa Francesco accorato e improntato alla causa dell’uomo come furono allora quelli di Giovanni XXIII e di Paolo VI, ma sembrano purtroppo meno ascoltati.

E allora chi dirige una testata cattolica, per piccola che sia, deve porsi e porre una domanda: il Concilio è maturato? Maturato nelle coscienze, nei comportamenti quotidiani, nelle scelte sociali e politiche, nella vita di un miliardo di cattolici – ma forse è più giusto dire di battezzati.
Siamo ancora cattolici? Ci sentiamo fratelli tutti, figli di uno stesso Padre? Nessuno può indagare a fondo la coscienza di un altro. Eppure dai nostri frutti siamo riconosciuti. Quanto egoismo siamo disposti ad assolvere? E non solo individualmente, ma come popoli, nazioni. Perché gli egoismi nazionali non sono certo estranei a questa crisi, basti il solo esempio della lentezza e delle scelte al ribasso sulla vicenda del gas, che nei Paesi mediterranei si paga da tre a sei volte di più che in altri dell’Unione (e negli Stati Uniti dieci volte di meno che in Italia). E intanto torna di piena attualità, se pure abbia mai smesso di esserlo, la questione della chiusura dei confini. Perché in questa nuova pestilenza di nazionalismi, razzismo, ricorso disinvolto alle armi, tra i nemici da respingere ci sono proprio gli infelici che fame e guerra spingono a premere sulle nostre frontiere. E sono sempre meno, nel dibattito internazionale, quanti ammoniscono che i confini ormai violati sono ben altri: la difesa dell’umanità, la causa dell’uomo.
Foto tratte dal web

Direttore Responsabile
Giornalista professionista, ha lasciato a fine febbraio del 2016, pochi giorni dopo il suo sessantesimo compleanno, L’Osservatore Romano, il giornale della Santa Sede, dove aveva svolto la sua professione negli ultimi trent’anni, occupandosi principalmente di politica internazionale, con particolare attenzione al Sud del mondo.
Ha incominciato la sua professione giornalistica nel 1973, diciassettenne, a L’Avanti, all’epoca quotidiano del Partito Socialista Italiano, con il Direttore Responsabile Franco Gerardi. Nello stesso periodo, fino al 1979, ha collaborato con la rivista Sipario e ha effettuato servizi per l’editrice di cinegiornali 7G.
Ha diretto negli anni 1979-1980 i programmi giornalistici di Radio Lazio, prima emittente radiofonica non pubblica a Roma, producendovi altresì i testi del programma di intrattenimento satirico Caramella.
Ha poi lavorato per l’agenzia di stampa ADISTA, collaborando contemporaneamente con giornali spagnoli e statunitensi.
Nel 1984 ha incominciato a lavorare per la stampa del Vaticano, prima alla Radio Vaticana, dove al lavoro propriamente giornalistico ha affiancato la realizzazione, con altri, di programmi di divulgazione culturale successivamente editi in volume.
All’inizio del 1986 è stato chiamato a L’Osservatore Romano, all’epoca diretto da Mario Agnes, dove si è occupato da prima di cronaca e politica romana e italiana. Successivamente è passato al servizio internazionale, come redattore, inviato e commentatore. La prima metà degli anni Novanta lo ha visto impegnato in prevalenza nel documentare i conflitti nei Balcani e negli anni successivi si è occupato soprattutto del Sud del mondo, in particolare dell’Africa, ma anche dell’America Latina.
Su L’Osservatore Romano ha firmato circa duemila articoli sull’edizione quotidiana e su quelle settimanali. Ha inoltre contribuito alla realizzazione di alcuni numeri de I quaderni de L’Osservatore Romano, collana editoriale sui principali temi di politica, di cultura e di dialogo internazionali.
Collabora con altre testate, cattoliche e non, e con programmi d’informazione radiofonica e televisiva.
È Direttore Responsabile, a titolo gratuito, della rivista Sosta e Ripresa.
Ha insegnato comunicazione e politica internazionale in scuole di giornalismo e ha tenuto master di secondo livello, come professore a contratto, in Università italiane. Ha tenuto corsi, seminari e conferenze in Italia e all’estero. Ha tenuto corsi sull’attività diplomatica della Santa Sede in istituti superiori di cultura in Italia.
È autore di saggi, romanzi, raccolte di poesie, diari di viaggio, testi teatrali. Sue opere sono riportate in antologie poetiche del Novecento.
È tra i fondatori dell’Associazione Amici di Padre Be’ e della Fondazione Padre Bellincampi ONLUS, che si occupano di assistenza all’infanzia, e dell’associazione L.A.W. Legal Aid Worldwide ONLUS, per la tutela giurisdizionale dei diritti dell’uomo. Ha partecipato a progetti sociali per la ricostruzione di Sarajevo. È stato promotore e sostenitore di un progetto di commercio equo e solidale realizzato in Argentina.