Cuore e coraggio

Nell’immaginario comune, la vicenda storica di Pilato è ferma al gesto che compì in quel terribile venerdì di aprile a Gerusalemme davanti alla folla vociante: si lavò le mani, cedendo alle pressioni interne ed esterne.

Gli mancò il coraggio, l’audacia di fronteggiare la piazza, sobillata dal Sinedrio, che reclamava a gran voce la condanna dell’innocente Gesù. Con quell’atto, il più tragico uomo della storia, dimostrava di essersi piegato per viltà e, tuttavia, con quel gesto protestava chiaramente che in tutta quella faccenda aveva le mani pulite.

Gesù crocifisso deposto

Secondo la semantica più accreditata, il termine “coraggio” deriva dal latino volgare coraticum o da cor-habere (“avere cuore”); comunque sia nel primo come nel secondo caso è   presente cor (“il cuore”). Il coraggio è una forza pacata e tenace che viene dall’intimo dell’uomo, dal cuore appunto e non dagli…spinaci! Il coraggio è la virtus (“la forza”) latina che permette di superare ostacoli e difficoltà, sfidando pericoli e rischi. L’esperienza insegna che se si è audaci e ardimentosi cresce il coraggio per conseguire traguardi e conquiste; se invece si esita nella decisione o se si rinvia ciò che è stato programmato allora cresce a dismisura la paura.

Dunque, il cuore in stretta intesa con la mente conferiscono garanzia di riuscita ad ogni impresa. Questo è il suggerimento che un esperto acrobata volle confidare ad un aspirante trapezista; e gli precisò: “Ricordati che la prima cosa che devi lanciare verso il trapezio è il cuore; e così avrai la certezza che seguirà immancabilmente anche il corpo”. Mente e cuore insieme, come conferma l’antica filosofia greca, hanno incoraggiato e sostenuto la virtus civile per la fondamentale programmazione della pòlis greca nella libertà, nella giustizia e nella verità.

Ovviamente, risultano sempre gradite parole di fiducia e di incoraggiamento in momenti di particolari difficoltà e fatica da parte di amici e confidenti. Si narra che nelle prime edizioni delle olimpiadi, i solerti organizzatori, a poche centinaia di metri dal traguardo, scrivevano in terra con la calce la parola greca pistéue che vuol dire “coraggio, forza, fiducia, non arrenderti, non cedere alla stanchezza ecc.” con la lodevole finalità di sostenere l’atleta nell’ultimo tratto della sua competizione.

“Coraggio” oppure “non temere” o “abbi fiducia” risuonano come messaggi rassicuranti anche sulla bocca di Gesù per i miracolati, per i suoi discepoli e per i bisognosi di sostegno umano e divino: “Coraggio, figliolo, ti sono rimessi i tuoi peccati” dice Gesù al paralitico (Mt 9,2); “Coraggio, figliola, la tua fede ti ha guarita”  garantisce Gesù alla donna che soffriva di una terribile emorragia (Mt 9,22); “coraggio, sono io, non abbiate paura” è il  messaggio che il Maestro rivolge ai suoi, i quali nella foschia e tra i violenti spruzzi delle onde credono di vedere un fantasma foriero di sventure  (Mt 14,27).

All’opposto del coraggio si attesta la paura!  La temibile paura…! “L’angoscia e la paura distruggono lentamente la mia vita” è il lamento straziante del drammaturgo svedese Stig Halverd Dagerman, morto suicida a soli 31 anni. La paura è un insieme di tristezza, disgusto, rabbia, scoraggiamento e sconforto; la paura irretisce, paralizza, disorienta, lascia senza speranza e senza possibilità di reazione; la paura è rifiuto a lottare, a rischiare, a fare appello alle proprie risorse, non è più un vivere ma un lasciarsi vivere.

Le dinamiche del coraggio

È  coraggio saper denunciare apertamente il conformismo che ci vuole tutti uguali, tutti usciti dallo stesso stampo, tutti docili, obbedienti e arrendevoli a tutto e a tutti secondo l’opinione dominante.

John kennedy
John Fiztgerald Kennedy

John Kennedy in un discorso alle Nazioni Unite, nell’ormai lontano 1961, affermò che “il conformismo è il carceriere della libertà e il nemico dello sviluppo”; ci condiziona in quasi tutti i momenti della giornata; ci fa vivere un’esistenza priva di consapevolezza, di conquiste e di reazioni. L’anticonformismo, invece, ci offre il coraggio di presentarci in società come realmente siamo e ci dà la forza di uscire dal “branco” anche a costo di rimanere solo.

È coraggio saper vivere la quotidianità giorno dopo giorno nella fedeltà ai piccoli doveri. Questa è oggi la vita di tante persone umili, modeste e generose che accudiscono persone invalide per giorni, mesi e anni con amore e dedizione, senza pensare a una sostituzione. Queste persone non appaiono mai, non fanno notizia, nessuno bada a loro; vivono e lavorano nell’ombra; donano generosamente tempo, energie, sapere, ricchezza di esperienza e vita. Non pensano a riconoscimenti pubblici, perché bastano quelli che garantisce il Signore al termine della vita. Sono felici di rendere un modesto servizio di carità a Cristo nascosto nel bisognoso.

René Bazin

Perciò crediamo che avesse ragioni da vendere René Bazin quando scriveva che “nella vita abbiamo solo due o tre occasioni per dimostrarci eroi; ma ad ogni istante abbiamo quella di non essere vili”.

È coraggio saper vivere la sconfitta quando ci troviamo costretti a mordere la polvere. Però mai darci per vinti, mai disarmarci interiormente, mai abbandonare la speranza. E mai dire mai come recita una battuta popolare. L’avverbio “mai” sollecita a reagire allo scoraggiamento, alla rassegnazione e a riprendere quota.

Occorre coraggio intelligente nella lucida consapevolezza che essere sconfitti è cosa temporanea, darsi per vinti invece è cosa per sempre. Purtroppo oggi è facile vedere atteggiamenti di resa di fronte ai tanti avvenimenti che sembrano disegnare una definitiva sconfitta. E invece “reagire” è la parola d’ordine! Pertanto, quando capita di dover conoscere il sapore amaro della delusione e dell’ingratitudine, quando si va a cozzare contro il muro dell’indifferenza, è il momento di risultare dignitosi e signori nel cuore. L’esperienza di lungo corso insegna che la vera grandezza passa attraverso le varie stazioni dei giorni feriali.

Foto tratte dal web

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