Spezzare la Parola, Chieda di Santa Sofia Roma

Il brano evangelico cosiddetto del “servo inutile”, che la liturgia ha proposto domenica scorsa, 2 ottobre, suscita una riflessione maturata al tempo stesso dall’ascolto di un commento esegetico del gesuita padre Fausto Gianfreda e dalla vicenda di Tommasa Alfieri, la fondatrice di questo giornale nato nell’Opera alla quale dedicò la sua vita ed espresse soprattutto il suo insegnamento, cioè quella Familia Christi, comunità di profonda ispirazione laicale, purtroppo non rispettata nelle vicende seguite alla sua morte.

Padre Fausto Gianfreda
Padre Fausto Gianfreda

Proprio padre Gianfreda osserva che il servizio è figlio dell’obbedienza biblica, citando come archetipo di questa obbedienza Abramo e il sacrificio di Isacco e ricordando come Tommasa Alfieri contemplasse il Cristo obbediente al Padre.

Tommasina Alfieri
Tommasina Alfieri

Secondo “la Signorina”, come la chiamavano quanti ebbero la fortuna provvidenziale di esserle vicini, le fondamenta del sacrificio e dell’obbedienza risiedono nell’educazione che in famiglia i genitori impartiscono ai figli. Tra le esperienze della formazione ricevuta da suo papà Vittorio la Signorina Alfieri raccontava l’episodio da lei vissuto quando, ancora bambina, di ritorno dalla Messa domenicale, il padre indulgeva a pagarle una consumazione alla pasticceria lungo la strada. Una volta, all’uscita della chiesa, incontrano un poveretto che chiedeva la carità; Tommasa, spinta dal suo animo generoso, chiede al papà: “Posso dargli qualcosa?”. Il papà acconsente e cavato fuori un soldino lo dà alla bambina che, giuliva, lo va a dare al poveretto. Proseguendo la strada passano davanti alla solita pasticceria ed il papà passa oltre senza fermarsi. Tommasa ricorda al papà di acquistarle l’abituale pasticcino, ma lui risponde che il danaro per quella consumazione lei l’aveva già donato al poveretto, concludendo dolcemente: “Vedi piccola mia, quello che si dà lo si paga”. La morale è che la vera carità costa qualche cosa di personale.

Forte di questa educazione la professoressa Alfieri fece dell’obbedienza e del servizio strutture portanti della Familia Christi. Cercando uno “slogan” che esprimesse concisamente lo spirito dell’Opera, ella parlava dei suoi membri come di contemplativi in cammino, persone chiamate a vivere la loro identità cristiana pienamente nel mondo, nella famiglia, nel lavoro. Preghiera e servizio dovevano essere i loro pilastri: dove il servizio è preghiera e la preghiera è servizio. Nell’Opera il servizio era una categoria esistenziale: il consacrato nell’Opera non è mai “fuori servizio”.

Per il cristiano sacrificio e obbedienza sono fondati sull’amore: Cristo si consegna al Sacrificio, fatto obbediente fino alla morte di croce, per amore della volontà del Padre e per amore verso i fratelli di tutta l’umanità.

La parabola del “servo inutile”, un lavoratore per il quale non esiste il “fuori servizio”, per il quale non ci sono diritti sindacali, è fuori della portata di comprensione del mondo contemporaneo. Tanto più che duemila anni fa il termine (politicamente corretto) di servo indicava in realtà lo schiavo e allora tutte le considerazioni su servizio, obbedienza e amore assumono una profondità vertiginosa che si può – e si deve – investigare solo in termini di esegesi spirituale soprannaturale.

Foto tratta dal web

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