L‘anno che sta per cominciare si annuncia, almeno all’apparenza, carico di speranze legate all’efficacia dei vaccini per il Covid-19. Ma non per tutti. Nei Paesi poveri la possibilità di vaccinazioni di massa è almeno rimandata. Nonostante politiche lodevoli di cooperazione da parte di alcuni Paesi – l’esempio più evidente sono i vaccini che si stanno producendo a Cuba e che saranno distribuiti del tutto gratuitamente – è difficile pensare che nel Sud devasto del mondo, il virus possa essere messo sotto controllo entro il 2021.

Nell’enciclica Fratelli tutti, Papa Francesco già nell’introduzione fa alcune considerazioni ispirategli mentre la scriveva dallo scoppio della pandemia del Covid-19: «… che ha messo in luce le nostre false sicurezze – scrive -. Al di là delle varie risposte che hanno dato i diversi Paesi, è apparsa evidente l’incapacità di agire insieme. Malgrado si sia iper-connessi, si è verificata una frammentazione che ha reso più difficile risolvere i problemi che ci toccano tutti. Se qualcuno pensa che si trattasse solo di far funzionare meglio quello che già facevamo, o che l’unico messaggio sia che dobbiamo migliorare i sistemi e le regole già esistenti, sta negando la realtà».
Le parole del Papa possono essere una buona indicazione nell’esame, sia pure sommario, di questa realtà. Il punto è che il sistema di potere finanziario speculativo che condiziona l’economia mondiale non è migliorabile. Gli stessi disastri, dai terremoti alle epidemie, sono in tale sistema un’occasione di guadagno indecente per pochi al prezzo di accresciute spaventose sofferenze per centinaia e centinaia di milioni di persone. Magari stavolta non ci sono intercettazione di gente che si compiaceva di un evento luttuoso pregustando il guadagno sui morti, come accadde per il terremoto de L’Aquila, ma il concetto è lo stesso.
All’epidemia del Covid-19 si è accompagnata un’accentuazione della forbice tra ricchi e poveri, sia a livello interazione, sia all’interno delle singole realtà statali. Fenomeni di massiccia speculazione finanziaria si stanno registrando anche in campo sanitario (produzione e vendita di sussidi medici e di prevenzione, tipo le mascherine, e appunto incontrollata corsa competitiva alla realizzazione privatistica di farmaci e vaccini).
Durante la pandemia, solo nel primo semestre di quest’anno, mezzo miliardo di persone sono andate a incrementare il numero di quelle sotto la soglia della povertà, soprattutto a causa della perdita di posti di lavoro. Di contro, c’è stato un aumento vertiginoso dei guadagni di una trentina di multinazionali, in prevalenza dei settori tecnologici, farmaceutici e del commercio online, quelli per intendersi che di fatto non pagano tasse. Stime concordi, approssimative per difetto, indicano per il 2020 un aumento di profitto di tali multinazionali di oltre cento miliardi di euro rispetto alla media dei quattro anni precedenti, destinati praticamente tutti a essere distribuiti tra gli azionisti.
Anche nella vicenda del virus sembrano mancare finora quelle risposte di buona politica, come le chiama Papa Francesco nella Fratelli tutti, necessarie a contrastare gli effetti devastanti di quegli interessi. Al tempo stesso, una miope e strumentale affermazione di populismi nazionalistici o peggio razziali e un pervicace, diffuso e disinvolto ricorso alla guerra, alimentato dal mai rallentato commercio delle armi, ostacolano le riforme dei modelli economici prevalenti da molti decenni e causa principale dei disastri ambientali e delle tragiche conseguenze pagate dalla gran parte dell’umanità.
Da ogni crisi pussono nascere opportunità. Ma sembrano sapersene giovare solo i parassiti dell’umanità. Già la crisi finanziaria del 2008 aveva mostrato le conseguenze tragiche dei meccanismi di accaparramento aggresciuti dalla versione finanziarizzata del capitalismo, come denunciò Benedetto XVI nella Caritas in veritate.
Con il Covid-19 lo schema si sta ripetendo. Ci sono spinte potenti per mettere sotto controllo privatistico nuovi prodotti e nuovi mercati, magari sotto l’aspetto all’apparenza suadente della digitalizzazione e dell’informatizzazione o persino degli investimenti in tutela dell’ambiente; spinte all’ulteriore avvilimento del controllo pubblico sull’economia, per arrivare alla completa sottomissione a quegli interessi dei diritti del lavoro e quindi della tenuta sociale.
Gli esempi potrebbero essere molteplici. Ma in sintesi estrema, nonostante le chiacchere di molti governanti e le dissertazioni sulle priorità e sui bilanciamenti tra tutele sanitarie e tutele economiche, in tutto il mondo, a partire dai Paesi più rilevanti per ricchezza o per popolazione, il coronavirus sembra aiutare i costruttori di una convivenza umana con ancora più disuguaglianza, dove si riduce il lavoro e quindi il reddito delle persone normali e si accresce la feroce e famelica abbuffata della finanza speculativa. Il tutto aiutato, a livello sociale e politico, da una pervicace implementazione delle divisioni, degli egoismi di basso profilo, delle paure indotte che portano al rifiuto dell’altro. Una realtà che non è un azzardo teologico definire demoniaca, se non altro perché la parola diavolo viene dal greco δίαβολος (diabolos), letteralmente colui che separa.
Detto così sembrerebbe un fenomeno inevitabile, come il susseguirsi di notte e giorno, di nascita, crescita e invecchiamento. Ma l non si tratta di accadimenti naturali e neppure prodotti in modo spontanea. Non ci solo solo quanti li subiscono e i pochi furbi che li sfruttano. Questi ultimi non ne sono solo i profittatori, ne sono gli artefici, con la complicità più o meno involontaria di quanti – e sono la maggioranza in molte società – ritengono che questa ricetta di neocapitalismo finanziarizzato risponda alle esigenze della modernità. Di quanti cioè, in una perversione di senso etico che almeno per i cristiani è inaccettabile, confondono i diritti primari, compresa la destinazione universale dei beni della terra, con quelli a essi subordinati, tipo la proprietà privata, confondono il concetto di libertà con il liberismo, per dirla con la Dottrina sociale della Chiesa della quale, per inciso, la Fratelli tutti è un buon riassunto.
Eppure invertire cente tendenze si può. Né mancano in questo senso segni di speranza. La pandemia ha riportato l’attenzione di molti alla necessità di cambiare davvero questo modello infausto di società, di perseguire – o forse di recuperare – una convivenza improntata sul primato della persona umana, a partire da quanti sono più nel bisogno. L’impatto del virus ha fatto crescere una domanda insistente di sanità pubblica, anche in Paesi dove di fatto non esiste, oltre che in quelli, come l’Italia, nei quali è stata negli ultimi decenni abbastanza massacrata a ventaggio della sanità privata; ha fatto comprendere a molti il significato dello Stato sociale; ha rimesso nel dibattito internazionale, soprattutto in Europa, la questione del Welfare orientato al vantaggio sociale.
Saranno i prossimi mesi a dirci se questa speranza saprà farsi azione politica, se le le misure pubbliche e con i comportamenti individuali sapranno orientarsi verso una società della cura, che sani le distorsioni di questa società del profitto e comprenda che non esiste vero sviluppo senza progresso sociale.
Direttore Responsabile
Giornalista professionista, ha lasciato a fine febbraio del 2016, pochi giorni dopo il suo sessantesimo compleanno, L’Osservatore Romano, il giornale della Santa Sede, dove aveva svolto la sua professione negli ultimi trent’anni, occupandosi principalmente di politica internazionale, con particolare attenzione al Sud del mondo.
Ha incominciato la sua professione giornalistica nel 1973, diciassettenne, a L’Avanti, all’epoca quotidiano del Partito Socialista Italiano, con il Direttore Responsabile Franco Gerardi. Nello stesso periodo, fino al 1979, ha collaborato con la rivista Sipario e ha effettuato servizi per l’editrice di cinegiornali 7G.
Ha diretto negli anni 1979-1980 i programmi giornalistici di Radio Lazio, prima emittente radiofonica non pubblica a Roma, producendovi altresì i testi del programma di intrattenimento satirico Caramella.
Ha poi lavorato per l’agenzia di stampa ADISTA, collaborando contemporaneamente con giornali spagnoli e statunitensi.
Nel 1984 ha incominciato a lavorare per la stampa del Vaticano, prima alla Radio Vaticana, dove al lavoro propriamente giornalistico ha affiancato la realizzazione, con altri, di programmi di divulgazione culturale successivamente editi in volume.
All’inizio del 1986 è stato chiamato a L’Osservatore Romano, all’epoca diretto da Mario Agnes, dove si è occupato da prima di cronaca e politica romana e italiana. Successivamente è passato al servizio internazionale, come redattore, inviato e commentatore. La prima metà degli anni Novanta lo ha visto impegnato in prevalenza nel documentare i conflitti nei Balcani e negli anni successivi si è occupato soprattutto del Sud del mondo, in particolare dell’Africa, ma anche dell’America Latina.
Su L’Osservatore Romano ha firmato circa duemila articoli sull’edizione quotidiana e su quelle settimanali. Ha inoltre contribuito alla realizzazione di alcuni numeri de I quaderni de L’Osservatore Romano, collana editoriale sui principali temi di politica, di cultura e di dialogo internazionali.
Collabora con altre testate, cattoliche e non, e con programmi d’informazione radiofonica e televisiva.
È Direttore Responsabile, a titolo gratuito, della rivista Sosta e Ripresa.
Ha insegnato comunicazione e politica internazionale in scuole di giornalismo e ha tenuto master di secondo livello, come professore a contratto, in Università italiane. Ha tenuto corsi, seminari e conferenze in Italia e all’estero. Ha tenuto corsi sull’attività diplomatica della Santa Sede in istituti superiori di cultura in Italia.
È autore di saggi, romanzi, raccolte di poesie, diari di viaggio, testi teatrali. Sue opere sono riportate in antologie poetiche del Novecento.
È tra i fondatori dell’Associazione Amici di Padre Be’ e della Fondazione Padre Bellincampi ONLUS, che si occupano di assistenza all’infanzia, e dell’associazione L.A.W. Legal Aid Worldwide ONLUS, per la tutela giurisdizionale dei diritti dell’uomo. Ha partecipato a progetti sociali per la ricostruzione di Sarajevo. È stato promotore e sostenitore di un progetto di commercio equo e solidale realizzato in Argentina.