Il beato Bàrberi non ha cercato gloria, riconoscimento, consensi. Così il vescovo di Viterbo, Orazio Francesco Piazza, all’omelia della Concelebrazione eucaristica che ha presieduto ieri sera, sabato 4 novembre, alle 18 nella cattedrale di San Lorenzo per solennizzare il 60° anniversario della beatificazione del passionista Domenico della Madre di Dio, al secolo il viterbese Domenico Bàrberi, che Paolo VI indicò durante il Concilio Vaticano II – che per la prima volta vide la partecipazione di rappresentanti di confessioni cristiane diverse da quella cattolica – come apostolo dell’ecumenismo, per la sua missione di riavvicinamento tra la Chiesa cattolica e quella anglicana.
Parole, quelle del vescovo, tanto più significative in una data (la Messa era quella prefestiva della XXXI domenica del tempo ordinario, anno A) in cui la liturgia della Parola (Mt 23, 1-12) riporta il duro ammonimento di Gesù contro quanti – scribi e farisei al tempo in cui il Signore percorreva la Galilea, la Samaria e la Giudea, tanti altri oggi – pongono la propria cultura al servizio non di Dio e dei fratelli, ma di se stessi, quanti sono spinti ad agire non per zelo di carità, ma per vanità, per ambizione autoreferenziale.
In quel brano del Vangelo c’è un passo, «Praticate e osservate tutto ciò che vi dicono, ma non agite secondo le loro opere, perché essi dicono e non fanno», che la saggezza popolare ha trasformato in una specie di proverbio: “fai quel che il prete dice non quel che fa”, magari ingiusto nella maggioranza dei casi, ma purtroppo frutto di molti esempi storici e anche attuali. Tuttavia, la lezione proposta dal vescovo di Viterbo in questa occasione va al di là di una critica riservata, per così dire, a parti del clero che possano cedere a vanità o ad ambizione.
Nel “rileggere” la figura di Bàrberi sulla traccia del brano del Vangelo secondo Matteo, monsignor Piazza si è soffermato su due parole: umiltà e azioni. Le azioni che chiunque di noi fa per se stesso, per crescere nella considerazione sociale, di solito finiscono con lui e se pure danno qualche frutto questo è di breve durata. Configurare la propria vita in un’umiltà fiduciosa, nella docilità all’opera dello Spirito, genera e nutre azioni preziose e feconde. Soprattutto in questo Domenico Bàrberi costituisce un esempio significativo. L’episodio più conosciuto della sua vicenda è forse quello che lo vide strumento della conversione dall’anglicanesimo al cattolicesimo di John Henry Newman, poi cardinale, poi canonizzato quattro anni fa da Papa Francesco. Newman volle incontrare Bàrberi per affidare questa sua scelta a lui, che vide per la prima volta proprio in quell’occasione, ma del quale conosceva le opere e l’amore per i “fratelli separati”, un’espressione oggi diventata usuale che fu proprio quel frate passionista a coniare. E il vescovo Piazza ha sottolineato come Newman, che egli stesso indica ai propri studenti come un pilastro della teologia, fosse stato conquistato da quella umiltà feconda.
Già all’inizio della Messa, portando il saluto del superiore generale della Congregazione della Passione di Gesù Cristo (passionisti) e di tutti i confratelli, padre Ciro Benedettini, tracciando un sintetico profilo della vita del beato Bàrberi, aveva sottolineato come quest’opera dello Spirito avesse agito in modo all’apparenza incomprensibile. Era un pastorello nato alle falde della Palanzana, il monte di Viterbo, e rimasto orfano ancora bambino andò a vivere con uno zio fattore in un casale a Belcolle, dove cominciarono a chiamarlo Meco della Palanzana e dove sorge oggi una cappella a lui dedicata. Più tardi era già fidanzato quando sentì di essere chiamato a una vita religiosa. Nei passionisti entrò come fratello laico e faceva l’aiutante del cuoco del convento, poi capì di essere destinato al sacerdozio e per lui incominciò una vita di studio, in massima parte da autodidatta. Non era previsto tra il gruppo di passionisti destinati alla prima missione in Belgio e ne divento il responsabile. Infine andò dove anelava andare, in quell’Inghilterra dove oggi la devozione per lui e la conoscenza di lui continuano a crescere.
E forse questa celebrazione sarà una tappa di rilancio, perché si rafforzi la conoscenza di questo beato anche nella Viterbo dove è nato e dove l’opera dello Spirito ha incominciato a forgiarne la vicenda luminosa, ma dove purtroppo è ancora quasi sconosciuto ai più. Questo è l’impegno che l’APS Amici del Beato Domenico della Madre di Dio si è assunta, un impegno nutrito dalla speranza che alla beatificazione di sessant’anni fa possa presto seguire la canonizzazione. Un impegno e una speranza anche di Sosta e Ripresa, di cui l’associazione intitolata a Bàrberi è editrice. Un impegno e una speranza che il Vescovo di Viterbo condivide e sostiene.

Al termine della Messa, nella quale tre soci dell’associazione hanno proclamato le letture e il presidente Mario Mancini ha preparato e guidato la preghiera dei fedeli, il vescovo ha inaugurato una targa a ricordo di questo anniversario posta in cattedrale per iniziativa dell’associazione, soffermandosi poi con alcuni discendenti della famiglia Bàrberi, con i passionisti e con i soci dell’associazione intervenuti.

Nella targa si legge tra l’altro che fu Bàrberi ad accogliere Newman nella Chiesa cattolica. E se la canonizzazione di Newman ha preceduto quella di Barberi significa solo che l’opera dello Spirito sta ancora ammaestrando tutti noi.



Foto e video di Mariella Zadro

Direttore Responsabile
Giornalista professionista, ha lasciato a fine febbraio del 2016, pochi giorni dopo il suo sessantesimo compleanno, L’Osservatore Romano, il giornale della Santa Sede, dove aveva svolto la sua professione negli ultimi trent’anni, occupandosi principalmente di politica internazionale, con particolare attenzione al Sud del mondo.
Ha incominciato la sua professione giornalistica nel 1973, diciassettenne, a L’Avanti, all’epoca quotidiano del Partito Socialista Italiano, con il Direttore Responsabile Franco Gerardi. Nello stesso periodo, fino al 1979, ha collaborato con la rivista Sipario e ha effettuato servizi per l’editrice di cinegiornali 7G.
Ha diretto negli anni 1979-1980 i programmi giornalistici di Radio Lazio, prima emittente radiofonica non pubblica a Roma, producendovi altresì i testi del programma di intrattenimento satirico Caramella.
Ha poi lavorato per l’agenzia di stampa ADISTA, collaborando contemporaneamente con giornali spagnoli e statunitensi.
Nel 1984 ha incominciato a lavorare per la stampa del Vaticano, prima alla Radio Vaticana, dove al lavoro propriamente giornalistico ha affiancato la realizzazione, con altri, di programmi di divulgazione culturale successivamente editi in volume.
All’inizio del 1986 è stato chiamato a L’Osservatore Romano, all’epoca diretto da Mario Agnes, dove si è occupato da prima di cronaca e politica romana e italiana. Successivamente è passato al servizio internazionale, come redattore, inviato e commentatore. La prima metà degli anni Novanta lo ha visto impegnato in prevalenza nel documentare i conflitti nei Balcani e negli anni successivi si è occupato soprattutto del Sud del mondo, in particolare dell’Africa, ma anche dell’America Latina.
Su L’Osservatore Romano ha firmato circa duemila articoli sull’edizione quotidiana e su quelle settimanali. Ha inoltre contribuito alla realizzazione di alcuni numeri de I quaderni de L’Osservatore Romano, collana editoriale sui principali temi di politica, di cultura e di dialogo internazionali.
Collabora con altre testate, cattoliche e non, e con programmi d’informazione radiofonica e televisiva.
È Direttore Responsabile, a titolo gratuito, della rivista Sosta e Ripresa.
Ha insegnato comunicazione e politica internazionale in scuole di giornalismo e ha tenuto master di secondo livello, come professore a contratto, in Università italiane. Ha tenuto corsi, seminari e conferenze in Italia e all’estero. Ha tenuto corsi sull’attività diplomatica della Santa Sede in istituti superiori di cultura in Italia.
È autore di saggi, romanzi, raccolte di poesie, diari di viaggio, testi teatrali. Sue opere sono riportate in antologie poetiche del Novecento.
È tra i fondatori dell’Associazione Amici di Padre Be’ e della Fondazione Padre Bellincampi ONLUS, che si occupano di assistenza all’infanzia, e dell’associazione L.A.W. Legal Aid Worldwide ONLUS, per la tutela giurisdizionale dei diritti dell’uomo. Ha partecipato a progetti sociali per la ricostruzione di Sarajevo. È stato promotore e sostenitore di un progetto di commercio equo e solidale realizzato in Argentina.