In queste settimane autunnali la ripresa della diffusione della pandemia del Covid-19 sembra ben lungi dal suscitare quell’unità d’intenti e di azione da molti auspicata tra istituzioni, forze politiche, categorie economiche e cittadini.
Polemiche sono all’ordine del giorno sia sui numeri del contagio – tempi di aggiornamento, attendibilità dei tamponi – sia soprattutto sull’efficacia e sull’opportunità delle misure. Se nella scorsa primavera tali misure avevano trovato un assenso praticamente generale, nonostante il proliferare soprattutto su internet di posizioni negazioniste e complottisti, in queste ore predomina, almeno a quanto riporta la quasi totalità dell’informazione, l’idea che siano da temere le conseguenze economiche, ancora di più di quelle sanitarie.
Anche Sosta e Ripresa, allora, ritiene utile intervenire su questi aspetti, con due doverose premesse.
La prima è che questa testata, e in particolare chi scrive, non vanta particolari compenze in materia di epidemiologia, né titoli accademici in campo economico e finanzio. La seconda e di voler affrontare la questione per quello che è, cioè un giornale cattolico e come tale tenuto a valutare non solo i fatti, ma anche le indicazioni del magistero, per quanto riguarda la gestione sia della sanità, sia dell’economia.
Parliano dunque di sanità e di economia (e di finanza che è cosa diversa). Che la pandemia abbia messo in crisi, sia pure in misura minore che in altri Paesi cosiddetti avanzati, la sanità italiana è evidente.
Le misure adottate mirano soprattutto in questa fase a scongiurare la pressione sul sistema ospedaliero. Si può discurere a oltranza – più o meno ideologicamente – sulle responsabilità pregresse tanto dei governi quanto delle singole regioni, per decenni di tagli nel settore e da ultimo per il mancato preventivo adeguamento di strutture e organici nei mesi scorsi. Ma è un dato di fatto che sia ormai indebolito il sistema di sanità pubblica a vantaggio degli interessi privati. In decenni di ideologia neoliberista quasi tutti gli Stati hanno tagliato le spese sanitarie, hanno gestito anche la sanità come fosse un’impresa capitalistica, quindi sottoposta al criterio costi-benefici: se un investimento non rende nei tempi e nei modi del capitale, non si fa. Ma i “dividendi” in questa materia non devono essere in denaro, ma in salute. Né questa é la posizione solo di chi scrive (e per inciso dell’Onu, come chiaramente affermato negli oviettivi di sviluppo sostenibile fissati per il 2030). E la posizione del magistero sociale della Chiesa. E nel caso specifico di questa epidemia è mancata l’applicazione di uno dei punti fermi della dottrina sociale, cioè il principio di precauzione, che dice di assicurarsi collettivamente per eventi rari, ma molto dannosi.
Quanto alle ricadute in termini di economia sociale sono evidenti ritardi e parziali carenze del sostegno pubblico alle famiglie e ai cittadini in genere che sono stati precipitati in difficoltà in qualche caso gravissime.
Tuttavia, il punto più pericoloso sta nell’idea che l’obiettivo sia “superare la crisi e tornare come prima”. Perché bisogna cambiare.
Già la crisi finanziaria del 2008 aveva mostrato le conseguenze tragiche dei meccanismi di accaparramento accresciuti dalla versione finanziarizzata del capitalismo, come denunciò Benedetto XVI nella Caritas in Veritate. Con il Covid-19 lo schema si sta ampliando, con spinte potenti per mettere sotto controllo privatistico nuovi prodotti e nuovi mercati, magari sotto l’aspetto all’apparenza suadente della digitalizzazione e dell’informatizzazione, o persino degli investimenti in tutela dell’ambiente.
Nonostante le chiacchere di molti governanti sulle priorità e sui bilanciamenti tra tutele sanitarie e tutele economiche, in tutto il mondo, a partire dai Paesi più rilevanti per ricchezza o per popolazione, il coronavirus sta favorendo una convivenza umana perversa, dove si riduce il lavoro e quindi il reddito delle persone normali e si accresce la feroce e famelica abbuffata della finanza speculativa. C’è l’ulteriore avvilimento del controllo pubblico sull’economia, per arrivare alla completa sottomissione a quegli interessi dei diritti del lavoro e quindi della tenuta sociale. Il tutto aiutato, a livello sociale e politico, da una pervicace implementazione delle divisioni, delle paure indotte, degli egoismi di basso profilo.
La globalizzazione finanziaria si declina sempre più anche come neocolonialismo economico e commerciale, non solo nei rapporti internazionali,ma anche all’interno dei singoli Paesi e accentua le situazioni discriminatorie. Ciò chiede ai cristiani riflessioni non solo in termini dottrinali e pastorali, ma anche sul modello economico e sociale da perseguire.

Ne è cosciente il Papa che nella Fratelli tutti ha attribuito alcune considerazioni in materia proprio a riflessioni su questo fatte durante la pandemia e che comunque già da prima che questa accentuasse tali sostanziale ingiustizia aveva convocato l’incontro sull’economia di comunione ad Assisi, iniziamente previso per la scorsa primavera e poi rinviato a questo novembre.
Si terrà la settimana entrante, purtroppo solo via internet data la situazione. Sosta e Ripresa, con le difficoltà generate dalla scarsezza dei propri mezzi, cercherà di seguirlo al meglio delle proprie possibilità e di riferirne ai suoi lettori. E sarà interessante studiarne le possibili indicazioni. Utili per tutti e che sollecitano soprattutto l’Unione europea – e in essa l’Italia – a reimpostare le sue politiche di produzione e di condivisione, portando la sua forza complessiva a dare un contributo decisivo, secondo il proprio spirito originario da recuperare, al principio di destinazione universale dei beni, attraverso leggi e politiche nel segno di una globalizzazione dei diritti da opporre all’attuale globalizzazione del vantaggio di pochi al prezzo dell’oppressione dei molti.
Foto tratte dal web
Direttore Responsabile
Giornalista professionista, ha lasciato a fine febbraio del 2016, pochi giorni dopo il suo sessantesimo compleanno, L’Osservatore Romano, il giornale della Santa Sede, dove aveva svolto la sua professione negli ultimi trent’anni, occupandosi principalmente di politica internazionale, con particolare attenzione al Sud del mondo.
Ha incominciato la sua professione giornalistica nel 1973, diciassettenne, a L’Avanti, all’epoca quotidiano del Partito Socialista Italiano, con il Direttore Responsabile Franco Gerardi. Nello stesso periodo, fino al 1979, ha collaborato con la rivista Sipario e ha effettuato servizi per l’editrice di cinegiornali 7G.
Ha diretto negli anni 1979-1980 i programmi giornalistici di Radio Lazio, prima emittente radiofonica non pubblica a Roma, producendovi altresì i testi del programma di intrattenimento satirico Caramella.
Ha poi lavorato per l’agenzia di stampa ADISTA, collaborando contemporaneamente con giornali spagnoli e statunitensi.
Nel 1984 ha incominciato a lavorare per la stampa del Vaticano, prima alla Radio Vaticana, dove al lavoro propriamente giornalistico ha affiancato la realizzazione, con altri, di programmi di divulgazione culturale successivamente editi in volume.
All’inizio del 1986 è stato chiamato a L’Osservatore Romano, all’epoca diretto da Mario Agnes, dove si è occupato da prima di cronaca e politica romana e italiana. Successivamente è passato al servizio internazionale, come redattore, inviato e commentatore. La prima metà degli anni Novanta lo ha visto impegnato in prevalenza nel documentare i conflitti nei Balcani e negli anni successivi si è occupato soprattutto del Sud del mondo, in particolare dell’Africa, ma anche dell’America Latina.
Su L’Osservatore Romano ha firmato circa duemila articoli sull’edizione quotidiana e su quelle settimanali. Ha inoltre contribuito alla realizzazione di alcuni numeri de I quaderni de L’Osservatore Romano, collana editoriale sui principali temi di politica, di cultura e di dialogo internazionali.
Collabora con altre testate, cattoliche e non, e con programmi d’informazione radiofonica e televisiva.
È Direttore Responsabile, a titolo gratuito, della rivista Sosta e Ripresa.
Ha insegnato comunicazione e politica internazionale in scuole di giornalismo e ha tenuto master di secondo livello, come professore a contratto, in Università italiane. Ha tenuto corsi, seminari e conferenze in Italia e all’estero. Ha tenuto corsi sull’attività diplomatica della Santa Sede in istituti superiori di cultura in Italia.
È autore di saggi, romanzi, raccolte di poesie, diari di viaggio, testi teatrali. Sue opere sono riportate in antologie poetiche del Novecento.
È tra i fondatori dell’Associazione Amici di Padre Be’ e della Fondazione Padre Bellincampi ONLUS, che si occupano di assistenza all’infanzia, e dell’associazione L.A.W. Legal Aid Worldwide ONLUS, per la tutela giurisdizionale dei diritti dell’uomo. Ha partecipato a progetti sociali per la ricostruzione di Sarajevo. È stato promotore e sostenitore di un progetto di commercio equo e solidale realizzato in Argentina.