C’è una suggestione di gesti e di parole che rimane impressa nella memoria di quanti hanno partecipato, di persona o attraverso i media, all’incontro “Un grido di pace”, tenuto a Roma per iniziativa della Comunità di Sant’Egidio, 36ª tappa annuale di un cammino che ha voluto consolidare nei fatti e soprattutto nelle coscienze lo “spirito di Assisi. Quello spirito che soffiò poderoso nel 1986 nella città di Francesco e di Chiara quando per la prima volta esponenti di tutte le religioni e di molte culture, risposero alla chiamata di Giovanni Paolo II e vollero essere insieme per pregare, ciascuno secondo la sua confessione. Pregare, come allora oggi, la pace.
Nel maestoso scenario del Colosseo, prima all’interno durante la preghiera delle confessioni cristiane, poi nella piazza antistante gremita di persone e sul palco dove si sono susseguiti gli interventi dell’atto conclusivo dell’incontro, fino a quello di Papa Francesco, ci sono stati i gesti, abbracci e carezze, che la pandemia ci aveva vietati. Ci sono le parole appassionate e severe di tante persone che in ogni continente si chinano sulle vittime della guerra, ne raccolgono il grido di dolore, ne proclamano l’anelito di pace.
E denunciano, come ha fatto il Papa, la retorica della guerra «madre di tutte le povertà» che sembra prevalere «…in questo scenario oscuro, dove purtroppo i disegni dei potenti della terra non danno affidamento alle giuste aspirazioni dei popoli».
«Non siamo neutrali ma schierati per la pace»», ha detto ancora Francesco, parlando non solo il cuore, ma anche alle menti. Perché serve certo per prima aprire i curi alla preghiera, ma anche aprire le menti alla riflessione e all’ascolto di parole di verità. E ancora: «Ogni guerra lascia il mondo peggiore di come lo ha trovato». Lo confermano le lezioni dolorose del passato, lo denuncia oggi il lungo e purtroppo non completo elenco delle nazioni e dei popoli per i quali si è invocata la pace, in Africa, in Asia, in America, in Europa. Di più ancora: «Oggi si sta verificando quello che si temeva e che mai avremmo voluto ascoltare: che cioè l’uso delle armi atomiche, che colpevolmente dopo Hiroshima e Nagasaki si è continuato a produrre e sperimentare, viene ora apertamente minacciato».
E ci sono stati gesti e parole a concludere l’incontro al Colosseo. I gesti di quanti, per primo il Papa, hanno firmato l’Appello di pace di Roma. Le parole che lo esprimono, lette da una giovane profuga siriana, oggi studentessa nella capitale italiana grazie ai corridoi umanitari organizzati dalla Comunità di Sant’Egidio, dalla Conferenza episcopale italiana e dalla Chiesa valdese, e poi consegnato ad alcuni ragazzi e ragazze, in simbolico affidamento a tutti i giovani del mondo, dalla scrittrice, testimone della Shoah, Edith Bruck.
Appello di pace di Roma
Riuniti a Roma nello spirito di Assisi, abbiamo pregato per la pace, secondo le varie tradizioni ma concordi. Ora noi, rappresentanti delle Chiese cristiane e delle Religioni mondiali, ci rivolgiamo pensosi al mondo e ai responsabili degli Stati. Ci facciamo voce di quanti soffrono per la guerra, dei profughi e delle famiglie di tutte le vittime e dei caduti.
Con ferma convinzione diciamo: basta con la guerra! Fermiamo ogni conflitto. La guerra porta solo morte e distruzione, è un’avventura senza ritorno nella quale siamo tutti perdenti. Tacciano le armi, si dichiari subito un cessate il fuoco universale. Si attivino presto, prima che sia troppo tardi, negoziati capaci di condurre a soluzioni giuste per una pace stabile e duratura.
Si riapra il dialogo per annullare la minaccia delle armi nucleari.
Dopo gli orrori e i dolori della seconda guerra mondiale, le Nazioni sono state capaci di riparare le profonde lacerazioni del conflitto e, attraverso un dialogo multilaterale, di far nascere l’Organizzazione delle Nazioni Unite, frutto di un’aspirazione che, oggi più che mai, è una necessità: la pace. Non si deve ora perdere la memoria di quale tragedia sia la guerra, generatrice di morte e di povertà.
Siamo di fronte a un bivio: essere la generazione che lascia morire il pianeta e l’umanità, che accumula e commercia armi, nell’illusione di salvarsi da soli contro gli altri, o invece la generazione che crea nuovi modi di vivere insieme, non investe sulle armi, abolisce la guerra come strumento di soluzione dei conflitti e ferma lo sfruttamento abnorme delle risorse del pianeta.
Noi credenti dobbiamo adoperarci per la pace in tutti i modi che ci sono possibili. È nostro dovere aiutare a disarmare i cuori e richiamare alla riconciliazione tra i popoli. Purtroppo anche tra noi ci siamo talvolta divisi abusando del santo nome di Dio: ne chiediamo perdono, con umiltà e vergogna. Le religioni sono, e devono continuare ad essere, una grande risorsa di pace. La pace è santa, la guerra non può mai esserlo!
L’umanità deve porre fine alle guerre o sarà una guerra a mettere fine all’umanità. Il mondo, la nostra casa comune, è unico e non appartiene a noi, ma alle future generazioni. Pertanto, liberiamolo dall’incubo nucleare. Riapriamo subito un dialogo serio sulla non proliferazione nucleare e sullo smantellamento delle armi atomiche.
Ripartiamo insieme dal dialogo che è medicina efficace per la riconciliazione dei popoli. Investiamo su ogni via di dialogo. La pace è sempre possibile! Mai più la guerra! Mai più gli uni contro gli altri!.
Foto tratte dal web

Direttore Responsabile
Giornalista professionista, ha lasciato a fine febbraio del 2016, pochi giorni dopo il suo sessantesimo compleanno, L’Osservatore Romano, il giornale della Santa Sede, dove aveva svolto la sua professione negli ultimi trent’anni, occupandosi principalmente di politica internazionale, con particolare attenzione al Sud del mondo.
Ha incominciato la sua professione giornalistica nel 1973, diciassettenne, a L’Avanti, all’epoca quotidiano del Partito Socialista Italiano, con il Direttore Responsabile Franco Gerardi. Nello stesso periodo, fino al 1979, ha collaborato con la rivista Sipario e ha effettuato servizi per l’editrice di cinegiornali 7G.
Ha diretto negli anni 1979-1980 i programmi giornalistici di Radio Lazio, prima emittente radiofonica non pubblica a Roma, producendovi altresì i testi del programma di intrattenimento satirico Caramella.
Ha poi lavorato per l’agenzia di stampa ADISTA, collaborando contemporaneamente con giornali spagnoli e statunitensi.
Nel 1984 ha incominciato a lavorare per la stampa del Vaticano, prima alla Radio Vaticana, dove al lavoro propriamente giornalistico ha affiancato la realizzazione, con altri, di programmi di divulgazione culturale successivamente editi in volume.
All’inizio del 1986 è stato chiamato a L’Osservatore Romano, all’epoca diretto da Mario Agnes, dove si è occupato da prima di cronaca e politica romana e italiana. Successivamente è passato al servizio internazionale, come redattore, inviato e commentatore. La prima metà degli anni Novanta lo ha visto impegnato in prevalenza nel documentare i conflitti nei Balcani e negli anni successivi si è occupato soprattutto del Sud del mondo, in particolare dell’Africa, ma anche dell’America Latina.
Su L’Osservatore Romano ha firmato circa duemila articoli sull’edizione quotidiana e su quelle settimanali. Ha inoltre contribuito alla realizzazione di alcuni numeri de I quaderni de L’Osservatore Romano, collana editoriale sui principali temi di politica, di cultura e di dialogo internazionali.
Collabora con altre testate, cattoliche e non, e con programmi d’informazione radiofonica e televisiva.
È Direttore Responsabile, a titolo gratuito, della rivista Sosta e Ripresa.
Ha insegnato comunicazione e politica internazionale in scuole di giornalismo e ha tenuto master di secondo livello, come professore a contratto, in Università italiane. Ha tenuto corsi, seminari e conferenze in Italia e all’estero. Ha tenuto corsi sull’attività diplomatica della Santa Sede in istituti superiori di cultura in Italia.
È autore di saggi, romanzi, raccolte di poesie, diari di viaggio, testi teatrali. Sue opere sono riportate in antologie poetiche del Novecento.
È tra i fondatori dell’Associazione Amici di Padre Be’ e della Fondazione Padre Bellincampi ONLUS, che si occupano di assistenza all’infanzia, e dell’associazione L.A.W. Legal Aid Worldwide ONLUS, per la tutela giurisdizionale dei diritti dell’uomo. Ha partecipato a progetti sociali per la ricostruzione di Sarajevo. È stato promotore e sostenitore di un progetto di commercio equo e solidale realizzato in Argentina.