La devozione al beato Domenico della Madre di Dio, al secolo il viterbese Domenico Bàrberi, si consolida tra Viterbo e l’Inghilterra, dove Bàrberi operò a lungo e con profitto nell’Ottocento per il riavvicinamento tra cattolici e anglicani. A questo contribuisce l’azione dell’associazione viterbese che al beato è intitolata e che da tempo mantiene contatti con i luoghi inglesi, dove l’allora frate passionista svolse la sua missione.
Negli ultimi giorni di luglio, un nuovo tassello a questo scambio di visite ha aggiunto il viaggio in Inghilterra del presidente, che scrive queste righe, e del tesoriere dell’associazione. Lo scopo ne è stato preparare la visita in Inghilterra del vescovo di Viterbo Orazio Francesco Piazza, il quale ha buoni motivi per recarvisi e per approfondire la conoscenza di questa figura originaria della sua diocesi.
Domenico Bàrberi era nato nel 1792, ultimo di sei fratelli, alle falde della Palanzana, il monte che domina Viterbo (il che spiega che venisse chiamato Meco della Palanzana). Rimasto orfano era stato adottato dallo zio materno, fattore in un casale padronale. Le umili origini della famiglia non gli avevano permesso di studiare, ma entrato nella Congregazione dei Passionisti, la tenacia della sua applicazione gli aveva permesso di diventare un letterato, filosofo e teologo.
Ma la sua vocazione era la missione, in particolare, grazie a delle ispirazioni spirituali, la missione in Inghilterra. Qui arrivò nel 1842, superando ogni sorta di difficoltà fisiche, linguistiche, pastorali (l’Inghilterra era appena venuta fuori da tre secoli di sanguinosa persecuzione anticattolica), sociali, economiche. Persino il caratteristico abbigliamento passionista era di ostacolo. Tutte le difficoltà vinse grazie all’amore incondizionato ed eroico che egli nutriva per quelli che chiamava “fratelli separati”. In otto anni di incredibile lavoro restaurò il cattolicesimo nelle Midlands inglesi e lì il suo cuore cedette nel 1849. Ancora oggi è venerato da cattolici ed anglicani. Paolo VI, bel 1963, durante il Concilio Ecumenico Vaticano II, lo proclamò beato come apostolo dell’Unità.

Un altro motivo che ispira il vescovo Piazza a questo viaggio è il rapporto assolutamente carismatico che ha unito il nostro Domenico con san John Henry Newman, teologo tenuto in gran conto da monsignor Piazza. Il Newman, allora pastore anglicano di particolare fama, volle abiurare nelle mani del passionista viterbese, e per tutta la vita (morì, da Cardinale all’inizio del ‘900) mantenne una grande riconoscenza spirituale per il suo “maestro”. Ancora oggi, sulla fama di santità del beato Domenico fedeli e pastori della denominazione anglicana passano al cattolicesimo romano. Nelle Midlands ci sono tre parrocchie dedicate a “Blessed Dominic Barberi”.
Tra i convertiti dal beato Domenico si annovera il conte Spencer che entrò in religione nei passionisti con il nome di Ignatius e al quale fu poi affidata la successione alla guida della Congregazione passionista inglese. Fu un antenato di Diane Spencer, principessa di Galles e madre dell’attuale erede al trono, William, il primogenito di Carlo III.

A luglio i due “esploratori” hanno potuto constatare di persona la grande considerazione che il loro mentore gode ancora oggi in Inghilterra; a Londra, presso il ritiro dei passionisti; a Littlemore (Oxford) nella parrocchia a lui dedicata e costruita nel luogo del suo incontro carismatico con Newman; a Birmingham, con l’arcivescovo Bernard Longley che deve la sua vocazione al beato Domenico; a Sutton (Liverpool) dove sorge il bellissimo santuario dove è venerata la sua tomba.; a Manchester dove c’è un’altra parrocchia a lui dedicata. Dappertutto l’accoglienza è stata entusiastica, con lo scambio di ricordi e l’impegno di assiduità nella preghiera per il riconoscimento del nuovo miracolo che porterà a compimento il processo di canonizzazione perché le sue virtù eroiche siano di esempio a tutti i fedeli.
Foto di Sandro Mosè Toso

Editore e Direttore Editoriale
Mario Mancini, nato in Roma nel 1943, dopo la laurea in scienze geologiche, con tesi in geofisica, nel 1967 e un anno di insegnamento della matematica in un istituto tecnico industriale romano, svolge per un quinquennio la sua professione di geofisico e sismologo prevalentemente all’estero, in particolare in Papua Nuova Guinea presso il Rabaul Central Volcanological Observatory e in Australia nella sezione aviotrasportata a Canberra, in entrambi i casi per la BMR Australia, intervallando le due esperienze con un viaggio di studio in Giappone nell’estate del 1970.
Rientrato in Italia nel 1972, si impiega come geofisico presso la CMP di Roma per la quale lavora per sei anni, con diversi incarichi in Italia e all’estero.
Fin da liceale, nel 1959, aveva conosciuto Tommasa Alfieri e l’Opera Familia Christi da lei fondata. La figura e la spiritualità della Signorina Masa, come i suoi discepoli chiamavano la Alfieri, resteranno per Mancini un fondamentale riferimento per tutta la vita. Laico consacrato nel gruppo maschile dell’opera già dal 1974, nel 1979 fa la scelta di dedicarsi completamente all’Opera e va a vivere nell’eremo di Sant’Antonio alla Palanzana.
Alla morte della fondatrice, nel 2000, l’intero patrimonio dell’Opera passa per testamento all’associazione Vittorio e Tommasina Alfieri, all’uopo voluta dalla stessa Alfieri e della quale Mancini era stato tra i fondatori.
Per accordi associativi, più tardi violati da persone riuscite ad assumere il controllo dell’associazione, Mancini resta all’Eremo, unica persona a risiedervi in permanenza e a occuparsene.
La nuova gestione dell’associazione, decisa a trasformare la Familia Christi da istituzione prettamente laicale e una confraternita sacerdotale anticonciliare, nel 2005 convince Mancini a dimettersi dall’associazione stessa, in cambio della promessa, purtroppo mai ratificata legalmente, di lasciargli l’Eremo.
Fino fino al 2012, questo luogo, sotto la conduzione di Mancini, che sempre nel 2005 ha fondato l’associazione Amici della Familia Christi e ha registrato presso il Tribunale di Viterbo la testata Sosta e Ripresa, anch’essa fondata da Tommasa Alfieri e della quale Mancini è direttore editoriale, svolge un prezioso compito di Centro di spiritualità e di apertura ecumenica e interreligiosa.
Nel 2012 la confraternita appropriatasi del nome di Familia Christi (poi sciolata dalla Santa Sede con riduzione allo stato laicale di tutti i suoi esponenti) in violazione degli accordi presi a suo tempo ottiene dal Tribunale la restituzione dell’Eremo.
Mancini resta a Viterbo e prosegue il suo impegno ecclesiale in vari uffici diocesani e nel comitato regionale per l’ecumenismo ed il dialogo interreligioso.