La partecipazione alla Messa resta il cuore e il fulcro della vita cristiana. Sosta e Ripresa intende offrire ai propri lettori un contributo di riflessione sulla liturgia festiva, nella convinzione che “spezzare la Parola” del Signore è indispensabile per meglio partecipare alla sua mensa eucaristica. Con la prima domenica di Avvento incomincia il nuovo anno liturgico (A) incentrato soprattutto sul Vangelo di Matteo.

Ci guiderà e accompagnerà in questo cammino padre Ubardo Terrinoni OFM Capp da tempo firma importante e preziosa di Sosta e Ripresa, al quale la Direzione esprime gratitudine per questo ulteriore servizio.
4 dicembre 2022, II Domenica di Avvento – Anno A
In questa seconda domenica di Avvento domina la figura di Giovanni Battista, Precursore di Gesù, il quale propone come tema di fondo della sua missione la necessità della conversione per poter accogliere degnamente il Regno di Dio, che è alle porte; egli indica all’uomo un ritorno in se stesso per procedere a un mutamento radicale di mentalità, di vita, di condotta morale, come evidente conseguenza di un sincero pentimento. É urgente prendere personalmente una definitiva risoluzione, perché il giudizio di Dio incombe, “la scure è già alle radici dell’albero”, che se viene trovato senza frutti è condannato al fuoco.
Il Battista presenta il Signore come un agricoltore tutto intento a separare nell’aia, con il ventilabro, il grano dalla pula; il primo poi ricade a terra ed è riposto nel granaio, la seconda invece viene sollevata e portata via dal vento o destinata al “fuoco inestinguibile”. Questa è una eloquente metafora del giudizio che sarà compiuto dal Messia quando verrà. I farisei e i sadducei si affidano alla falsa sicurezza della loro discendenza dal patriarca Abramo, ma il Precursore annuncia la inutilità di una discendenza esclusivamente carnale. Noi credenti invece ci affidiamo al grande dono della speranza.
È appunto per questo, che resta sempre accesa la lampada della speranza a infonderci sicurezza e serenità, come ci esorta l’apostolo Paolo, nella seconda lettura, scrivendo ai romani: “In virtù della perseveranza e della consolazione che provengono dalle Scritture, teniamo viva la speranza” (Rom 15,4). Sì, la speranza è profondamente radicata nella natura dell’uomo, il quale vive costantemente proteso verso il futuro, verso ciò che deve accadere.

Don Primo Mazzolari, con una suggestiva felice espressione, scriveva: “La speranza vede la spiga quando i miei occhi di carne vedono soltanto il seme che marcisce”. Del resto l’esperienza ci insegna che l’uomo “non conta per quello che è o per quello che è stato, quanto principalmente per quello che è chiamato ad essere. La sua esistenza è un progetto da realizzare” (M. Magrassi).
Tutto dunque è posto sotto il segno della speranza verso un futuro di pace e di benessere che viene poeticamente preannunciato dal profeta Isaia: “Il lupo dimorerà insieme con l’agnello, il leopardo si sdraierà accanto al capretto (…). Il leone si ciberà di paglia come il bue. Il lattante si trastullerà sulla buca della vipera; il bambino metterà la mano nel covo del serpente velenoso. Non agiranno più iniquamente né saccheggeranno…” (Is 11,6-9).
Sperare resta un impegno soprattutto della persona che ha fede perché ogni evento viene garantito dalla Parola di Dio che prospetta un avvenire nuovo e migliore. Le divine Scritture infatti ci offrono pagine profetiche che permettono di intravvedere nuovi eventi più meravigliosi di quelli già realizzati. Pertanto il credente si affida a questa Parola che non mente né inganna. Noi ci riconosciamo impossibilitati ad agire e a trovare soluzioni concrete per tante situazioni storiche, ma all’Onnipotente nulla è impossibile. Egli ha in mano le sorti del nostro vivere quotidiano.