Ci sono casi nei quali un messaggio su WhatsApp suscita qualche riflessione in chi nell’informazione oltre a una notizia ne cerca il senso e magari lo stile di chi la fornisce. Questo articolo ha origine da un messaggio vocale, in risposta a una sollecitazione della vicedirettrice di questa testata, la collega Laura Ciulli, di Andrea Ariza, un volontario della sezione della Croce Rossa Italiana Comitato locale Orte (Cri) che ha partecipato alla recente missione della Cri a Leopoli, in Ucrania, per il trasferimento in Italia di circa ottanta persone comprese in quella categoria che è diventato uso definire dei fragili.
Di questa operazione umanitaria ha riferito la stessa Cri dando numeri, particolari e alcuni nomi, che il lettore può apprendere nel pezzo di Agensir, l’agenzia del Servizio informazioni della Conferenza episcopale italiana del quale riportiamo il link in coda a questo articolo.
Quel vocale – diciamo la versione di Andrea Ariza – spinge a qualche considerazione ulteriore su queste pagine.

Ma per farlo è utile una premessa. Come si sa, la Croce nacque per iniziativa dello svizzero Henry Dunant, colpito dalla vista delle decine di migliaia di feriti rimasti abbandonati senza assistenza (all’epoca al seguito degli eserciti c’erano più veterinari che medici e infermieri) sul campo della battaglia di Solferino del 24 giugno 1859 tra le truppe alleate piemontesi e francesi e quelle austriache, la più cruenta del Risorgimento Italiano, con oltre seimila morti e quarantamila feriti. Dunant, si trovava da quelle parti non come combattente, ma per affari personali: era titolare di una società che operava in Algeria e voleva contattare l’imperatore francese Napoleone III, che guidò personalmente il suo esercito in battaglia, per risolvere una controversia con l’amministrazione francese. Il colloquio non lo ottenne, ma organizzò i soccorsi ai feriti di entrambi gli schieramenti, coinvolgendo l’intera popolazione, soprattutto le donne, della vicina cittadina di Castiglione. Nel libro “Un ricordo di Solferino”, pubblicato tre anni dopo, Dunant riporta due parole continuamente pronunciate da quelle donne: «tutti fratelli».
Comincio tutto da quelle due parole, per inciso quelle che, invertite, titolano l’ultima enciclica di Papa Francesco. Cominciò da quella rivendicazione di umanità nella disumanità della guerra la storia della Croce rossa. Il suo simbolo, in realtà, fu scelto semplicemente invertendo i colori della bandiera svizzera, ma la sua valenza cristiana, oggi unita a quella musulmana nella Federazione mondiale delle società di Croce Rossa e di Mezzaluna Rossa, testimonia quella fratellanza e costituisce l’eredità più preziosa dello spirito che spinse Dunant a inventare una storia diversa e in essa quello che oggi è il diritto umanitario internazionale, dato che la sua prima espressione fu la Convenzione di Ginevra del 1864.
Nata sui campi di battaglia, la Croce Rossa di fatto non ha mai abbandonato la sua vocazione originaria. Oggi le vittime di guerra tra gli eserciti sono un’infima minoranza del totale (e la sanità militare è un po’ meglio organizzata). I campi di battaglia sono le città, i bersagli le popolazioni civili. In questo teatro, esteso alla gran parte del mondo, opera oggi questa organizzazione, la cui distanza dalle ragioni dei conflitti non è mera neutralità, ma fedeltà al suo impegno di servizio alla persona umana nella maggiore delle tragedie.
E questo ci riporta alla versione di Andrea Ariza. Nelle sue parole, colpiscono l’attinenza ai fatti, la sobrietà del racconto, la mancanza della retorica che accompagna in questi giorni, come sempre, l’informazione sugli eventi causati dalla guerra, l’assenza di giudizi preconfezionati sulle responsabilità. Colpisce, soprattutto, l’empatia con quanti sono nella sventura, la fratellanza appunto.

Direttore Responsabile
Giornalista professionista, ha lasciato a fine febbraio del 2016, pochi giorni dopo il suo sessantesimo compleanno, L’Osservatore Romano, il giornale della Santa Sede, dove aveva svolto la sua professione negli ultimi trent’anni, occupandosi principalmente di politica internazionale, con particolare attenzione al Sud del mondo.
Ha incominciato la sua professione giornalistica nel 1973, diciassettenne, a L’Avanti, all’epoca quotidiano del Partito Socialista Italiano, con il Direttore Responsabile Franco Gerardi. Nello stesso periodo, fino al 1979, ha collaborato con la rivista Sipario e ha effettuato servizi per l’editrice di cinegiornali 7G.
Ha diretto negli anni 1979-1980 i programmi giornalistici di Radio Lazio, prima emittente radiofonica non pubblica a Roma, producendovi altresì i testi del programma di intrattenimento satirico Caramella.
Ha poi lavorato per l’agenzia di stampa ADISTA, collaborando contemporaneamente con giornali spagnoli e statunitensi.
Nel 1984 ha incominciato a lavorare per la stampa del Vaticano, prima alla Radio Vaticana, dove al lavoro propriamente giornalistico ha affiancato la realizzazione, con altri, di programmi di divulgazione culturale successivamente editi in volume.
All’inizio del 1986 è stato chiamato a L’Osservatore Romano, all’epoca diretto da Mario Agnes, dove si è occupato da prima di cronaca e politica romana e italiana. Successivamente è passato al servizio internazionale, come redattore, inviato e commentatore. La prima metà degli anni Novanta lo ha visto impegnato in prevalenza nel documentare i conflitti nei Balcani e negli anni successivi si è occupato soprattutto del Sud del mondo, in particolare dell’Africa, ma anche dell’America Latina.
Su L’Osservatore Romano ha firmato circa duemila articoli sull’edizione quotidiana e su quelle settimanali. Ha inoltre contribuito alla realizzazione di alcuni numeri de I quaderni de L’Osservatore Romano, collana editoriale sui principali temi di politica, di cultura e di dialogo internazionali.
Collabora con altre testate, cattoliche e non, e con programmi d’informazione radiofonica e televisiva.
È Direttore Responsabile, a titolo gratuito, della rivista Sosta e Ripresa.
Ha insegnato comunicazione e politica internazionale in scuole di giornalismo e ha tenuto master di secondo livello, come professore a contratto, in Università italiane. Ha tenuto corsi, seminari e conferenze in Italia e all’estero. Ha tenuto corsi sull’attività diplomatica della Santa Sede in istituti superiori di cultura in Italia.
È autore di saggi, romanzi, raccolte di poesie, diari di viaggio, testi teatrali. Sue opere sono riportate in antologie poetiche del Novecento.
È tra i fondatori dell’Associazione Amici di Padre Be’ e della Fondazione Padre Bellincampi ONLUS, che si occupano di assistenza all’infanzia, e dell’associazione L.A.W. Legal Aid Worldwide ONLUS, per la tutela giurisdizionale dei diritti dell’uomo. Ha partecipato a progetti sociali per la ricostruzione di Sarajevo. È stato promotore e sostenitore di un progetto di commercio equo e solidale realizzato in Argentina.